Fresco di stampa nella collana Luci, edito da Iperborea in occasione dei suoi trent’anni di incursioni nella letteratura nordica, vi è un piccolo capolavoro scritto dal dimenticato Knut Hamsun, autore norvegese premio Nobel nel 1920. Su questo sito abbiamo spesso parlato di lui, principalmente del suo romanzo forse più famoso, “Fame”, capolavoro oscurato dalla sua infausta vicinanza in vecchiaia al partito nazista tedesco, posizione che costò ad Hamsun la reclusione negli ultimi anni di vita in un ospedale psichiatrico.
“Si va un po’ in giro, si vagabonda da un luogo all’altro e si e si finisce fatalmente per imbattersi di nuovo in gente che si è già vista da qualche parte, d’incontrarla così all’improvviso, in luoghi così inaspettati, che, dalla sorpresa, ci si dimentica perfino di togliersi il cappello e salutare.”
Incipit de “La Regina di Saba”
“La Regina di Saba” è un racconto pubblicato per la prima volta nel 1897 all’interno del libro “Siesta”, raccolta di articoli e brevi storie apparse precedentemente su giornali e riviste.
Come avviene spesso in tutta la letteratura di Hamsun la storia inizia da un viaggio: è questo il caso del giovane critico norvegese che, potendosi permettere una pausa lavorativa, decide di imbattersi in un viaggio nella vicina-nemica Svezia senza meta e zaino in spalla. Il vagabondo segue i binari, attraversa un paese consumando suole come fossero fette di pane, fino ad arrivare a Bärby, dove si imbatte in una giovanissima ragazza che, mossa a compassione, permetterà all’ospite di trovare un rifugio per la notte.
All’indomani mattina la donna è sparita, ma non la speranza, che continuerà ad ardere sotto la brace, in attesa di una folata di vento per riaccendersi.
Il critico si reca dunque a vedere “come tutti gli altri” il quadro di Julius Kronberg “La Regina di Saba”: osservando l’opera scorge un’incredibile somiglianza con la donna incontrata la sera precedente, tanto da ricordarla da quel giorno con quel soprannome.

“Snella, di una bellezza provocante, regina e donna…Con la mano sinistra solleva il velo dal viso e rivolge lo sguardo verso il re […] sembra un’europea che ha viaggiato in Oriente ed è stata sfiorata dal soffio del suo sole rovente. Ma i suoi occhi hanno quel colore tenebroso che rivela la sua origine, quello sguardo profondo e insieme ardente che fa trasalire lo spettatore. Sono occhi che non si dimenticano, si continuerà a ricordarli a distanza e a rivederli.”
La chimera tornerà a tormentarlo però quattro anni più tardi, sotto forma di illusione, spingendolo in un viaggio (ancora il treno, ancora senza meta) che lo trascinerà a Kalmar, città natale del pittore di Nils Kreuger, sulle rive del Baltico. E ancora una volta l’uomo Hamsun si abbandona al fato, pronto a lasciare tutto, cambia vita, cambia lavoro pur di trovare quella donna per quei vicoli, all’ombra dell’antico Castello, ma come spesso accade non è l’uomo a decidere del proprio destino, seppur armato di tutte le buone intenzioni del mondo. Non c’è niente da fare.
In queste righe ricche di quello spirito nevrotico che ha alimentato anche la voce di “Fame” (1890), Hamsun si porta all’estremo fino quasi ad esacerbare i suoi contenuti, facendosi specchio di una cultura nordica spesso fatta di grandi fuochi persi in lande buie. Così come il rapporto con la natura, tutto si fa estremo ed ogni gesto può essere eversivo, a partire dalla velocità e dall’impeto con il quale il protagonista vira da una direzione all’altra giocando con la vita, pur non sentendosene padrone.
In questo non possiamo che trovarci d’accordo con Goffredo Fofi, autore della postfazione, quando afferma che “La vita è diversa dai nostri sogni e dalle nostre aspirazioni, e anche se il nostro fallimento è scritto nei fatti – o meglio: nella chiara difficoltà o impossibilità che sogni di quel tipo possano mai realizzarsi – la caduta è pur sempre dura, il risultato è pur sempre amaro.”
Per queste pagine sono passati molti dei più autorevoli scrittori del XX secolo, da Hemingway a Kafka, senza tralasciare Mann e Brecht, attratti dal mito dell’anarchica libertà o solitudine assoluta che si nasconde dietro la grande ombra dello scrittore norvegese.
Bibliografia:
Knut Hamsun, La regina di Saba, Iperborea editore, Milano, 2017