Pubblicata e rappresentata, per la prima volta, nel dicembre del 1879, Casa di bambola è tra le maggiori e più celebri opere teatrali di Henrik Ibsen. È il primo frutto straordinario di quella svolta ibseniana inaugurata dai Pilastri della società [1].
Al centro di Casa di bambola sta il rapporto tra moglie e marito – l’avvocato Torvald Helmer e la sua consorte, l’indimenticabile Nora – e, più in generale, il rapporto tra uomo e donna. Come accaduto già nell’opera precedente, I pilastri della società, Ibsen evidenzia le abissali differenze esistenti tra questi due poli, il mascolino e il femminino (in tal senso il suo teatro ricorda molto quello di Kleist, in cui le due polarità appaiono spesso in conflitto tra loro: si ricordino La famiglia Schroffenstein, Anfitrione, Pentesilea, Käthchen di Heilbronn e anche la novella La marchesa di O… [2]). Mentre l’uomo è tutto preso dai suoi doveri sociali, è un animale perfettamente sociale e dunque calcolatore, attento alla propria reputazione e via dicendo, la donna è capace di sacrificarsi e mettere in gioco se stessa per il bene di ciò che ama, ignara delle conseguenze e soprattutto delle leggi. Così Nora si rivolge ad uno strozzino per ricevere il denaro necessario per un viaggio in Italia che salvi la vita al marito, e non esita ad apporre sull’obbligazione la firma falsa del padre.
Nora per molti anni riesce a mantenere segreta questa storia, ma durante l’opera essa viene fuori, ed ecco che il marito, temendo per la propria reputazione, si scaglia contro la moglie, accusandola di immoralità e proclamandola incapace di educare i suoi tre figli. Nora sperava in un «miracolo», che non avviene, e allora decide, finalmente, di diventare una persona, una persona in carne e ossa, dotata di una propria coscienza, di un proprio cervello e di non essere soltanto una «bambola», come l’ha vista fino ad oggi Torvald e prima di lui suo padre.
L’opera di Ibsen si conclude con questo fondamentale dialogo tra Torvald e Nora, in cui quest’ultima comunica all’«estraneo» marito di voler lasciare lui, la casa, i figli per poter finalmente scoprire se stessa. La protagonista mostra una forza, una determinazione che Torvald, in otto e più anni di finzione, di allegria senza felicità, non ha mai immaginato potesse possedere. Da queste pagine memorabili emerge il ritratto di uno dei personaggi più riusciti di Ibsen, e di un’eroina tra le più rappresentative di tutto il teatro moderno.
NORA Siediti. Sarà una lunga conversazione. Abbiamo molte cose da dirci.
HELMER (sedendo) Mi preoccupi, Nora. Non ti capisco.
NORA Dici bene: non mi comprendi. E anch’io, non ti ho mai compreso… Sino a stasera. Non m’interrompere. Ascolta ciò che dico… Siamo arrivati alla resa dei conti.
HELMER Quali conti?
NORA (dopo una pausa) Eccoci qui, seduti l’uno di fronte all’altra; non significa nulla per te?
HELMER Che cosa?
NORA Siamo sposati da otto anni. Ed è la prima volta che ci parliamo seriamente, come marito e moglie. Riflettici.
HELMER Seriamente, sì… che vuoi dire?
NORA Otto anni sono passati… e anche più, tenendo conto del periodo in cui ci siamo conosciuti, e in tutto questo tempo non ci siamo mai scambiata una parola seria su un argomento serio.
HELMER Dovevo renderti partecipe, forse delle mie contrarietà, che non potevi aiutarmi a sopportare?
NORA Non parlo di contrarietà. Voglio dire che mai, in nessuna occasione, noi abbiamo cercato di discutere, di riflettere insieme sulla realtà delle cose.
HELMER Ma questo, cara Nora, non era affar tuo!
NORA Eccoci al punto! Non mi hai mai capita… Siete stati molto ingiusti con me, Torvald; papà prima, tu dopo.
HELMER Ma se ti abbiamo voluto bene sopra ogni cosa al mondo!
NORA Voi non mi avete mai amato. Vi siete divertiti a sentirvi innamorati di me!
HELMER Che significa questo modo di parlare?
