Il vero Scrittore, quello con la esse maiuscola, specie estinta ormai – del resto fuori è il nulla, e il nulla non si racconta, si vive – è un minatore, scava nell’uomo e dunque nel mondo. Non tutti gli Scrittori raggiungono lo stesso livello di profondità, giungono fin dove – anche fisicamente – è loro concesso. Ebbene, nella mia esperienza di lettore e studioso di letteratura, mi è capitato di imbattermi in un solo Scrittore che è stato capace di spingersi fino al fondo dell’uomo, nella parte più buia, umida e spaventosa di questa misera ma vasta miniera: Fëdor Dostoevskij. Già nella sua prova d’esordio, Povera gente, egli dà prova della sua formidabile capacità di scavo, di scandaglio. Capacità che si perfeziona durante quel doloroso tirocinio esistenziale e letterario che fu il carcere in Siberia. Dopo questa atroce, e al tempo stesso illuminante esperienza Dostoevskij scrive i suoi primi due grandi libri, non a caso due memorie: Memorie di una casa morta e Memorie dal sottosuolo. E l’uomo-topo, protagonista di queste ultime, come ho già scritto altrove, rappresenta il modello dei successivi, memorabili personaggi dostoevskiani.
Dopo le due Memorie Dostoevskij scrive moltissimo, e soprattutto quattro romanzi che costituiscono altrettante pietre miliari dell’intera storia della letteratura, d’ogni tempo e d’ogni luogo. In ordine cronologico: Delitto e castigo, L’idiota, I demoni e I fratelli Karamazov. Quattro opere monumentali che un lettore, per ritenersi davvero tale, non può, anzi non deve, ignorare. Più che frequentatore vero e proprio abitatore del fondo dell’uomo – e la fatica dello scavo si riflette nel suo passo strascicato, come se ai piedi portasse ancora i ferri del prigioniero – Dostoevskij estrae dalle tenebre e ci consegna Raskol’nikov, Sof’ja e Svidrigajlov; Myškin, Rogožin e Nastas’ja Filippovna; Stavrogin, Pëtr Verchovenskij e Kirillov; Dmitrij, Ivan, Alëša e Smerdjakov Karamazov, costruendo un ideale campionario del genere umano sconosciuto ad ogni altro Scrittore. E l’eccezionale abilità di Dostoevskij sta nel rendere vivi questi personaggi, e non presentarli solo come manichini. Egli li inserisce in contesti, ma soprattutto li rende protagonisti di azioni e discorsi attraverso i quali si mostrano interamente, nella loro essenza. Nel lettore, dopo aver letto questi capolavori, dei personaggi dostoevskiani resta il ricordo vivo, come se avesse avuto a che fare con loro in carne ed ossa. E spesso questo non accade neppure con persone reali. È qualcosa di impressionante. Ora, se penso a Myškin, me lo vedo comparire davanti, sorridere con quel suo sorriso bonario e malato che esprime tutta la sua natura bella, perfetta sintesi di Cristo e Don Chisciotte.
Dostoevskij muore nell’inverno del 1881, celebrato da tutta la Russia, e non solo. La sua pesante eredità la raccoglie Lev Tolstoj. Esistono due Tolstoj, un Tolstoj pre e un Tolstoj post 1881. Il primo Tolstoj non si spinge troppo in profondità nello scavo umano, anzi, resta fermo in superficie, legato alla sua condizione sociale privilegiata, di colui che scrive non per sopravvivere – come invece ha fatto in tutta la sua vita Dostoevskij, e questo rende le sue opere ancor più straordinarie -, ma per assecondare una propria attitudine, e crea opere come Guerra e pace e Anna Karenina, romanzi oggettivamente grandi, certo, ma che sanno di salotto. Il secondo Tolstoj – oltre alla conversione forse ispirata proprio dalla morte di Dostoevskij, chissà – afferra invece il piccone e inizia a scavare, e talvolta anche senza piccone, ma a mani nude, spaccandosi le unghie, ed ecco che dà alla luce opere davvero profonde come Sonata a Kreutzer, La morte di Ivan Il’ič, Padre Sergij e, soprattutto, Resurrezione, l’ultimo e più grande romanzo di Tolstoj. Sono questi i testi sacri del tolstoismo, vera e propria religione che pone al centro innanzitutto la vita terrena, che invita a pensare prima di tutto all’oggi e non a un presunto domani favolistico che non ha niente di concreto. Tolstoj esorta a mettere in pratica gli insegnamenti del Vangelo, per redimere se stessi e gli altri, qui e ora, come accade all’indimenticabile Nechljudov e all’altrettanto indimenticabile Maslova. E non per assicurarsi un posto in paradiso, ma per incidere concretamente nel mondo. Il secondo Tolstoj, soprattutto nell’ultima fase della sua esemplare parabola esistenziale, ricorda davvero i leggendari profeti veterotestamentari, e penso soprattutto a Mosè, il Mosè autore del libro della Genesi e del libro di Giobbe.
Pochi altri scrittori nella storia della letteratura possono essere paragonati per universalità a Dostoevskij e Tolstoj (penso a Omero, a Dante), questi due giganti le cui opere monumentali sono documenti indispensabili per la conoscenza di se stessi e dunque dell’uomo in generale. Delitto e castigo, L’idiota, I demoni, I fratelli Karamazov, Resurrezione, Padre Sergij sono testi necessari per chiunque voglia spingersi oltre le apparenze, scavare sotto la superficie e scoprirsi, e scoprire. Troverà di certo miseria e sporcizia, certo, ma forse, forse, è meglio vivere i pochi anni che ci sono concessi consapevoli, anzi che no.