Vincent van Gogh all’alba di un’esistenza

Per agire nel mondo bisogna morire a se stessi. Colui che fa il missionario di un’idea religiosa non ha altra patria che questa idea. L’uomo non è su questa terra soltanto per essere felice; non vi è neppure per essere semplicemente onesto. Vi è per realizzare grandi cose in favore della società, per raggiungere la nobiltà e superare la volgarità in cui si trascina l’esistenza di quasi tutti gli individui.” Ernest Renan

E’ incredibile quanto una decisione può cambiare la vita di un singolo individuo, sia essa presa attivamente o passivamente accettata. Eugénie Loyer, un’anonima ragazza orfana di un vicario del sud della Francia e trasferitasi insieme alla madre a Londra per iniziare una nuova vita, ricoprirà un ruolo decisivo nello sviluppo giovanile e nelle future tempeste emotive di uno dei più importanti pittori dell’800, Vincent van Gogh.

Fotografia di Vincent van Gogh nel 1872

Il giovane Vincent, affascinato dalla figura dello zio da cui tra l’altro aveva preso il nome, intraprese la sua stessa carriera divenendo ben presto un erudito esperto d’arte. Studioso appassionato, ebbe il merito di capire da subito le correnti artistiche preminenti, arrivando ad essere assunto alla galleria Goupil nella sede di L’Aia. Nel giugno del 1873, dopo diversi anni passati ed una notevole esperienza acquisito a dispetto della sua giovane età, venne trasferito a Londra nella sede centrale a Southampton Street.

L’artista ventenne inizialmente si sistemò in una pensione piuttosto cara, prima di trovare spazio a casa della famiglia Loyer, sotto il vigile controllo della vedova Ursula Loyer che, insieme alla figlia Eugénie, gestiva anche un piccolo asilo oltre a fornire ospitalità. Dall’agosto del 1873 si stabilisce definitivamente lì, intessendo rapporti intimi e familiari con i conviventi e nutrendo una particolare attenzione nei confronti di Eugénie, allora diciannovenne. La sensibilità della donna e l’amorevole cura verso il prossimo lo porterà a provare una sorta di affezione che confesserà alla sorella Anna in una lettera in quello stesso anno dove afferma “Non ho mai visto, né sognato niente di simile all’affetto che la unisce alla madre” ed invita la sorella a “volerle bene per amor mio”.

Vincent van Gogh, Disegno dell’abitazione in Hackford Road, Londra, 1873-74

E’ in questo periodo che l’artista comincia a “schizzare” i primi disegni, si avvicina alla pittura attraversando il Tamigi, dove spesso si fermava a disegnare il grigio panorama londinese, lungo il tragitto per tornare a casa. Ancora la madre racconta al fratello Theo di alcuni disegni inviatigli da Vincent in cui rappresentava con estrema precisione ed abilità la residenza dove alloggiava e la sua stanza. Inebriato dalla nuova esperienza e dall’emotivamente coinvolgente compagnia, le lettere di quel periodo non nascondono un van Gogh inedito, incredibilmente entusiasta per la “ricca pienezza di vita, dono di Dio”. Niente sembra distrarlo ed anche le piccole mancanze, come possono essere quelle degli affetti familiari, vengono sopperite dalle continue lettere che costantemente arrivano alla sua dimora. In settembre addirittura gli viene recapitato un ciuffo d’erba e una ghirlanda di foglie di quercia realizzata dal fratello Theo e provenienti dalla terra natia.

Dopo aver passato un tranquillo Natale, forse uno dei più felici della sua vita, ed aver ricevuto in gennaio un cospicuo aumento di stipendio, maturò la convinzione che fosse arrivato il momento di farsi avanti con la giovane Eugénie, ma la sua timidezza lo spinse ad aspettare fino a luglio per proporsi: poco prima della partenza per l’Olanda, dove avrebbe passato le vacanze estive e riabbracciato la famiglia, si dichiarò. La reazione però fu quanto mai tragica e dolorosa per un cuore teneramente e sinceramente innamorato come quello di Vincent, ancora innocente e sognatore, che nonostante il rifiuto cercò inizialmente di redimere la ragazza e farla tornare sui suoi passi, invano.

L’inizio di un periodo che proseguirà per il resto dei suoi giorni, fatto di delusioni per rapporti gestiti in maniera quasi vittimistica quelli di van Gogh. Sembra quasi che con il rifiuto di Eugénie, l’abbia rifiutato l’intero genere femminile, che da allora in poi amerà quasi con fini pastorali, adottando di tanto in tanto solo prostitute, donne con dei problemi sempre più gravi dei suoi, madri malate, fondamentalmente anime sole e senza scampo.

Il periodo successivo però, come è dimostrato dalle lettere che la madre indirizza a Theo durante l’estate in cui Vincent è tornato in Olanda, è ricco di ispirazione e fertile. E’ così probabilmente che il dolore si è trasformato in disegno, o meglio, ha trovato libero sfogo, scegliendo il percorso più semplice e naturale per esternare le proprie sofferenze. E’ in questi giorni e per colpa, o per merito, o semplicemente “per destino”, che Eugénie Loyer ha innescato una tragica scia di dolore, aprendo una ferita che lo porterà ad abbandonare il lavoro e Londra, e ad abbracciare il suo più intimo desiderio, la pittura.
Come in un vortice van Gogh non ha fatto altro che lasciarsi attirare dalla desolata sensazione di abbandono, finendo per elevare sempre di più i suoi lavori in maniera proporzionale alla crescita delle sue sofferenze, fino ad arrivare all’estremo gesto.

Quello di Eugénie è stata la prima goccia dunque, ma, forse, la più importante, perché se non avesse rifiutato il suo invito a sposarla ora Vincent van Gogh sarebbe stato solo un mercante. Un mercante qualunque.

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