NORA È così, Torvald: quando stavo con mio padre, egli mi esponeva le sue idee, e io le condividevo. Se pensavo diversamente, non me ne facevo accorgere. La cosa lo avrebbe contrariato. Mi chiamava la sua piccola bambola, e giocava con me, come io giocavo con le mie bambole. Poi, sono entrata in casa tua…
HELMER Adoperi delle strane espressioni per parlare del nostro matrimonio.
NORA (senza lasciarsi interrompere) Voglio dire che dalle mani di mio padre, sono passata nelle tue. Tu hai sistemato tutto secondo i tuoi gusti, e io li condividevo, o almeno facevo finta di accettarli. Non lo so. Forse un po’ una cosa, e un po’ l’altra. Se guardo al passato, mi sembra di essere vissuta qui come una mendicante: alla giornata. Per guadagnarmi da vivere ho dovuto fare delle piroette per te, e questo ti divertiva tanto! Tu e papà avete molti torti con me. È colpa vostra se sono diventata un nulla.
HELMER Sei assurda, Nora. Assurda e ingrata. Non sei stata felice in questa casa?
NORA Mai. credevo di esserlo, ma non lo sono mai stata.
HELMER Non eri… Non eri felice?
NORA No: soltanto allegra, ecco. Eri molto carino con me: ma la nostra casa non è stata altro che un luogo di ricreazione. La mia vita! Con mio padre, una bambola-figlia; con te, una bambola-moglie. E i nostri figli, le mie bambole. Mi divertivo quando giocavi con me, come loro si divertono quando giocano con me. Ecco cos’è la nostra unione, Torvald.
HELMER C’è qualcosa di vero in quello che dici… per quanto tu esageri. Ma, per il futuro, questo cambierà. È passato il tempo della ricreazione, adesso viene quello dell’educazione.
NORA Quale educazione, la mia o quella dei nostri figli?
HELMER Entrambe, cara Nora.
NORA Mio povero Torvald, non sei l’uomo che possa educarmi in modo da farmi diventare la moglie che ti necessita.
HELMER E sei tu a dirlo?
NORA Proprio io. Come potrei educare i ragazzi?
HELMER Nora!
NORA Scusa, non hai detto un momento fa che non avresti osato affidarmi un simile compito?
HELMER L’ho detto in un momento di rabbia. Non sono parole alle quali dar peso.
NORA Eppure l’hai detto molto seriamente. È un compito superiore alle mie forze, perché io devo, anzitutto, pensare ad educare me stessa. Ma tu non sapresti aiutarmi, devo fare da sola. Per questo ti lascio.
HELMER (alzandosi di scatto) Cosa dici?
NORA Devo essere sola per capire me stessa; per conoscermi e conoscere chi mi sta attorno. Non posso dunque restare con te.
HELMER Nora!
NORA Voglio andarmene subito. Karsten mi ospiterà per stanotte.
HELMER Hai perduto la testa. Non andartene. Te lo proibisco.
NORA Ormai non puoi impedirmi niente. Porto con me la mia roba. Da te non voglio, né vorrò mai nulla.
HELMER Sei pazza!
NORA Domani andrò a casa mia, voglio dire al mio paese… Lì troverò più facilmente da vivere.
HELMER Con la tua inesperienza? [Cieca che non sei altro!]
NORA Cercherò di imparare, Torvald.
HELMER Abbandonare il tuo focolare, tuo marito, i tuoi figli! Non pensi a quello che dirà la gente?
NORA Questo non basta a trattenermi dal farlo. So soltanto che non c’è altra soluzione per me.
HELMER Tutto questo è rivoltante! Così, sei pronta a tradire i tuoi doveri più sacri?
NORA Che intendi per sacri doveri?
HELMER E debbo dirtelo io? Quelli che hai verso tuo marito e i tuoi figli.
NORA Ne ho altri non meno sacri.
HELMER Non è vero. Di quali doveri parli?
NORA Dei doveri verso me stessa.
HELMER Prima d’ogni altra cosa, tu sei sposa e madre.
