Essa è colei che troppo sola muore,
è la notturna anima pellegrina
che persegue il suo sogno ed il suo amore.Amalia Guglielminetti, Anima errante.
La vita e la poetica
Amalia Guglielminetti nasce a Torino il 4 aprile 1881. Il debutto nell’universo letterario avviene nel 1903 con la raccolta di poesie, di chiara ispirazione carducciana, Voci di giovinezza. L’opera non ottiene riscontri positivi, e viene snobbata dal pubblico e dalla critica.
Raggiunge una maggiore rilevanza il secondo volume poetico, pubblicato quattro anni dopo il primo, nel 1907, intitolato Le vergini folli, dove si riflette, trasvalutata, l’educazione ricevuta in un istituto religioso femminile. Grazie a questo libro la Guglielminetti conosce Guido Gozzano (1883-1916), con il quale inizia una intensa e passionale storia d’amore. La più grande testimonianza della relazione è di certo l’epistolario, che contiene le lettere scambiate tra i due amanti dal 1907 all’anno successivo. L’autore dei celebri Colloqui dimostra grande perspicacia e sensibilità nel leggere e comprendere i componimenti della poetessa. Le vergini folli costituisce una sorta di viaggio nel sottosuolo della verginità. Scrive Gozzano: «Ella compie nel suo libro, Egregia Guglielminetti, quasi un vergiliato, e conduce il lettore attraverso i gironi di quell’inferno luminoso che si chiama verginità».
Nel 1908 la Guglielminetti si reca a Roma, al fine di partecipare al Congresso femminile nazionale. Dalle epistole inviate all’amante si deduce l’antipatia della scrittrice nei confronti delle protagoniste, additate come «donne d’ogni età e d’ogni presenza, ma tutte così poco accoglienti, così poco fraterne, così intimamente sconosciute e ostili quasi l’una all’altra da destare in me un senso sordo di antipatia sdegnosa per tutto ciò che sa di riunione femminile».
La storia d’amore con Gozzano dura appena un anno. Il poeta torinese d’ora in poi rappresenterà l’interlocutore privilegiato delle poesie della Guglielminetti, e ciò è riscontrabile già nella sua terza raccolta di versi, Le seduzioni, del 1909. In queste poesie il gusto letterario ed “esistenziale” della scrittrice si traduce nella frequente menzione di oggetti più o meno tangibili tipicamente femminili – essenze, profumi, frutti, sete -. Il tutto racchiuso in un’atmosfera dannunziana lontana dalla giovanile infatuazione – letteraria s’intende – per Carducci, lontana dal dimesso e ironico crepuscolarismo gozzaniano.
Nel volume poetico L’insonne, del 1913, la poetessa canta l’amore come esperienza vitale forte che non inverte i ruoli fra maschio e femmina. La Guglielminetti sente il bisogno viscerale di muoversi, in totale libertà, tra più dimostrazioni erotico-amorose: dall’amore saffico all’amore coniugale. Anche qui Gozzano riveste il ruolo di interlocutore.
Sempre nel 1913 esce la prima raccolta di novelle, I volti dell’amore, seguita da Anime allo specchio (1915), Le ore inutili (1919), La porta della gioia (1920), Quando avevo un amante (1923) e Tipi bizzarri (1930). Accanto alla produzione novellistica è bene collocare quella fiabesca: La reginetta chioma d’oro (1916), Fiabe in versi (1922), Il ragno incantato (1922), La carriera dei pupazzi (1925).
I volti dell’amore provoca reazioni contrariate, negative. L’autrice è definita noiosa e viene di fatto bocciata dai maggiori protagonisti letterari e intellettuali dell’epoca. La Guglielminetti viene ben presto avvolta da una fitta cortina di ostilità, definitivamente ispessita dalla pubblicazione di due romanzi: Gli occhi cerchiati d’azzurro (1920) e La rivincita del maschio (1925). Quest’ultima opera è particolarmente interessante e significativa della personalità coraggiosa dell’autrice, che descrive un’orgia organizzata dal protagonista per le sue tre donne. Un’orgia in cui non mancano la cocaina, definita «densa polverina bianca e lucida», e un esemplare delle Memorie del marchese de Sade, rilegato in pelle umana.
Dopo un breve soggiorno a Parigi, nel 1925 la Guglielminetti torna a Torino, dove pubblica la rivista di novelle Le Seduzioni, di cui gestisce le rubriche “Con mani di velluto”, dove scrive di Rodolfo Valentino, di Josephine Baker, di psicanalisi, e “Indiscrezioni”, dove racchiude provocatoriamente e nel suo stile, la letteratura di quegli anni nei frivoli confini di storielle e pettegolezzi. Ne fanno le spese i tardofuturisti, gli ex vociani, gli ultimi crepuscolari, ma anche Croce, Pirandello, D’Annunzio e le colleghe come la Aleramo e la Vivanti.
Nel 1930, dopo un’asprissima battaglia giuridica senza esclusione di colpi con lo scrittore Pitigrilli, pseudonimo di Dino Segre (1893-1975), suo amante di un tempo, la Guglielminetti collabora alla stesura della biografia che le dedica Mario Gastaldi, forse nell’ultimo, estremo tentativo di salvaguardare la sua persona umana e letteraria, e la sua opera.
Nel 1937 si trasferisce a Roma, dove cerca di riprendere la professione di collaboratrice di giornali e riviste letterarie. In questo periodo economicamente complicato le è vicino soprattutto Massimo Bontempelli (1878-1960).
