Walter Gropius ha un ingrato compito, nella nostra serie dedicata ai Novecentismi architettonici perlomeno, quello di dover succedere all’uscita su Le Corbusier, il che è un po’ come prendere il posto di Michelangelo alla fabbrica di San Pietro, è il Della Porta della nostra piccola, essenziale, serie dedicata alle teorie architettoniche del secolo passato: ma non molti sanno che fu proprio Della Porta a completare la cupola.
E’ dunque nostro dovere dare i meriti architettonici a Walter Gropius, presentarvi il personaggio che forse più di altri nel ‘900 ha avuto una vocazione prettamente teorica, tanto da non riuscire a riportare le sue idee su carta, come egli stesso affermerà, assumendo Adolf Meyer, suo fidato collaboratore oltre che spalla tecnica, per elaborare insieme uno dei suoi capolavori assoluti, le Officine Fagus.
Ma Gropius non fu solo le Officine del 1911, ma molto altro. Non fu gregario poiché lui in primis non poteva accontentarsi di un ruolo da comprimario nel panorama architettonico contemporaneo. Il Bauhaus statale, nel quale sperimentò un insegnamento unificato di arti e mestieri, non era abbastanza riformista per apprezzare le sue idee, i suoi insegnamenti, tanto da costringerlo a fare i bagagli da Weimar per stabilirsi a Dessau, per fondare una nuova scuola, una nuova città e un modo di pensare moderno.
Quello che uscirà nel 1925, periodo in cui Gropius riveste il ruolo di mente della scuola, sarà il primo libro dei Bauhausbücher intitolato Internationale Architektur. Creare una serie di libri di testo esclusivi e propedeutici per gli studenti del Bauhaus è un modo per creare una corrente di pensiero, per creare una massa critica pronta ad invadere il mondo in maniera uniforme.
Il libro rappresenta una sorta di abecedario dell’architettura contemporanea, simile alle dispense fotografiche che oggi i professori di progettazione distribuiscono ai novelli studenti per dargli dei buoni esempi da seguire: circa 90 progetti si susseguono in un centinaio di pagine, quasi tutti realizzati dal 1920 in poi, tranne una quindicina. In questi ultimi vi sono i suoi “maestri” analizzati criticamente, nei quali vengono evidenziati alcuni progetti nei loro aspetti positivi o negativi da Gropius, in particolar modo vi sono la borsa di Amsterdam di Berlage e tre stabilimenti AEG di Behrens.
Ancora, tra le fotografie evocative vi sono dei silos industriali, definiti dall’architetto tedesco come “forme sgradevoli che fanno percepire la brutalità del potere capitalista”, evidenziando il fascino di queste architetture inaccessibili all’uomo. Tutto per mettere in relazione il nascente aspetto industriale della “nuova architettura”.
In definitiva quello che ne esce è un libro guida, una mappa criptata che dopo un’attenta lettura indica una direzione inattesa, aprendoci ad un panorama comunque difficile come è sempre quando si parla di contemporaneità.
Nella prefazione al libro Gropius ci spinge a schierarci verso la “nuova costruzione”, intesa come soppressione del modello storicista che premiava un progetto di vezzi e ornamenti pomposi: in questo si affianca al predecessore Adolf Loos nell’opporsi all’estetismo accademico, proponendo invece un’architettura che prenda ispirazione dalla sua stessa essenza, nella forma e nella funzione, non soffermandosi ad un banale concetto di funzionalismo bensì completandolo con una proporzione che solo l’artista può dargli, spostando la questione su un piano anche intellettuale oltre che progettuale.
Per Gropius la nuova architettura dovrà avere “la forma perfettamente esatta, la semplicità nella varietà, l’articolazione secondo funzioni, la riduzione a forme fondamentali tipiche, con il loro allineamento e la loro ripetizione” di modo che gli edifici “si definiscano da sé, senza menzogne né futilità decorative, e che si liberino di tutto il superfluo che ne celerebbe la forma assoluta”.
Con questi precetti trasmessi tramite un libro fatto di immagini (tra i primi esempi di opera fotografica sull’architettura), avvia il suo personale processo di internazionalizzazione dell”architettura (cosa che non nasconde assolutamente, anzi lo pone come titolo). Quello che nel 1925 sembra una dispensa ben strutturata, si rivelerà il primo mattone di un grattacielo di pensieri: sette anni dopo Hitchcock e quel vecchio volpone di Philip Johnson scriveranno “The International Style: Architecture Since 1922”, parlando di “stile” contemporaneo, al contrario di Gropius, pur rubandogli il metodo comunicativo e molte idee. Ma questa è un’altra storia…
Letture consigliate:
Walter Gropius, Internationale Architektur, 1925
Walter Gropius, Architettura integrata
Walter Gropius, Per un’architettura totale, Abscondita, 2007
– Novecentismi architettonici – Un secolo, i suoi padri e i suoi figli
– Adolf Loos, Ornament und verbrechen, 1908
– Frank Lloyd Wright, Ausgeführte Bauten und Entwürfe von Frank Lloyd Wright, 1910
– Tony Garnier, Une Cité industrielle: Etude pour la construction des ville, 1917
– Bruno Taut, Die Stadkrone, 1919
– Le Corbusier, Vers une Architecture, 1923
– Walter Gropius, Internationale Architektur, 1925
– Henry-Russell Hitchcock, Philip Johnson, The International Style: Architecture Since 1922, 1932
– Sigfried Giedion, Space, Time and Architecture. The Growth of a New Tradition, 1941
– Aldo Rossi, L’Architettura della Città, 1966
– Robert Venturi, Complexity and contradiction in Architecture, 1966
– Rem Koolhaas, Delirious New York: A retroactive Manifesto for Manhattan, 1978 / S,M,L,XL, 1995