NORA Non credo più a questi miti. Credo di essere anzitutto un essere umano, come lo sei tu… o che almeno devo sforzarmi di diventarlo. So che la maggioranza degli uomini ti darà ragione, e che anche nei libri dev’esserci scritto che hai ragione. Ma io non posso più ascoltare gli uomini, né badare a quello ch’è stampato nei libri. Ho bisogno di idee mie e di provare a vederci chiaro.
HELMER La tua idea dev’essere la famiglia. Hai una guida infallibile: la religione.
NORA Povera me. Sono così ignorante in fatto di religione! Ricordo solo le parole che mi diceva il pastore Hansen alla viglia della prima comunione. Ma non bastano. Quando sarò sola e libera rifletterò anche sulla religione e vedrò se il pastore aveva detto la verità o almeno se la sua verità era valida per me.
HELMER Mi sbalordisci! Una donna che parla così! Ma se la religione non può guidarti, consulta almeno la tua coscienza. Perché suppongo che tu abbia, almeno, il senso morale? O, per caso, ne sei sprovvista? rispondimi!
NORA Non posso risponderti. Non riesco a ritrovarmi nel tuo mondo. So soltanto una cosa: che le mie idee differiscono totalmente dalle tue. Anche le leggi non sono quelle che credevo. Che siano leggi giuste, ecco una cosa che non mi entra in testa. Risparmiare un’angoscia al padre morente; salvare la vita al marito, non sarebbe dunque un diritto per qualsiasi donna? Non può essere così!
HELMER Parli come una bambina; non capisci nulla della società della quale fai parte.
NORA Hai ragione, non la capisco. Per questo voglio veder chiaro. Per accertarmi chi di noi due ha ragione; la società oppure io.
HELMER Sei ammalata, Nora; hai la febbre. Stai delirando.
NORA Non ho mai avuto la mente così lucida. [Non sono mai stata tanto sicura delle mie azioni.]
HELMER Ed è a mente lucida che abbandoni me e i bambini?
NORA Sì.
HELMER (dopo una pausa) Non c’è che una spiegazione possibile: non mi ami più.
NORA È vero. È così.
HELMER E me lo dici tanto tranquillamente!
NORA No, Torvald, te lo dico con immenso dolore, perché sei sempre stato tanto buono con me. Ma non so che farci: non ti amo più.
HELMER (contenendosi a stento) Ne sei proprio certa?
NORA Assolutamente. Ecco perché non posso rimanere in questa casa.
HELMER Vuoi dirmi in che modo ho perduto il tuo amore?
NORA Certamente. Stasera, quando non ho visto avverarsi il prodigio che aspettavo. Mi sono resa conto, allora, che non eri l’uomo che credevo.
HELMER Spiegati meglio. Non capisco.
NORA Per otto anni ho pazientato e atteso. Sapevo che i miracoli non avvengono tutti i giorni. Finalmente, è scoccata questa ora di angoscia. E, allora, mi son detta: «ecco, il prodigio sta per compiersi». Mentre la lettera di Krogstad era là, nella cassetta, non mi è nemmeno balenata l’idea che tu potessi piegarti alle condizioni che ti avrebbe dettato quell’uomo. Ero certa che gli avresti detto senza esitare: «Suvvia, pubblichi quel che le pare». E se Krogstad lo avesse fatto…
HELMER Tu saresti stata vittima del disprezzo di tutti.
NORA Ammesso anche questo, ero sicura che tu non avresti esitato a farti avanti e a dire: il colpevole sono io.
HELMER Nora!
NORA Tu vuoi dire che non avrei mai accettato un simile sacrificio. Senza dubbio no! [Ma le mie affermazioni non sarebbero valse a nulla di fronte alle tue. Ebbene, era quello il miracolo che aspettavo con trepidazione. Ed era per impedirlo che volevo morire.]
HELMER Io posso lavorare giorno e notte, sopportare ogni dolore per te; ma nessuno sacrifica l’onore a chi ama.
NORA Centinaia di migliaia di donne lo hanno fatto!
HELMER Non ragioni: continui a parlare puerilmente.