Dopo lo sfortunato soggiorno capitolino, Amalia torna nella sua città natale, Torino, dove muore il 4 dicembre 1941, all’età di sessanta anni.
Le vergini folli
Amalia Guglielminetti nasce poeticamente nella Torino vespertina di Gozzano. Anch’ella dunque può essere considerata un’autrice crepuscolare. Non nell’accezione tradizionale del termine, ma in un senso più originale. Il suo è un crepuscolarismo classico nelle forme, dannunziano e femminile nei contenuti.
Per rendervi più chiaro e comprensibile questo pensiero, e per godere insieme dell’incanto dei versi della Guglielminetti, vi proponiamo alcune delle sue poesie più belle. Poesie in cui riecheggia e si diffonde puro tutto il suo talento. Un talento spesso frainteso e strumentalizzato, in realtà sempre limpido, limpido come la sua avvenente bellezza di donna.
Da Le vergini folli (1907).
IL PIANTO
Il pianto è la benefica rugiada
che nell’ombra ogni nuova anima irrora.
Gioia amara di quella che s’accora
viatrice solinga in buia strada.
Quando sul suo cammin non mai dirada
la notte né il timor, s’attarda un’ora
la pellegrina e geme, e geme ancora
fin che la sua più ardente stilla cada.
Raccoglie allor le sue forze smarrite
e prosegue. Dal ciel pendono mute
le stelle, come lacrime impietrite.
Sola prosegue, col suo cuore solo.
Nè sa se le sue lacrime sperdute
daranno un fior d’amore o un fior di duolo.
***
UN’AMAREZZA
Quell’amarezza fu senza parola:
ma l’assenzio ed il fiele ed il veleno,
tutto ciò ch’è più amaro, dal mio seno
saliva gorgogliando alla mia gola.
L’angoscia che nessun bene consola
più non mi urgeva. Sol d’amaro pieno
era il mio sangue, nè veniva meno
in me quell’onda lenta eguale sola.
M’ammorbava il palato il suo sapore,
n’esalava il disgusto la mia voce,
come l’acredin d’un malvagio fiore.
Pure, un mio riso ritrovai ancora:
quel riso d’un amaro tanto atroce
che stride in bocca e l’anima divora.
***
LA MALINCONIA
Dentro le vene la malinconia
s’insinua, ed è un morbo sonnolento
cui giova non trovar medicamento,
uno stupor di morbida follìa.
Il desiderio più tenace svia,
smemora del più intenso sentimento,
quasi vapori un greve incantamento
d’oppio, in cui goda più chi più s’oblìa.
Essa è come un giaciglio, ove un’inerte
stanchezza ci abbandoni svigorite,
con le treccie disciolte e a braccia aperte.
Ed ha il torpor d’alcune notti estive,
in cui ci s’addormenta indolenzite
dallo spasimo oscuro d’esser vive.
***
ANIMA ERRANTE
Se il mio signore segue la sua via
con cuore assorto o con sereno volto,
sol con sè solo crede andar, raccolto
nel suo pensier, senz’altra compagnia.
Ed ei non vede alcuno che lo spia,
passo passo, alla sua mèta rivolto,
alcun che sta del suo cuore in ascolto
e gli parla con tenera follia.
Ecco: al suo piede un’ombra or lunga or breve
accanto o dietro o innanzi a lui cammina,
nè mai la stanca quel suo andar sì lieve.
Essa è colei che troppo sola muore,
è la notturna anima pellegrina
che persegue il suo sogno ed il suo amore.
***
CONTRASTO INTIMO
Dove un dolente amore si nasconde
un odio sordo quivi pur s’annida;
l’uno inasprisce di sue acerbe strida
l’altro smarrito fra mal note sponde.
L’odio superbo spesso si confonde
all’amor che s’umilia e che diffida,
poi che un’eguale passione guida
entrambi, ciechi, per sue vie profonde,
V’è in noi, forse, una martire che gode
del suo martirio, ed una prigioniera
che si rivolta e le sue corde rode.
L’una vorrebbe baciar quella mano
che contr’essa si fa sempre più fiera.
L’altra avventarle un morso disumano.
***
BELLEZZA DELLA VITA
Bellezza della vita, io non ti trovo.
Pure ti cerco in me, pure ti spio
su fronti di sorelle. Ombre d’oblio
or tento ed or gelosi veli io smuovo.
Il primo balenar d’un riso nuovo
scruto, m’insinuo in qualche spirto pio,
indago ogni speranza, ogni desio,
ma a scoprirti con vana ansia mi provo.
Tu esisti forse in spiriti virili
esperti in trar da ciascun fiore ebrezza,
o in chiara gioia d’anime infantili.
Non nel nostro anelar d’anime inermi:
inquete fiamme, chiuse da saggezza
d’antiche norme fra leggiadri schermi.
***
COMMIATO
Del suo primo esitar non va disciolta
pur sul tacersi la tentata lode,
chè, Sorelle, con duolo intimo l’ode
colei che si godea d’ombra raccolta.
Per senno scarso e per malizia molta
chi poco intende, assai sogghigna e gode.
Vigilava uno spirito custode
muto, il mister di vostra bianca accolta.
Pur, d’ogni velo fatta impaziente,
anime acerbe, macerate, rôse,
io vi snudai con mani violente.
Perdono io trovi. E se la mia parola
ghirlanda temeraria vi compose,
possa il suo ardire umiliar me sola.
La fotografia di copertina, realizzata da Nunes Vais nel 1911, è tratta dall’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione.