Non voglio anelli, né smaniglie; i baci
tuoi, le carezze saran miei gioielli.
Poveri siamo, poveri saremo.Giulio Gianelli, Non era lei.
La vita
Giulio Gianelli nasce a Torino il 7 ottobre 1879, da Pietro, ingegnere, e da Gennarina Bauducco. Due anni dopo il padre emigra per ragioni lavorative in Argentina, dove presto scompare senza più dare alcuna notizia di sé. Nel 1883, il piccolo Giulio perde anche la madre. Trascorre l’infanzia in collegio, e quando, nel 1892, termina il sostegno economico di Mongini, compagno della madre dopo l’addio del padre, il giovane è costretto a stremanti e dolorose mansioni per pagarsi la retta.
Finalmente nel 1898 riesce a conseguire la maturità classica presso il liceo Cavour e, grazie alle entrate conseguite con la sua attività di ripetitore, lascia il collegio. Nonostante l’impossibilità di iscriversi all’università – la condizione economica del giovane poeta è davvero disastrosa – frequenta le lezioni di Arturo Graf (1848-1913), e stringe amicizia con gli autori crepuscolari dell’epoca, su tutti i concittadini Guido Gozzano (1883-1916) e Nino Oxilia (1889-1917). A questi anni risalgono il debutto poetico, sulle colonne della Gazzetta del popolo della domenica, ed i primi sintomi della malattia. Questa esperienza assume immediatamente un’importanza capitale nella poetica di Gianelli, che si avvicina alle opere mistico-religiose del Trecento. Si dedica inoltre alla sistemazione degli scritti creati fino ad ora. Nascono così le prime raccolte, pubblicate grazie all’aiuto degli amici più stretti: Tutti li angioli piangeranno (1903) e Mentre l’esiglio dura (1903). Tutta la prima produzione viene poi raccolta, nel 1904, in Mentre l’esilio dura. L’opera ottiene un discreto successo e Gianelli, dimesso dall’ospedale in cui era stato ricoverato dopo la scoperta del male, trova diversi impieghi temporanei, come conferenziere e collaboratore di riviste e quotidiani, che gli garantiscono una maggiore tranquillità finanziaria.
Tra il 1906 ed il 1908 (anno della pubblicazione della raccolta Intimi vangeli), Gianelli ottiene l’emancipazione letteraria dal contesto esclusivamente regionale. Si trasferisce a Roma, alla ricerca di una migliore qualità della vita. Nella capitale lavora con il Corriere d’Italia e con il Popolo romano. Aderisce al movimento per l’alfabetizzazione del contadini dell’Agro romano, e si reca a Messina, in qualità di soccorritore, durante il terremoto del 28 dicembre 1908. Di ritorno dalla Sicilia, Gianelli porta con sé due bambini miracolosamente sopravvissuti alla catastrofe, facendoli ammettere al collegio Nazareno di Roma.
Nel 1909 si occupa delle vicende editoriali dell’amico e collega Gozzano. Più tardi scopre invece la predilezione per la narrativa d’infanzia (L’Adolescenza la Storia di Pipino nato vecchio e morto bambino, pubblicato nel 1911, ottiene un buon successo).
Nel 1914, a causa di un violento attacco di polmonite, viene ricoverato nell’ospedale capitolino della Consolazione. Viene dimesso, ma la tregua dura poco, un mese scarso. La salute lo abbandona del tutto, e per sempre, il 27 giugno 1914.
La poetica
Quella di Gianelli è una poesia di eclissi ed esilio. Una poesia in cui è forte la presenza di quella mesta sensazione di precarietà delle condizioni di vita, dovuta alla terribile malattia. Tale sensazione inquietante e dolorosa, non causa nel poeta torinese un ripiegamento intimistico, bensì lo accompagna alla scoperta di un’umiltà cristiana. Trova sollievo e rifugio dalla labilità e dalla fragilità della propria, difficile e triste esistenza, in un fervore mistico verso la natura, in uno slancio panteistico, e nell’abbandono quasi infantile al sogno dolce e sorridente di una vita felice, che culmina nell’aspirazione di un amore matrimoniale – nel più alto senso del termine -.
Gianelli intende l’attività poetica come missione, come servizio da offrire all’umanità tutta, senza alcuna distinzione. Egli privilegia l’immediata espressione, e trasmissione sul foglio bianco, dei propri motivi interiori, dei propri turbamenti intimi. Gianelli rivolge lo sguardo verso spazi aperti, immensi, sconfinati e splendenti, inondati dalla luce del sole, verso atmosfere gaie, allegre, persino festose, sempre però velate da quell’incancellabile ed oblioso presentimento di morte tipico dei crepuscolari, ai quali appartiene.
Le poesie
Giulio Gianelli è un poeta dimenticato. La scelta di riproporlo a voi, cari lettori de iMalpensanti, è mossa dal mio spirito di rivendicazione verso autori poco noti eppure brillanti, autori che meritano di essere ricordati, tramandati, e non accantonati, non gettati nell’oblio buio e profondo dell’ignoto, dell’assenza.
Affinché Gianelli possa ancora sopravvivere, ecco alcune delle sue poesie più belle. Buona lettura.
