Ma io dico a che bene, dimmi? a che bene se tutto si dissolve nella nebbia maledetta, se la vita stessa è l’errore, di cui non siamo responsabili – ma pur ne portiamo il peso – a che bene continuare se io lo so, se tu lo sai che mai ci potrà esser mutamento? a che bene?
Nino all’amico Rico nel Dialogo della salute

All’interno dell’attività filosofico-letteraria di Carlo Michelstaedter, la questione del linguaggio occupa una posizione di assoluto rilievo. Tale problematica compare in gran parte della produzione – interamente postuma [1] – del goriziano, fino ad imporsi come tematica dominante nella sua opera maggiore (se non altro per organicità), La persuasione e la rettorica, quella celebre tesi di laurea, inviata ma mai discussa, che costituisce uno degli esiti più originali ed innovativi della letteratura italiana del primo Novecento [2]. Del resto, che la questione del linguaggio rappresenti l’argomento principale de La persuasione e la rettorica, è lo stesso Michelstaedter a sottolinearlo, quando, nel primo dei quattro versi posti in epigrafe alle Appendici – ironicamente [3] – critiche, dichiara: «Con le parole guerra alle parole» [4].
Ebbene, il presente lavoro intende approfondire proprio questo fondamentale aspetto linguistico, a cui la critica solo in pochi casi ha dato il giusto peso. Aspetto preso in considerazione da diverse angolazioni, con una particolare attenzione a La persuasione e la rettorica, ma senza dimenticare gli altri testi del goriziano, Il dialogo della salute e le Poesie su tutti (il primo in quanto «vera e propria epitome dell’opera maggiore» [5], le seconde in quanto realizzazione della filosofia teorizzata negli scritti in prosa [6]), tentando di fornire, per quanto possibile, una visione d’insieme.
La prima parte di questo studio è incentrata sul linguaggio, in particolare sulla critica ad esso, al centro della più generale critica della «rettorica», e sulla risemantizzazione della parola [7], che rappresenta per Michelstaedter l’operazione attraverso cui giungere ad un nuovo e più autentico linguaggio, e che egli stesso attua, a partire proprio dai termini «persuasione» e «rettorica». La seconda parte è invece dedicata alla scrittura – profondamente alternativa – del goriziano, di cui vengono analizzate le principali caratteristiche: la commistione di generi, stili e toni, il plurilinguismo, il citazionismo (non la pratica citazionistica in sé, obbligata in una tesi di laurea, ma il modo di citare, di utilizzare le citazioni) e il riso. Infine, la terza parte prende in esame ciò che, sulla pagina michelstaedteriana, incombe come un’ombra sinistra, mettendo in discussione la stessa pratica scrittoria e, più in generale, l’intera attività filosofico-letteraria del goriziano: l’insufficienza della parola, in riferimento ai casi di Socrate e Cristo – modelli ideali del persuaso – e di Rico e Nino – i protagonisti del Dialogo della salute -, con un excursus sull’esercizio critico di Michelstaedter.
Ogni singolo contributo critico su Carlo Michelstaedter fornito in questi centosette anni che ci separano dalla sua volontaria e stra-chiacchierata morte [8], è stato un modo di riportarlo nei ranghi di quella «rettorica» che tanto disprezzava, e alla cui leopardiana resistenza aveva consacrato la propria vita – come dimostra l’ultima lettera scritta alla madre [9]- e la propria parola. Non perché tutta la critica sia stata inesatta, non intendo affatto dire questo, ma perché scrivere di Michelstaedter significa – automaticamente – rettoricizzarlo, ed il presente lavoro non può fare eccezione. È lui stesso a dichiararlo e, in un certo senso, a pretenderlo.
[1] Scrive Asor Rosa – evidenziando uno dei particolarissimi tratti di Michelstaedter – che «la ‘postumità’ di Carlo […] non è il frutto della involontaria disattenzione dei contemporanei, di un loro mancamento nell’ascolto; non deriva da un rifiuto dei lettori nei confronti dell’autore, bensì dell’autore nei confronti dei lettori, nella maniera più radicale e totale». Alberto Asor Rosa, «La persuasione e la rettorica di Carlo Michelstaedter», in Letteratura italiana. Le Opere, vol. IV, Il Novecento, I. L’età della crisi, Einaudi, Torino 1995, p. 267.
[2] Risoluto Asor Rosa, che non pone limiti temporali: «La persuasione e la rettorica è senz’ombra di dubbio la più anomala ovvero la più eccezionale nel canone delle grandi opere della letteratura italiana». Ivi, p. 265.
[3] Così Michelstaedter spiega, in un frammento, il titolo delle Appendici critiche:
«- Perché le ha chiamate appendici ‘critiche’?
– Secondo la definizione dell’ironia l’ironia è quel tropo per il quale diciamo con un concetto un concetto contrario al concetto usitato».
Carlo Michelstaedter, La persuasione e la rettorica. Appendici critiche, a cura di Sergio Campailla, Adelphi, Milano 1995, p. 329.
[4] Ivi, p. 134.
[5] Sergio Campailla, Della salute ovvero della malattia, in Carlo Michelstaedter, Il dialogo della salute e altri dialoghi, Adelphi, Milano 1988, p. 16.
[6] Vittorio Enzo Alfieri, Michelstadter poeta, in «Letterature moderne», XII (1962), 2-3, pp. 133-147.
[7] Sergio Campailla, Introduzione a Carlo Michelstaedter, La persuasione e la rettorica, Adelphi, Milano 1982, p. 17.
[8] Su quanto il suicidio abbia influenzato la critica michelstaedteriana, mandandola spesso del tutto fuori strada, scrive Muzzioli: «quel colpo di rivoltella rimarrà anche in seguito come assillo o scoglio per l’interpretazione critica: ora enigma inspiegabile; ora imperdonabile diserzione, oppure coerenza senza proroghe». Francesco Muzzioli, Michelstaedter, Milella, Lecce 1987, p. 75.
[9] Scrive la Benussi: «Ma è nella splendida lettera alla madre del 10 settembre 1910 che fa capire come ciò che andava scrivendo cercava di viverlo: i temi toccati sono proprio quelli del vivere per se stessi, della libertà dalle contingenze, dei vani piaceri e della noia altrui, del rapporto vicino-lontano, e così via». Cristina Benussi, La persuasione e la rettorica: autobiografia e scrittura, in AA.VV., Eredità di Carlo Michelstaedter (Atti del Convegno internazionale di Studi su Michelstaedter. «Il coraggio dell’impossibile», Gorizia, 1-3 ottobre 1987, a cura di S. Cumpeta e A. Michelis), Forum, Udine 2002, p. 74.
Introduzione
Prima parte. Il linguaggio
Capitolo primo. La critica del linguaggio
Capitolo secondo. La risemantizzazione delle parole
Seconda parte. La scrittura
Capitolo primo. La commistione di generi, stili e toni
Capitolo secondo. Il plurilinguismo
Capitolo terzo. Il citazionismo
Capitolo quarto. Il riso
Appendice
Terza parte. L’insufficienza della parola
Capitolo primo. Parola scritta e parola parlata. Socrate e Cristo
Capitolo secondo. Michelstaedter critico. D’Annunzio e Tolstoj
Capitolo terzo. Rico e Nino. Il fallimento
Conclusione
Bibliografia