Henrik Ibsen, Hedda Gabler

Hedda Gabler, protagonista dell’omonimo dramma – pubblicato nel 1890 e rappresentato per la prima volta l’anno successivo -, è tra le figure più complesse ed inquietanti del teatro ibseniano. In lei sembra esserci un’aspirazione a qualcosa di grande, aspirazione che, a contatto con la realtà, muta in una mefistofelica malignità. Figlia del proprio padre, il generale Gabler, più che moglie del proprio marito, lo studioso Jörgen Tesman, Hedda non manca di sottolineare subito, nel primo atto, la differenza tra queste due famiglie, questi due mondi, quando finge, come spiegherà in seguito, di scambiare il cappello di Juliane Tesman, zia di Jörgen, per quello della domestica.

HEDDA (interrompendolo) Oh!… Credo che non potremo mai andare d’accordo con questa domestica, Tesman.
ZIA JULLE Con Berte?
TESMAN Cara, perché dici questo? Eh?
HEDDA (indicando col dito) Guarda! Mi dimentica il suo vecchio cappello sopra una sedia del salotto.
TESMAN (allibito lascia cadere le pantofole) Ma no Hedda, via…
HEDDA Pensa se qualcuno fosse entrato!
TESMAN Hedda, è il cappello della zia Julle!
HEDDA Davvero?
ZIA JULLE (prende il cappello) Sicuro, è il mio. E in quanto a esser vecchio non lo è affatto, signora Hedda.
HEDDA Per la verità non l’ho guardato molto bene, signorina Tesman.
ZIA JULLE (mettendosi il cappello e annodando i nastri) È veramente la prima volta che lo porto. Dio m’è testimone.
TESMAN Ed è bellissimo, veramente magnifico!
ZIA JULLE Oh non tanto, mio caro Jörgen. (Guardandosi intorno.) Il mio parasole? Ah! È qui! (Lo prende.) Perché anche il parasole è mio… (A bassa voce:)… non di Berte [1].

Una malignità sottile e raffinata quella di Hedda, che umilia la povera zia Julle, ma senza mostrarne l’intenzione [2]. Con sinistra abilità la protagonista maschera l’offesa in gaffe. Ma questo è niente. La vittima principale della malignità di Hedda è lo scrittore Eljert Lövborg. Scapestrato idealista, è stato redento da Thea Elvsted, che ha persino abbandonato la casa ed il marito per seguirlo, temendo una ricaduta. Ricaduta che avviene, puntualmente, e proprio per mano della protagonista. Dinanzi ad una sconcertata e spaventosa Thea, Hedda si giustifica così: «Io voglio, per una volta almeno nella vita, avere in pugno il destino d’un uomo!».

Durante una notte di bagordi, Eljert perde il manoscritto del suo ultimo lavoro, al quale stava collaborando anche la devota Thea, in qualità di musa ed assistente. I quaderni sono ritrovati da Jörgen Tesman, che li consegna alla moglie, Hedda. La protagonista non solo non li restituisce ad Eljert, ma spinge quest’ultimo al suicidio, per poi distruggere il manoscritto. È quanto accade in conclusione del terzo atto.

