In occasione dell’uscita del libro“Coloreria Schamash”, fotografia segreta della Parigi di inizio Novecento scattata attraverso i vetri di una bottega, abbiamo pensato di scrivere una serie di spin-off legati al libro, dedicati ad alcuni personaggi meno trattati o temporalmente non presenti a Parigi in quel periodo, ma che meritavano ugualmente qualche riga, una fotografia.
Per colorare ancora di più le nostre parole abbiamo raccolto un “Diario delle storie incomplete”, nel quale raccogliamo con pretesto narrativo degli avvenimenti secondari, delle costole del racconto principale che è “Coloreria Schamash”.
Alfred Jarry
Un omino appena sopra il metro e cinquanta calpestava violentemente i piedi sul marciapiede producendo un rumore sordo che sembrava preannunciare l’arrivo di un gigante o di uno storpio. Capelli neri corvino nascosti sotto un cappello, scuro anch’esso, strisciato in cima da un po’ di gesso: la casa dove abitava era così bassa che strusciava la sua sommità contro il soffitto se stava in piedi, nonostante la statura. Ma d’altronde non poteva permettersi altro, e poi i soldi preferiva spenderli in pernod.
Trentenne e alcolizzato, scriveva dove poteva e abbracciava progetti editoriali con l’unico scopo di rinfacciare una volta di più l’assurdità dell’esistenza ai propri lettori, attaccando qua e là quella società borghese che non amava. Ubu era nato ormai, e camminava per Parigi: personaggio teatrale protagonista dei suoi testi immorali e assurdi, ambientati in Francia, in Aragona oppure in “Polonia, cioè da nessuna parte”. Ogni spettacolo era una rissa, un brusio di pubblico che si alzava come una marea con la notte. Neanche la “macchina decervellatrice” sarebbe bastata a rendere docili quei poveri reazionari.
In quel periodo scriveva prevalentemente sul “Mercure de France”, rivista letteraria che aveva visto sulle sue pagine le parole sfrontate di Mallarmé, e quando girava per Parigi amava cercarsi nelle edicole o sugli scaffali delle piccole librerie: amava vedere il suo nome sulla carta stampata, vederlo risaltare in cima all’articolo nella colonna a lui dedicata, lo faceva sentire presente.
Quel giorno era arrivato in rue Faubourg-Saint-Jacques, e teneva la Senna saldamente alle spalle: era appena passato davanti ad uno slargo dove appendevano i cartelloni delle pièce teatrali, immersi tra gli annunci pubblicitari di bistrot e di spacci di liquori, oltre ad un vespasiano ed un edicola. Jarry allora si sporgeva per leggere la spazzatura che passava per quei teatri, sezionava gli autori con lo sguardo e quando era molto indignato stracciava e strappava quei cartelloni per protesta, così come aveva tagliuzzato il ritratto che gli aveva fatto il Doganiere Rousseau salvandone alla fine solo il contorno del volto, la sua figura lo inquietava.
Terminato lo scrutinio giornaliero aveva proseguito per la strada attraversando boulevard du Montparnasse, imbattendosi in quello che era ai suoi occhi uno scenario apocalittico: di fronte a sé, distrutti, assassinati disordinatamente a terra, una ventina di copie del “Mercure de France”. Colpito nell’orgoglio come fosse stato calpestato lui stesso su quel marciapiede, alzò lo sguardo per leggere l’insegna, “Schamash”, ed entrò pronto per l’epico finale.
– Buongiorno signore! – esclamò il proprietario accigliato che sedeva dietro al bancone.
– Buongiorno a lei caro signore – ripeté Jarry trattenendosi le budella – sono entrato per chiederle se gentilmente sapeva dirmi chi sia il colpevole dell’omicidio avvenuto qui fuori? – O buon Dio, quale omicidio? – Tutte quelle riviste stracciate a terra non sono un omicidio per lei? – accusò Jarry cambiando tono – Se questo non è un delitto cosa lo è? Non so, veramente non so… – Glielo dico io signore, – caricò Jacob Schamash, proprietario della bottega – scrivere queste nefandezze è un delitto – disse alzando il tono mentre sventolava una copia del Mercure raccolta da terra logora come un calzino usato.
– Questo è davvero troppo, lei è un coglione signor Schamash, lasci che glielo dica, è il classico sciocco ben vestito. Non faccia il censore, fortunatamente siamo liberi di dire e fare ciò che vogliamo, se lei non lo sapesse… – Ma se ne vada, la finisca di insozzare le mie immacolate pareti con questi turpiloqui. – Immacolate, questa è bella. A vederle poi queste pareti, è così pieno di robaccia qui dentro che scommetto neanche lei si ricorderà più che squallida carta di parati ci sarà sotto questa paccottiglia da cantina! – Basta, questo è troppo – disse il signor Schamash scavalcando il bancone verso Jarry.
A quel punto il patafisico provocatore capì che era il momento di andare, girò i tacchi e corse verso la porta, attraversando l’uscio rapidamente. Le ultime parole che strillò verso il mercante scemavano con il successivo chiudersi della porta. Il mercante lo seguì fin fuori al locale, osservandolo mentre si allontanava.
Jarry si girò verso la coloreria che si era lasciato alle spalle, vide il mercante che saltellava, imprecando nella sua direzione, sopra le copie ormai stracciate e impastate dall’acqua piovana. Illeggibili. E d’altronde era illeggibile per chi era fermo nella rigida regola dell’esistenza come il mercante.
Jarry cercava altro, aspirava alla cieca e inflessibile mancanza di disciplina, alla libertà. Il libro “Coloreria Schamash” è disponibile su: