Come nelle due precedenti opere di Ibsen analizzate, I Pilastri della società [1] e Casa di Bambola [2], anche in Spettri, pubblicata nel 1881 e rappresentata per la prima volta l’anno successivo negli Stati Uniti, sta al centro lo svelamento di ciò che si cela dietro le apparenze. Si può dire che molto, se non addirittura tutto il teatro ibseniano sia riassumibile in questa formula. Ibsen – fedele sempre al principio dell’essenzialità – straccia via il velo di Maya e mostra la nuda verità. Una verità sempre traumatica e scandalosa, capace di sovvertire l’intera realtà nella quale sono immersi i personaggi. Mentre però nei Pilastri della società e in Casa di bambola tale svelamento porta ad esiti positivi, collettivi da una parte ed individuali dall’altra, in Spettri porta ad esiti totalmente negativi, drammatici.
Osvald Alving eredita dal dissoluto padre, che Helene, madre di Osvald, si è sforzata di mantenere puro ed incontaminato agli occhi dell’opinione pubblica, la sifilide. E quando Helene confessa tutto al figlio, e persino che la cameriera Regine, che Osvald vuole sposare, in realtà è sua sorella, avuta dal padre in una clandestina relazione extraconiugale con una donna impiegata anni prima in casa Alving, assistiamo alla repentina degenerazione psico-fisica del giovane. Sono le ultime pagine del dramma, le più vibranti.
ALVING (mettendo le mani sulle spalle del figlio) Ragazzo mio, sei rimasto molto turbato?
OSVALD (girandosi verso di lei) Per quello che mi hai rivelato del babbo, vuoi dire?
ALVING Sì. Temo sia stato un colpo troppo forte per te.
OSVALD Perché? Cosa te lo fa credere? Naturalmente sono rimasto sorpreso. Ma in fondo questo non cambia niente.
ALVING (ritraendo le mani) Non cambia niente? Che tuo padre abbia avuto una vita così travagliata?
OSVALD Naturalmente ho provato un moto di compassione per lui come lo avrei provato per chiunque nelle sue condizioni.
ALVING Compassione, e basta? Per tuo padre?
OSVALD (smanioso) Mio padre, sempre mio padre! In realtà io non l’ho conosciuto. L’unica cosa che mi ricordo di lui è che una volta mi ha fatto vomitare.
ALVING Se ci penso, è tremendo! Mi sembra che un figlio dovrebbe amare suo padre, in ogni caso!
OSVALD Anche se non ha nessun motivo di gratitudine verso di lui? Anche se non l’ha mai conosciuto, mai sentito vicino? Converrai che anche tu sei schiava dei pregiudizi, malgrado voglia atteggiarti a donna evoluta!
ALVING L’affetto d’un figlio sarebbe un pregiudizio?
OSVALD Ma sì, cerca di riconoscere la verità! Ormai è un’idea che l’umanità intera comincia a conoscere!
ALVING (intensamente) Spettri!
OSVALD (camminando per la stanza) Spettri, sì! È un paragone appropriato!
ALVING Osvald! Allora non vuoi bene nemmeno a me!
OSVALD Te? te… almeno, ti conosco!
ALVING Già. Mi conosci. Ed è tutto.
OSVALD So che mi vuoi bene. Debbo quindi essertene riconoscente. E poi potrai essermi molto utile, dato che sono così ammalato.
ALVING Proprio così, caro. Dovrei quasi essere lieta di questa malattia che ti riporta a me. Giacché mi rendo conto di non possedere ancora il tuo affetto. Dovrò dunque conquistarmelo.
OSVALD (con febbrile impazienza) Sì, sì! E ora basta con le frasi fatte. Devi tener presente che sono un malato e che non posso occuparmi degli altri. È già duro dover pensare a me stesso.
ALVING (con dolcezza) Saprò essere paziente.
OSVALD E anche allegra, mamma.
ALVING Sì, caro. E adesso, dimmi: sono riuscita a cacciare via tutti i tuoi crucci, i tuoi rimorsi?
OSVALD Sì, ci sei riuscita. Ma ora chi mi libererà dalla paura?
ALVING Dalla paura?
OSVALD (riprendendo a camminare per la scena) Regine l’avrebbe fatto senza difficoltà.
ALVING Perché parli di paura e di Regine? [Che poteva farci, lei?]
OSVALD È notte fatta, vero?
ALVING Tra poco sarà giorno. (Va a guardare fuori della finestra.) Già l’alba arrossa la cima del fiordo. E sarà una bella giornata, Osvald, tra poco potrai vedere il sole.
OSVALD Come sono contento! Sì, avrei ancora tante occasioni di vivere e di godere…
ALVING Lo credo!
OSVALD … anche se non potrò più dipingere!
ALVING Ma no, [caro,] vedrai che presto potrai rimetterti al lavoro, ora che sei riuscito a liberarti di ogni pensiero cattivo.
OSVALD Hai fatto bene a scacciare dalla mia mente tutte quelle fantasie. Se ora potessi ancora sperare… (Torna a sedere sul divano.) Parliamo ancora un po’, mamma…
ALVING Sì, come vuoi tu. (Avvicina una poltrona al divano e siede accanto a lui.)
OSVALD … intanto si alzerà il sole e tu saprai tutto: così riuscirai a scacciare anche la mia paura.
ALVING Che vuoi dire con «tu saprai tutto…»?
OSVALD (senza risponderle direttamente) Ieri sera mi hai detto che non c’è cosa che non faresti per me se la chiedessi, vero?
ALVING Sì, è vero.
OSVALD Manterrai la promessa?
ALVING Sì, figlio mio. Vivo solamente per te.
OSVALD Bene; allora stammi a sentire. Tu sei una donna coraggiosa, lo so, piena di energia… perciò devi ascoltarmi senza interrompermi, senza reagire…
ALVING Devi dirmi allora una cosa tanto terribile?
OSVALD Non dovrai gridare. D’accordo? Promesso? Rimarremo seduti qui a parlare da buoni amici. Promettimelo, mamma…
ALVING Sì, te lo prometto. Adesso però dimmi tutto.
OSVALD Devi sapere che la mia stanchezza, la mia astenia sono solo dei sintomi del mio male.
ALVING E di che malattia si tratta, allora?
OSVALD La malattia che ho ereditato… (Si batte con un dito sulla fronte e aggiunge con un filo di voce:) È qui.
ALVING (anche lei sussurrando) No, no, Osvald!
OSVALD Non gridare! Ti prego, non potrei sopportarlo. Sì, il male è qui… in agguato. Può scoppiare da un momento all’altro.
ALVING Non capisco.
OSVALD Rimani calma. Ecco in che stato sono…
ALVING (balzando in piedi) Non è vero, Osvald! È impossibile, non può essere!
OSVALD A Parigi ho avuto un solo attacco. E passò presto. Ma quando ho saputo di che cosa si era trattato, sono corso qui da te, spaventato, inseguito dalla paura. Qui da te, immediatamente.
ALVING Era questa la paura…
OSVALD Sì, è qualcosa di un orrore indescrivibile. Magari fosse soltanto una malattia mortale. Non è che io abbia tanta paura di morire… malgrado adesso desideri vivere il più a lungo possibile.
ALVING Sì, Osvald, sì…
OSVALD Ma c’è nel mio male un aspetto orrendo. Ritorno come un fanciullo indifeso. Ho bisogno che qualcuno pensi a nutrirmi, persino a… Ah! Non ci sono parole per dirti quanto si soffre.
ALVING Un figlio ha sempre la mamma che può curarlo.
OSVALD (alzandosi in piedi anche lui) No, mai! È questo che non voglio assolutamente! Non voglio rimanere in quello stato, forse per anni: non voglio diventare vecchio in quelle condizioni. E poi tu potresti morire, lasciarmi solo. (Si mette a sedere nella poltrona della signora Alving.) Il medico mi disse che la malattia non comporta un immediato pericolo di vita… Il mio cervello si sta rammollendo… si intenerisce, disse così. (Sorride con molta tristezza.) Che espressione simpatica, no? Mi richiama alla mente la chiusura di un sipario di velluto rosso, squillante e morbido al tatto.
ALVING (con un grido) Osvald!
OSVALD (alzandosi e riprendendo a muoversi) Perché hai mandato via Regine? Perché non è qui? Lei mi avrebbe aiutato.
ALVING (avvicinandosi a lui) Che vuoi dire, figlio mio? Non c’è sollievo che non sia pronta a darti.
OSVALD Quando mi fui ripreso dal primo attacco, appena ripresi i sensi, voglio dire, il dottore mi disse che se l’attacco si fosse ripetuto – ed era certo che così sarebbe avvenuto – io non avrei avuto più nessuna speranza di salvarmi.
ALVING Ed ebbe il coraggio spietato di dirtelo?
OSVALD Fui io ad esigerlo. Gli dissi che dovevo prendere gravi decisioni… (Con lo stesso sorriso triste.) … in un certo senso è vero. (Trae dalla tasca una scatolina.) La vedi?
ALVING Che c’è dentro?
OSVALD Morfina.
ALVING (fissandolo spaventata) Figlio mio!
OSVALD Sono riuscito a mettere insieme dodici fiale.
ALVING (afferrando la scatola) Dammela!
OSVALD Non ancora, mamma. (La rimette in tasca.)
ALVING Io non sopravviverò!
OSVALD Devi sopravvivere. Se avessi avuto qui Regine avrei detto a lei come stavano le cose e avrei reclamato da lei quest’ultimo aiuto. Non si sarebbe rifiutata, ne sono certo.
