Franco Battiato – La voce del padrone (1981)
Un album meraviglioso che non rientra nei parametri comuni, un disco che ha venduto copie a non finire, e che viene apprezzato trasversalmente dagli esperti musicali e dai somari da “bar sport”. Un lavoro di collage ritagliato con forbicine raffinatissime. Battiato dopo gli anni della sperimentazione “duropurista” d’inizio carriera mette in scena una raccolta di canzoni Pop dai testi elaborati e volutamente contorti, questa sinergia così dissonante mette d’accordo tutti, critica e pubblico. Voglio sottolineare la crudezza di una certa denuncia sociale che distingue in particolare alcune traccie, e la divinatoria predizione degli anni 80′ e 90′ come deriva cultura e morale. “Quante squallide figure che attraversano il paese.”
Fabrizio De André – Crêuza de mä (1984)
Quando Fabrizio De André fu ospitato straordinariamente da Gianni Minà a Blitz, in compagnia di Mauro Pagani e Gregory Corso (il poeta della Beat generation arrivato dritto da San Francisco) aveva le idee chiare sulle motivazioni che c’erano dietro il suo ultimo Lp: “Creuza de ma? Creuza è un sentiero suburbano che va verso il mare. (…) Visto che abitiamo il mediterraneo dobbiamo fare musica mediterranea. Il genovese è pieno di fonemi turchi e di altre lingue vicine, volevamo rappresentare un mare che vada dal Bosforo a Gibilterra.” Dietro quest’opera si nasconde una ricerca certosina dal punto di vista linguistico, con idiomi come l’occitano, il catalano e il sardo, oltre al genovese ovviamente. Una ricerca altrettanto dettagliata fu quella sugli strumenti musicali, affidata a Pagani, che raccolse strumenti spesso singolari.
La lingua così contorta e naturalmente musicale toglie, al primo ascolto, i riflettori dalla parola per noi incomprensibile e li sposta sulla melodia. Solo in un secondo momento si potrà apprezzare la poesia dei testi sciorinata in tutte le tracce, andando a osservare la traduzione italiana, questa meccanica che privilegia la composizione sonora era davvero inedita nella canzone d’autore italiana.
Cccp – 1964-1985 Affinità-divergenze Tra Il Compagno Togliatti E Noi – Del Conseguimento Della Maggiore Età (1986)
Nel giro di tre anni usciranno i tre lp che cambieranno le sorti del rock italiano, puro o new wave che sia: Siberia, Desaparecido, e Affinità – Divergenze. I Cccp fondati nel 1982 in una discoteca di Berlino (vedi Nick Cave) da Ferretti e Zamboni riescono a portare nella nostra stanca penisola una violenza verbale e tematica mai sfiorata. Via con le droghe, le paranoie, le nevrosi e le malattie di una generazione malata, compromessa. Ognuna della canzoni che compongono l’album sono una picconata alle certezze sociali dell’Italia del “pentapartito”, si inizia subito con Curami e Valium Tavor Serenase, che raccontano il mondo dei tranquillanti e dell’apatia di una vita desolante: “Produci, consuma, crepa, Produci, consuma, crepa!” Proclama un Ferretti lucidissimo in Morire. Nella traccia Io sto bene sintetizza un periodo storico in maniera precisa, come solo pochissimi autori avevano fatto in passato: “Non studio, non lavoro, non guardo la tv, non vado al cinema, non faccio sport.”
Queste coltellate sono solo il preludio al colpo di grazia rifilato con la meravigliosa Emilia paranoica, capolavoro di un’intera carriera, dove il contrasto diventa stridente, tra una terra ridente e perbenista, e la jungla di folle nebbia meccanica descritta da Ferretti.
Diaframma – Siberia (1984)
“Se resisti diventi un classico!” Annunciava a ragione Federico Fiumani, il leader dei Diaframma che alla pari di personaggi come Francesco Guccini o Paolo Conte ha sempre dimostrato negli anni la sua coerenza artistica. Le atmosfere del disco sono quelle nord europee, i colori sono desaturati, le atmosfere glaciali, basso e chitarra sono minimali e precisi, i testi al limite dell’ermetismo. I Joy Division sono scomparsi da quasi quattro anni ma l’ombra di Ian Curtis è vivida all’interno del Lp. La title track è una vera meraviglia, il testo immaginifico di Fiumani è perfettamente interpretato da Sassolini e rappresenta uno dei momenti più illuminati e raffinati del panorama musicale italiano: “I nostri occhi impauriti nelle stanze gelate, al chiarore del petrolio bruciato e oltre il muro il silenzio, oltre il muro solo ghiaccio e silenzio.”
L’album snocciola molti dei classici della band e culmina con la celeberrima Amsterdam (inserita anche nella versione interpretata con gli amici-rivali Litfiba) che rappresenta uno degli “standard” della new wave internazionale. “Dove il giorno ferito, impazziva di luce.”
Paolo Conte – Paris milonga (1981)
Il giovane astigiano negli anni della sua formazione assorbì come una spugna le fascinazioni d’origine americana spinte dai film hollywoodiani e dalla massiccia presenza alleata negli anni del dopoguerra in tutta la penisola. Il Jazz più di tutto era entrato nella sua mente, assieme ai cantori francofoni come Jacques Brel. Questa fusione, tra il cantautorato raffinato e divertito e le big band del Jazz d’oltreoceano emerge per la prima volta nella sua carriera con questo Lp. Canzoni come Boogie e Alle prese con una verde milonga, sono oramai dei classici per gli appassionati, e il duetto piano-voce di Parigi è il ritratto musicale più affascinante della “ville lumiére” dai tempi di Cole Porter. “Fuori è solamente pioggia, pioggia, pioggia e Francia.” Il disco inaugura il trittico di album che cambierà la carriera di Conte, e Paris Milonga, nonostante sia il più incompleto resta per me il vero fondamentale. Chiedete ad Atahualpa!