NORA Può darsi. Ma tu non pensi e non parli come l’uomo di cui potrei essere la compagna. Svanita la minaccia, placata l’angoscia per la tua sorte, non per la mia, hai dimenticato tutto. E io sono tornata ad essere per te la lodoletta, la bambola da portare in braccio. Forse da portare in braccio con più attenzione perché t’eri accorto che sono più fragile di quanto pensassi. (Si alza.) Ascolta, Torvald; ho capito in quell’attimo di essere vissuta per otto anni con un estraneo. Un estraneo che mi ha fatto fare tre figli… Vorrei stritolarmi! Farmi a pezzi! Non riesco a sopportarne nemmeno il pensiero!
HELMER Capisco. Siamo divisi da un abisso. Ma non potremmo, insieme…
NORA Guardami come sono ora; non posso essere tua moglie.
HELMER Ma io ho la forza di diventare un altro.
NORA Forse, quando non avrai più la tua bambola.
HELMER Separarci, Nora? Separarmi da te? No, no, non mi rassegno.
NORA (dirigendosi nella stanza di destra) Motivo di più per decidersi. (Esce e ritorna col mantello, il cappello, e una valigetta che depone su una sedia, vicino alla tavola.)
HELMER Aspetta domani. Ancora no, ancora no!
NORA (mettendosi il cappello) Sai bene che questo non durerebbe a lungo. (Si mette una sciarpa.) Addio, Torvald, non voglio vedere i bambini. Sono, del resto, in mani migliori delle mie. Adesso, non potrei più essere una madre per loro.
HELMER Ma un giorno, Nora… un giorno?
NORA Come posso risponderti? Non so quello che accadrà di me, non conosco la donna che diventerò.
HELMER Ma tu sei, rimarrai mia moglie, chiunque tu sia, chiunque tu divenga.
NORA Quando una donna abbandona la sua casa, come faccio stanotte, le leggi, mi sembra, sciolgono il marito da ogni impegno. Sia ben chiaro, comunque, che tu, per me, sei libero. Come sono libera io. Assoluta libertà da una parte e dall’altra. Ecco il tuo anello. Dammi il mio.
HELMER Anche questo?
NORA Sì.
[HELMER Eccolo.]
NORA Grazie. E adesso tutto è finito. Le chiavi sono là. Per dirigere la casa, Helene è pratica. Più di me. Domani, dopo la mia partenza, Karsten verrà a prendere la mia roba e me la manderà.
HELMER Tutto è finito. Penserai a me qualche volta?
NORA Certo che penserò spesso a te, e ai bambini, e alla casa.
HELMER Posso scriverti?
NORA No. Te lo proibisco.
HELMER Potrò almeno mandarti…
NORA Niente, niente…
HELMER Aiutarti, se ne avrai bisogno…
NORA No; non accetto nulla da un estraneo.
HELMER Resterò sempre un estraneo per te?
NORA (prendendo la valigetta) Oh, Torvald, dovrebbe accadere il più grande dei miracoli.
HELMER Quale?
NORA Dovremmo entrambi trasformarci a tal punto… Ma io non credo più nei miracoli.
HELMER Ma io voglio crederci. Continua: dovremmo trasformarci a tal punto che…?
NORA A tal punto che la nostra convivenza divenga un vero matrimonio. Addio. (Esce.)
HELMER (si accascia su una sedia, vicino alla porta, e coprendosi il viso con le mani) Nora, Nora! (Pausa. Alza la testa, si guarda attorno.) Il vuoto! È andata via! (Si ferma come per attendere qualche cosa. Poi, con speranza improvvisa) Il più grande dei miracoli?
(Si sente fuori scena il tonfo della porta di casa che si richiude.) [3]
NOTE
[1] Per un approfondimento sull’opera si veda l’articolo Henrik Ibsen, I pilastri della società.
[2] Di tutte queste opere mi sono occupato nei seguenti articoli: La famiglia Schroffenstein. Alla scoperta della prima opera kleistiana; L’Anfitrione secondo Kleist. Là dove è concesso solo sospirare; La bestiale Pentesilea di Heinrich von Kleist; Sonnambulismo e devozione nella Käthchen di Kleist; Heinrich von Kleist – La marchesa di O…
[3] Henrik Ibsen, Casa di bambola, in Henrik Ibsen, I capolavori, traduzione di Lucio Chiavarelli, Newton Compton editori, Roma 2016, pp. 124-128.