E’ la volta di affrontare per la prima volta in questa nuova serie, “Novecentismi architettonici”, la spinosa questione urbanistica, questione che vide in quegli anni, come nel secolo precedente, un periodo ricco di fermento e di cambiamenti: dal piano Haussmann per Parigi (realizzato tra il 1852 e 1872), al rivoluzionario libro del londinese Howard e le sue “Garden City” (“To-morrow: a Peaceful Path to Real Reform” pubblicato nel 1898). Oggi affronteremo invece il primo sistema di “città ideale” realmente novecentesca, partorita dal genio francese Tony Garnier.
Il libro in questione, “Une Cité industrielle: Étude pour la construction des villes”, vide la luce in un tormentato soggiorno romano a seguito della vittoria del “Prix de Rome”, premio che gli permise di essere ospitato a Villa Medici per quattro anni, dal 1900 al 1904. Lo scopo del viaggio-studio (studiare l’arte classica, i monumenti antichi e l’architettura romana) venne presto tradito a discapito del suo grande progetto, la “Città industriale”.
I primi pensieri annotati, gli schizzi, le tavole preliminari, vennero inviate a Lione dove, senza mezzi termini, lo invitarono a cambiare progetto e ad abbandonare questa folle idea di città moderna: ma il vino e le fascinazioni notturne in seguito alle sue lunghe passeggiate al Pincio (di cui rimangono alcuni disegni) rendono Garnier un moderno ribelle.
Il suo spirito deciso e testardo, tipico di chi proviene da una famiglia dei ceti bassi lionesi, è coadiuvato dalla sua passione sfrenata e dall’estrema lucidità nell’analizzare l’incombente anarchia edilizia: la sua “città industriale” infatti, si promette di controllare in rigidi settori le distinzioni tra i vari quartieri e le funzioni a loro assegnati.

Così la città garnieriana è dissociata in base alle funzioni, accorpate unendo il settore lavorativo, il nucleo abitativo e quello destinato alla socializzazione: il primo, il lavorativo, è ubicato in una pianura ed è composto da diverse strutture, tra le quali una centrale idroelettrica, un porto e il complesso industriale; il secondo nucleo invece è alle pendici della collina circostante, è composto da edifici prevalentemente ad uno o due piani ed è disposto ordinatamente mantenendo i giardini in comune; il terzo, quello sociale, comprende il comune e tutti i poli amministrativi, accuratamente progettati nelle tavole che correlano il libro.
La modernità del progetto non è insita solo nelle forme della progettazione, vicine ai dettami razionalisti che trapelano l’imminente avvento del movimento moderno, ma soprattutto nella capacità di comprendere le esigenze di una generazione e di un sistema abitativo ormai obsoleto a causa degli incredibili mutamenti che avevano stravolto le città nell’ultimo secolo: Garnier è tra i primi a comprendere che la città ha bisogno di un piano anche sociale oltre che urbano, non tradendo le sue grandi fonti di ispirazione come Fourier, Jaures o Zola (al quale prende in prestito una frase a presentazione della tavola dedicata alla grande sala congressi della città).
Le Corbusier qualche anno dopo gli restituirà il merito di queste grandi visioni, citandolo nel suo Vers une architecture e pubblicando alcuni stralci del libro nella rivista “L’esprit nouveau”. La carta di Atene del 1933 sarà in parte figlia delle sue intuizioni.
Ciò che ne rimane oggi è l’innovativa freschezza di quelle idee, non tutte vincenti viste con un secolo di fermentazione, ma che in un cielo offuscato dalla fuliggine hanno aperto uno spiraglio di luce.
Letture consigliate:
Tony Garnier, Une cité industrielle: étude pour la construction des villes, Parigi, Massin, 1917
– Novecentismi architettonici – Un secolo, i suoi padri e i suoi figli
– Adolf Loos, Ornament und verbrechen, 1908
– Frank Lloyd Wright, Ausgeführte Bauten und Entwürfe von Frank Lloyd Wright, 1910
– Tony Garnier, Une Cité industrielle: Etude pour la construction des ville, 1917
– Bruno Taut, Die Stadkrone, 1919
– Le Corbusier, Vers une Architecture, 1923
– Walter Gropius, Internationale Architektur, 1925
– Henry-Russell Hitchcock, Philip Johnson, The International Style: Architecture Since 1922, 1932
– Sigfried Giedion, Space, Time and Architecture. The Growth of a New Tradition, 1941
– Aldo Rossi, L’Architettura della Città, 1966
– Robert Venturi, Complexity and contradiction in Architecture, 1966
– Rem Koolhaas, Delirious New York: A retroactive Manifesto for Manhattan, 1978 / S,M,L,XL, 1995