Novecentismi architettonici – Sigfried Giedion

Nell’impervio percorso attraversato fino ad ora tra le pagine della critica architettonica del ‘900 non ci siamo ancora imbattuti in un cultore della parola, in uno psicoanalista dell’edificio come fu Sigfried Giedion, autentico critico e storico purosangue, consapevole dell’importanza dei suoi scritti in un orizzonte più ampio qual è quello di una semplice pubblicazione.

Prima di tutto cerchiamo di tracciare due o tre cenni biografici di Giedion: nato a Praga nel 1888, si laurea in ingegneria a Vienna e infine prosegue i suoi studi teorici in storia dell’arte a Monaco, conseguendo lì anche il dottorato di ricerca (con una tesi sul classicismo romanico e il tardo barocco). E’ in questi anni che, avvicinandosi all’architettura, abbraccia le idee di Le Corbusier e i compagni del movimento moderno, frequentando anche il Bauhaus e in particolare Walter Gropius, il quale lo invitò ad Harvard per tenere una serie di conferenze che però ricevettero un’accoglienza tiepida a causa del suo pessimo inglese. Scontento ma non abbattuto tornò in Europa e pubblicò “Space, Time and Architecture”.

Ma l’intento di Giedion risulterà chiaro fin da subito, addirittura da quel 1928 che lo vide protagonista nel direttorio del C.I.A.M., ovvero annettere in maniera definitiva l’architettura, ed in particolare quel movimento di cui si rendeva voce vibrante, all’interno della storia dell’arte. E’ questo che cerca di affrontare nel suo libro “must” con un approccio tecnico e scientifico al tempo stesso: già nel titolo dell’opera infatti c’è un omaggio a “Spazio e tempo”, libro nel quale Minkowski nel 1907 gettò le basi per la teoria della relatività, dal quale Giedion trae come assioma la nuova “unione che tempo e spazio hanno contratto nell’universo”. Ma oltre alla citazione scientifica si fa forte la voce del tempo e l’eco di Riegl nell’accezione di arte moderna da lui proposta.

Nell’introduzione alla nuova corrente e al libro affermerà: Space, Time and Architecture si rivolge a tutti quanti sono preoccupati dello stato attuale della nostra cultura e cercano la maniera di uscire dall’apparente caos delle tendenze antagoniste. Io cerco di dimostrare, mediante l’argomentazione e l’evidenza obiettiva dei fatti, che dietro la confusione che sembra regnare nella nostra civiltà moderna si nasconde un’unità reale, una sintesi segreta.”

Il risultato sarà un libro per architetti, ricco di spunti e “verbalismi”, che risulteranno essere anche il limite stesso del saggio: i paragoni arditi, e non sempre azzeccati, tra il barocco, il Rinascimento e il moderno in tutti i suoi campi porranno di fronte Borromini a Tatlin e Picasso, o il tessuto urbano barocco con i progetti urbanistici di Le Corbusier. Inoltre ribadisce quello che Gropius aveva affermato in maniera velata qualche anno prima, considerando il ‘900 come il secolo delle grandi tecnologie e delle nuove potenzialità: dall’acciaio alla ghisa, dal ferro al vetro passando per il democratico quanto rivoluzionario ascensore.

Giedion sarà il primo europeo ad ammettere l’importanza della scuola di Chicago nella formazione delle nuove tecnologie e nelle nuove tecniche compositive, restituendo a Wright il ruolo chiave di collegamento tra le due epoche, il nodo tra i due secoli.

Negli Stati Uniti il libro ebbe un impatto deciso, venne ristampato per molti anni annettendo nelle successive edizioni anche architetti come Alvar Aalto, Mies van der Rohe, divenendo di diritto la bibbia per i giovani architetti, riportando la storia dell’architettura come fase preparatoria obbligata alla pratica della professione moderna.

Oggi il libro viene considerato ovviamente obsoleto, superato e nonostante la maestosa preparazione teorica è stato spesso accusato di una sostanziale mancanza di basi solide. Posaner, storico dell’architettura tedesco, affermerà qualche anno dopo: “Questo non  è mai stato un libro di grande rigore scientifico, è semplicemente un libro prolisso. Storiografia impegnata è più un manuale di scoperte, documenti, interpretazioni e proprio per questo è il libro preferito dagli architetti”.

Piano delle uscite

Novecentismi architettonici – Un secolo, i suoi padri e i suoi figli
Adolf Loos, Ornament und verbrechen, 1908
Frank Lloyd Wright, Ausgeführte Bauten und Entwürfe von Frank Lloyd Wright, 1910
Tony Garnier, Une Cité industrielle: Etude pour la construction des ville, 1917
Bruno Taut, Die Stadkrone, 1919
Le Corbusier, Vers une Architecture, 1923
Walter Gropius, Internationale Architektur, 1925
Henry-Russell Hitchcock, Philip Johnson, The International Style: Architecture Since 1922, 1932
Sigfried Giedion, Space, Time and Architecture. The Growth of a New Tradition, 1941
Aldo Rossi, L’Architettura della Città, 1966
Robert Venturi, Complexity and contradiction in Architecture, 1966
Rem Koolhaas, Delirious New York: A retroactive Manifesto for Manhattan, 1978 / S,M,L,XL, 1995

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