Continua la nostra passeggiata attraverso la storia teorica del secolo passato con i “Novecentismi architettonici”, la quale oggi ci fa approdare nella Germania di Konigsberg, la città che ha visto nascere, crescere e passeggiare con cadenza rigorosamente puntuale il filosofo Immanuel Kant. Ma non è di Fenomeno e Noumeno che parleremo oggi, bensì dell’architettura espressionista di Bruno Taut.
In realtà Taut a Konigsberg ci passerà poco più della giovinezza a Konigsberg, a differenza di Kant che invece vi trascorse la vita intera, ma l’adolescenza in questo caso è quanto basta ad apprendere alla scuola professionale le nozioni basilari per iniziare le sue esperienze in altre città tedesche: nel 1904 sarà già a Stoccarda e nel 1908 a Berlino. Ma l’esperienza che più lo formerà e lo consegnerà ai clamori internazionali sarà il Glaspavillon (1914), splendido fiore di vetro che esprime nei suoi colori e nella sua fragilità tutto il variegato spettro dell’animo umano. Paul Scheerbart, poeta tedesco, comporrà alcune frasi a decorazioni del fregio del padiglione eretto per l’esposizione del Werkbund di Colonia, oltre ad influenzare in maniera decisiva l’architetto tedesco.
Due anni dopo Bruno Taut inizia la stesura di “Die Stadtkrone”, edito solo nel 1919 a causa dello scoppio della prima guerra mondiale, libro con un utopica visione cittadina per certi versi vicina all’idea di Fourier: la speranza di un millennio senza religioni e disparità tra classi sfocia in una visione quasi anarchica che lo porta a definire “il socialismo nel senso non politico, apolitico del termine, vale a dire la semplice, autentica relazione degli uomini tra loro, fuori da ogni forma di dominazione, supera l’abisso che separa le classi e le nazioni, in lotta le une contro le altre, e unisce l’uomo all’uomo”.
La nuova città tautiana è una madre pronta ad ospitare 3 milioni di figli, spersi in un raggio circolare di circa 7 chilometri con nel mezzo “la corona della città” (che dà il titolo al libro) composta prevalentemente da una casa di cristallo senza alcun utilizzo pratico, ma con un forte impatto simbolico.

Parallelamente al libro “Die Stadtkrone” esce “Alpine Architektur”, nel quale Taut esordisce in frontespizio definendolo “giusto un’utopia e un piccolo divertimento”. Sarà questo “piccolo divertimento” a fare breccia con maggior incisività nella critica contemporanea: questa volta però cambia radicalmente la scala, quindi la città diventa un piccolo comune, ostile ai tecnicismi e al funzionalismo contemporaneo, approdando ad una visione che sfiora il paradosso, abbracciando il futurismo.
In tutto questo “magico mondo” però, Taut afferma che “l’arte non è più cosa a parte, ormai tutto il mondo ne è impregnato”, arrivando alla conclusione paradossale che coprire dalle Alpi al mediterraneo la terra di costruzioni cristalline in vetro è “decisamente poco pratico e inutile”, però “ciò che resta è il lavoro infaticabile e audace al servizio della bellezza, della subordinazione a ciò che c’è di più elevato”.
Letture consigliate:
Bruno Taut, Die Stadtkrone, 1919 – “La corona della città”, con saggio introduttivo di Ludovico Quaroni, Milano, 1973
Bruno Taut, Alpine Architektur, 1918 – “La via all’architettura alpina”, Faenza, 1976
– Novecentismi architettonici – Un secolo, i suoi padri e i suoi figli
– Adolf Loos, Ornament und verbrechen, 1908
– Frank Lloyd Wright, Ausgeführte Bauten und Entwürfe von Frank Lloyd Wright, 1910
– Tony Garnier, Une Cité industrielle: Etude pour la construction des ville, 1917
– Bruno Taut, Die Stadkrone, 1919
– Le Corbusier, Vers une Architecture, 1923
– Walter Gropius, Internationale Architektur, 1925
– Henry-Russell Hitchcock, Philip Johnson, The International Style: Architecture Since 1922, 1932
– Sigfried Giedion, Space, Time and Architecture. The Growth of a New Tradition, 1941
– Aldo Rossi, L’Architettura della Città, 1966
– Robert Venturi, Complexity and contradiction in Architecture, 1966
– Rem Koolhaas, Delirious New York: A retroactive Manifesto for Manhattan, 1978 / S,M,L,XL, 1995