THEA Oh! Lövborg! Finalmente!
LÖVBORG Sì, finalmente. E troppo tardi.
THEA (guardandolo ansiosamente) Come troppo tardi?
LÖVBORG In tutti i sensi. Sono un uomo finito.
THEA Oh no, no! Non dire queste cose!
LÖVBORG Tu stessa lo dirai, quando saprai!
THEA Non voglio sapere nulla.
[…]
LÖVBORG Non si tratta di quanto è avvenuto stanotte.
THEA E di che cosa allora?
LÖVBORG Si tratta delle nostre strade che ormai si dividono.
THEA Le nostre strade si dividono!
HEDDA (involontariamente) Lo sapevo.
LÖVBORG Perché, Thea, tu non mi puoi più aiutare.
THEA E me lo dici così! Più nulla da fare! Posso pure aiutarti come ho fatto fino a oggi. Possiamo continuare a lavorare insieme!
LÖVBORG Ho l’intenzione di non scrivere più nulla.
THEA (con un profondo scoraggiamento) E allora, che ne farò della mia vita?
LÖVBORG Bisogna che tu cerchi di vivere come se non mi avessi mai conosciuto.
THEA Ma è impossibile.
LÖVBORG Provaci, Thea. Puoi tornare a casa tua.
THEA (ribellandosi) Mai! Voglio essere sempre dove sei tu. Non mi lascio scacciare così. Voglio rimanere qui, essere al tuo fianco quando uscirà il libro.
HEDDA (sovreccitata sottovoce) Ah sì, il libro!
LÖVBORG (guardandola) Ah sì, il libro!
LÖVBORG (guardandola) Il nostro libro, il mio e quello di Thea. Perché appartiene ad entrambi.
THEA Oh! Lo so. Ecco perché ho il diritto d’esserti a fianco quando sarà pubblicato, quando tutti ti renderanno onore. E poi la gioia! Quella gioia che voglio condividere con te.
LÖVBORG Thea, il nostro libro non sarà mai pubblicato!
HEDDA Ah!
THEA Non sarà pubblicato?
LÖVBORG No, non è più possibile.
THEA (con un presentimento doloroso) Lövborg, che ne hai fatto dei quaderni?
HEDDA (guardandolo febbrilmente) Sicuro, i quaderni!
THEA Dove sono?
LÖVBORG Oh! Thea, non chiedermelo.
THEA Voglio saperlo. Ho il diritto di saperlo, e subito anche.
LÖVBORG I quaderni! Ebbene sì. Li ho stracciati in mille pezzi.
THEA (gridando) Ah! No! No!
HEDDA (involontariamente) Ma non è…
LÖVBORG (guardandola) Crede che non sia vero?
HEDDA (calmandosi) Sì, naturalmente. Poiché lei stesso lo dice. Ma mi è sembrato così assurdo.
LÖVBORG Eppure è la verità.
THEA (torcendosi le mani) Oh! Dio! Dio! Hedda! Ha annientato l’opera sua.
LÖVBORG Ho annientato la mia vita. Ho potuto fare altrettanto dell’opera della mia vita.
THEA Ecco quello che hai fatto questa notte!
LÖVBORG Sì. Te l’ho detto: l’ho fatta a pezzi. E questi pezzi li ho gettati nel fiordo. Molto lontano. Laggiù c’è almeno l’acqua del mare. È molto fredda. Che se li porti via. Che se ne vadano alla deriva, in balia del vento. Fra poco, affonderanno. In fondo, sempre più in fondo… Come me, Thea.
THEA Sai, Lövborg? Quel libro… Per tutta la vita mi sembrerà che tu abbia ucciso nostro figlio.
LÖVBORG Hai ragione. È come un infanticidio.
THEA Ma come hai potuto? Il bambino apparteneva anche a me.
HEDDA (con voce quasi afona) Oh! Il bambino!
THEA (respirando penosamente) Dunque è finita. Sì? Sì, Hedda, ora me ne vado.
HEDDA Vuoi forse ripartire!
THEA Oh! Non so che farò. Non vedo che buio intorno a me. (Esce dalla porta del vestibolo.)
HEDDA (aspetta, per un momento immobile) Dunque non la vuole accompagnare, signor Lövborg?
LÖVBORG Io? Per la strada? Perché tutti vedano che è al mio fianco?
HEDDA Non so precisamente quello che è successo stanotte. Ma la cosa è veramente irreparabile?
LÖVBORG Il peggio è che non è finita con stanotte. Lo so. Ma ecco! Non ho nemmeno più la forza di condurre questa vita. Ricominciare è impossibile. Quella donna ha distrutto in me il coraggio di vivere, di affrontare la vita senza conformismi.
HEDDA (guardando fissamente innanzi a sé) Quella piccola oca soave ha tenuto tra le mani un destino umano. (Guardando Lövborg) Non importa! Come mai ha potuto essere così senza cuore con lei?
LÖVBORG Oh! Non dica che sono stato senza cuore!
HEDDA Distruggere così quello che per tanto tempo aveva colmato l’anima sua? Questo non è spietato forse, non è senza cuore?
LÖVBORG A lei, Hedda, posso dire la verità.
HEDDA La verità?
LÖVBORG Mi prometta prima, mi dia la sua parola d’onore che Thea non saprà nulla di ciò che sto per confidarle.
HEDDA Gliela do.
LÖVBORG Va bene. Sappia che non c’è nulla di vero in ciò che ho raccontato.
HEDDA Vuole parlare dei quaderni?
LÖVBORG Sì. Non li ho né strappati né gettati nel fiordo.
HEDDA Ma allora dove sono?
LÖVBORG Non ho affatto distrutta l’opera mia da capo a fondo, Hedda.
HEDDA Non comprendo.
LÖVBORG Thea ha detto or ora che la mia azione le sembrava in infanticidio.
HEDDA Sì, così ha detto.
LÖVBORG Ebbene! Uccidere il proprio figlio non è ancora il peggiore dei delitti che un padre può commettere verso di lui.
HEDDA Non è questo il peggiore dei delitti?
LÖVBORG No. Il peggiore di tutti è quello di cui non ho parlato per risparmiare Thea.
HEDDA Qual è questo delitto?
LÖVBORG Supponga, Hedda, che dopo una pazzesca notte d’orgia un uomo rincasi verso l’alba e dica alla madre di suo figlio: «Ascolta, sono stato qui, là, in questo e quel posto. E avevo condotto il nostro bambino in questi e quei luoghi. Il bambino è scomparso. Non l’ho più. Solo il diavolo sa in quali mani è caduto, chi lo ha rapito».
HEDDA Quand’anche il diavolo esistesse realmente, non si trattava che di un libro.
LÖVBORG La pura anima di Thea era trasfusa in questo libro.
HEDDA Sì, comprendo.
LÖVBORG Così lei può capire come non ci sia più avvenire né per lei né per me.
HEDDA Che decisione prenderà?
LÖVBORG Nessuna. Non voglio che una cosa: la fine di tutto. Più presto sarà, meglio è.
HEDDA (facendo un passo verso di lui) Ejlert Lövborg, m’ascolti. Non potrebbe fare in modo di… finire in bellezza?
LÖVBORG In bellezza? (Sorridendo) Coi pampini nei capelli, come immaginava un tempo.
HEDDA Oh, no! Non credo più alle ghirlande di pampini. Ma pure in bellezza! Per una volta! Addio. Ora vada via. E non torni più.
LÖVBORG Addio, signora. Tante cose da parte mia a Jörgen Tesman. (Fa per andarsene.)
HEDDA No, aspetti! Bisogna che porti con sé un mio ricordo.
(Si avvicina alla scrivania e apre il tiretto, poi l’astuccio delle rivoltelle che v’è chiuso, ne toglie una delle armi e torna verso Lövborg.)
LÖVBORG (guardandola) Questa? È questa il ricordo?
HEDDA (chinando lentamente il capo in segno affermativo) La riconosce? Un giorno fu puntata su di lei.
LÖVBORG Quel giorno avrebbe dovuto servirsene.
HEDDA Ebbene? L’adoperi ora lei.
LÖVBORG (mettendosi in tasca la rivoltella) Grazie!
HEDDA E poi, in bellezza, Ejlert Lövborg! Lo prometta!
LÖVBORG Addio, Hedda Gabler.
(Esce dall’uscio dell’anticamera. Hedda origlia un istante alla porta. Poi si avvicina alla scrivania e ne toglie il manoscritto. Guarda un momento la copertina, ne estrae qualche foglio sul quale getta un’occhiata. Poi prende il manoscritto e va a sedersi nella poltrona posta vicino alla stufa, con i quaderni sulle ginocchia: dopo un momento apre lo sportello.)
HEDDA (getta un quaderno nella stufa bisbigliando) Ora brucio tuo figlio, Thea, [mia bella testolina ricciuta!] (Getta parecchi altri quaderni.) Il bambino che hai avuto con Ejlert Lövborg. (Getta il resto.) Ecco, lo brucio… brucio il bambino [3].