NON ERA LEI
Fra le tristi e più care
memorie ho quella di un’illusa amica.
Mi cercò, la respinsi, mi rivolle:
ostinata, vegliò sul limitare
del mio spirito, come una mendica.
«Aprimi, io son colei che già cercasti
lungo l’adolescenza,
quando a te discoprivi
te stesso, modulando
voci di sogno che tu solo udivi.
Sono bella; i silenzi amo e le cose
intime: parlerò poco d’amore.
Non voglio anelli, né smaniglie; i baci
tuoi, le carezze saran miei gioielli.
Poveri siamo, poveri saremo.
Accoglimi!»
Così, per ore
lunghe, implorava, a mani giunte, invano.
– Entra – le dissi un giorno.
Entrò… Non era lei!
Piangemmo entrambi.
Poi ci lasciammo addolorati invano.
***
PRIMA NEVE
Sorrisa da occhi già mesti,
da voci giulive
di bimbi cui orna le vesti
discende da un grande mistero
la neve, e descrive
ne l’aria un suo lento pensiero.
Su i tetti colore di rosa,
su li alberi posa,
un attimo, poi non è più.
Svanita siccome un pensiero!
tornata al mistero!
Un’anima bella che fu.
***
A COLEI CHE MI SFUGGE
Sappilo, ancor io t’amo;
ma di serpenti imagino il tuo nome
scritto, con bel ricamo,
nel corusco baglior delle tue chiome.
E nelle tue pupille,
cerule fonti d’amoroso affanno,
veggo serpi tranquille,
che, fedelmente, covano l’inganno.
T’amo, di te mi struggo;
lo sanno rupi e balze ove deliro;
dalle memorie suggo
la tua voce il tuo gesto il tuo respiro.
Ma, balenando il vero,
ergomi fosco e giuro il mio riscatto;
scaglio l’igneo pensiero
a blasfemar nei sogni il tuo ritratto.
Vedi se ti rinnego:
in un canoro spasimo, il disperso
amor dal tuo diniego;
va, brace e fiamma, a crepitar nel verso.
O bella creatura,
giglio che tralignasti a poco a poco,
se per buona ventura
fossi di cera tu com’io son foco,
disfatta in me, non più
riluttante, né ostile alla mia gioia,
contro voglia, anche tu,
impareresti se d’amor si muoia.
***
ESCLUSA
«Ah! non uno è per me – l’afflitta piange –
dei fiori che mi sbocciano vicino;
se a coglierne io movo pel giardino
già ognuno trema e su lo stel si frange…
Alla mia vista soffrono… e perché?
sono l’unico amor d’una smarrita
che poco vive e sol da loro ha vita
e si negano ostili a lei… perché?»
La giovinetta manda tra le aiuole
un sospiro nostalgico… le guarda…
e, mentre al loco splendido si attarda
senza pur dire o concepir parole,
l’acutissimo aulir di primavera
anima degli innumeri rosai,
a lei che sempre fra le aiuole spera,
sempre ripete sorvolando: – mai! –
***
TI PORTO UN GIARDINO
Sognai: dalla fossa tua scura
chiedevi dei fiori al vicino;
io, vigile, intesi e gridai con premura:
– ti porto un giardino! –
Al Verbo d’amore
d’incanto il giardino fiorì,
con vario profumo, con vario colore,
tu, allora, dicesti: – così. –
***
ALBERI
Ben mi ricordo, alberi nativi,
ch’io vi sorpresi al lume di tranquille
notti, sognare, roridi di stille,
lungo le peregrine acque dei rivi.
Più tardi sorprendeste me, in estivi
giorni, povero, lacero da mille
strazi, sognar, con umide pupille,
bimbi dagli stellanti occhi giulivi.
Come volete ch’io non vi ricordi?
Esule, pure sotto il cielo natio,
ebbi soltanto voi misericordi.
Disertato dai più diletti cuori,
alla vostra ombra ne trovai l’oblio,
e mi sentii cospargere di fiori.
***
OLOCAUSTO
Ardua è l’impresa; ma non mai più bella
entrò ne’ i voti de l’umano orgoglio;
il mio coraggio non vi si ribella
onde, a compirla, sempre più m’invoglio.
Cerco la più delusa anima, voglio
far che riami con virtù novella,
e riscattarla d’ogni suo cordoglio,
con passione e farmela sorella.
La cerco, senza posa, peregrino
spargendo affetti e lacrime fintanto
che incontrandola un dì, sul mio cammino,
le gridi con ardor: «oh! benedetta,
vieni, vieni, confidami il tuo pianto,
e la mia vita, in olocausto, accetta».
***
BUIO
Io, come raggio consumai, lucendo
ora su questa ed or su quella fronte,
illuminando or l’uno or l’altro cuore,
così naturalmente,
per volontà d’espandermi; e la luce
che sparsi agli uni è duce
e li avvalora a vincere il destino,
feconda, in altri, attività d’amore;
ma niuno m’è vicino
ora che sono spento!
Sparvero tutti con la luce in fronte,
sparvero tutti con la luce in cuore,
e dal buio che sento
io, se riguardo in me, provo terrore.
In copertina: Antonio Ciseri, L’esule.