ALVING Mai!
OSVALD Se l’attacco mi fosse preso in sua presenza e mi avesse veduto giacere impotente, come un bambino in fasce, condannato senza speranza, senza nessuna probabilità di salvezza.
ALVING Regine non avrebbe mai acconsentito
OSVALD Non avrebbe esitato. Era così deliziosamente leggera: si sarebbe presto stancata di curare un malato come me.
ALVING E allora Dio sia lodato per la sua partenza.
OSVALD Sì. Allora devi aiutarmi tu, mamma.
ALVING (soffocando un grido) Io?
OSVALD Solo tu puoi farlo.
ALVING Io, la tua mamma?
OSVALD Proprio per questo!
ALVING Io che ti ho dato la vita!
OSVALD Io non te l’ho chiesta, questa vita. Che razza di vita è quella che m’hai dato? Non la voglio! Riprenditela!
ALVING Aiuto, aiuto! (Esce gridando dal vestibolo.)
OSVALD (correndole dietro) Non lasciarmi solo! Dove vuoi andare?
ALVING Vado a chiamare un dottore. Fammi uscire, Osvald!
OSVALD (dopo averla raggiunta) Non uscirai… e nessuno entrerà qui. (Chiude la porta di ingresso a chiave.)
ALVING (rientrando in scena) Osvald… figlio mio!
OSVALD (seguendola) Che cuore di madre hai, se puoi lasciarmi soffrire questa angoscia senza nome?
ALVING (dopo un attimo di pausa, con una intonazione dove ogni emozione è dominata) Ecco la mia mano.
OSVALD Allora… lo farai?
ALVING Se sarà necessario. Ma non lo sarà, è impossibile!
OSVALD Speriamolo, se ti fa piacere. Cerchiamo di vivere uniti, quanto più a lungo possibile. Grazie, mamma. (Siede sulla poltrona della signora Alving. Si fa giorno. La lampada sulla tavola continua a rimanere accesa.)
ALVING (avvicinandosi piano piano) Se più calmo, adesso?
OSVALD Sì.
ALVING (chinandosi su di lui) È stata soltanto una terribile fantasia, solo una fantasia. Hai i nervi a pezzi. Adesso devi riposare qui vicino alla mamma, ragazzo mio adorato. Avrai tutto quello che vorrai, come quando eri piccolo piccolo. Vedi? Hai superato la crisi. Io lo sapevo! Guarda che bella giornata è venuta. C’è un bel sole. Ora sì potrai vederlo bene il tuo paese. (Va a spegnere la lampada. Il sole è ormai spuntato. Tutto il paesaggio si illumina dei suoi raggi.)
OSVALD (immobile nella poltrona, volge la schiena alla luce. Improvvisamente) Mamma, dammi ancora la luce.
ALVING (si ferma vicino alla tavola. Lo guarda impaurita) Che cosa dici?
OSVALD (ripete con voce rauca e atona) la luce… la luce!
ALVING (andandogli vicino) Che hai, Osvald? (Osvald sembra raggomitolarsi nella poltrona. I suoi muscoli perdono ogni tensione e il volto ogni espressione: gli occhi fissano il vuoto più assoluto. La signora Alving trema di orrore:) Che hai? (Grida:) Che ti succede, Osvald? (Si butta in ginocchio davanti a lui e tenta di scuoterlo.) Osvald! Osvald! Guardami! Non mi riconosci?
OSVALD (con la stessa voce atona) La luce!… La luce!…
ALVING (balza in piedi, disperata, si mette le meni nei capelli e grida) Non ce la faccio più! (A voce bassa:) Non ce la faccio più! (Improvvisamente:) Dove l’ha messa? (Cerca febbrilmente nella tasca di Osvald.) Eccola! (Fa qualche passo indietro e grida:) No, no, no!… Sì!… No, no… (Con le mani nei capelli, si mantiene a qualche passo dal figlio e seguita a fissarlo con muto terrore.)
OSVALD (immobile, nella poltrona) La luce!… la luce! [3]
Dichiara lo stesso Ibsen in una lettera del gennaio 1882, che «Spettri non si cura di proclamare un bel niente. Segnala solo che il nichilismo fermenta sotto la superficie» [4]. E questo è ciò che accade quando il nichilismo, nella prospettiva moraleggiante del drammaturgo norvegese, erompe alla luce del sole. Non c’è via di scampo.
NOTE
[1] Henrik Ibsen, I pilastri della società.
[2] Henrik Ibsen, Casa di bambola.
[3] Henrik Ibsen, Spettri, traduzione di Lucio Chiavarelli, in Henrik Ibsen, I capolavori, Newton Compton editori, Roma 2016, pp. 178-182.
[4] Citato in Giovanni Antonucci, Presentazione di Spettri, in Henrik Ibsen, I capolavori, op. cit., p. 131.