Eljert Lövborg muore, ma per un incidente. Non finisce in bellezza come si auspicava Hedda. Inoltre l’assessore Brack è a conoscenza che è stata proprio la protagonista a fornirgli la pistola che ha causato, seppur incidentalmente, la morte dello scrittore. «Ah! Il ridicolo e la volgarità colpiscono come una maledizione tutto ciò che ho toccato», esclama Hedda, che, per paura di uno scandalo, si uccide.

Hedda è vittima della sua stessa malignità, che le si ritorce contro. Violento è il destino di colei che aspirava a qualcosa di grande, di superiore, di bello e di sublime. Perché violento è lo scontro con la realtà, volente o nolente, sempre ridicola e volgare.

NOTE

[1] Henrik Ibsen, Hedda Gabler, trad. it., di Lucio Chiavarelli ed Ole Jo Norby, in Henrik Ibsen, I capolavori, Newton Compton editori, Roma 2016, pp. 386-387.

[2] Personalmente trovo numerose analogie tra Hedda Gabler ed un’altra memorabile eroina letteraria: la Nastas’ja Flippovna de L’idiota di Dostoevskij. Anche quest’ultima si caratterizza per una sottile e raffinata malignità, si ricordi ad esempio l’episodio con il padre di Ganja.

[3] Henrik Ibsen, Hedda Gabler, op. cit., pp. 426-429.

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