Dimandato a che nascano gli uomini, rispose per ischerzo: a conoscere quanto sia più spediente il non esser nato.
Giacomo Leopardi, Detti memorabili di Filippo Ottonieri.
Philipp Mainländer, pseudonimo di Philipp Batz [1], nasce ad Offenbach am Main il 5 ottobre 1841, da quella che egli stesso definisce una «violenza carnale matrimoniale» [2]. A diciassette anni si trasferisce a Napoli, impiegato presso un istituto bancario. In Italia trascorre ben cinque anni, cruciali per la sua formazione filosofico-poetica. Si appassiona alla letteratura italiana, legge i grandi classici – Dante, Boccaccio, Petrarca – e, soprattutto, Giacomo Leopardi. A diciannove anni scopre, fortuitamente, Arthur Schopenhauer. Ecco come Mainländer descrive questo momento fondamentale:
«Nel febbraio del 1860 giunse il più grande ed importante giorno della mia vita. Entrai in una libreria e comincia a svogliare alcuni libri arrivati da poco a Lipsia. Trovai Il mondo come volontà e rappresentazione di Schopenhauer. Ma chi era Schopenhauer? Non ne avevo mai sentito il nome. Sfogliai l’opera, lessi della negazione della volontà di vivere, nel testo trovai citazioni a me note, che mi fecero trasognare. Mi dimenticai di tutto ciò che mi circondava e mi sprofondai nella lettura. […] Afferrai il mio tesoro e mi precipitai come un pazzo da quel luogo verso casa, dove con fretta febbrile tagliai il primo volume e cominciai a leggerlo dall’inizio. Era già giorno pieno quando smisi. Avevo letto l’intera notte senza sosta. – Mi alzai e mi sentii come rinato».
Ed è proprio su di una radicale ed intransigente reinterpretazione di Schopenhauer che si fonda il pensiero di Mainländer, esposto nella sua unica opera filosofica, La filosofia della redenzione (Die Philosophie der Erlösung, 1876), nella quale non mancano inoltre echi leopardiani, come ad esempio «un’appassionata e dolorosa sensibilità per la sofferenza degli uomini» [3], «visti sempre più come vittime che come carnefici della sofferenza in cui si trovano a vivere» [4].
Alla base del pensiero di Mainländer sta il principio morale che «il non-essere è meglio che l’essere» (straordinaria l’affinità con il detto di Filippo Ottonieri posto in esergo). Una sostanziale differenza tra Schopenhauer ed il suo «Paolo» (così si definisce Mainländer, tale è la sua devozione per il maestro) riguarda la concezione della «cosa in sé», che l’autore del Mondo come volontà e rappresentazione individua nella «volontà di vita», mentre Mainländer, all’opposto, individua nella «volontà di morte», comune a tutti gli esseri. Come scrive Franco Volpi, tale volontà «nasce dal processo attraverso il quale la sostanza divina originaria […] trapassa dalla sua unità trascendente alla pluralità immanente del mondo» [5]. Da ciò una delle citazioni più celebri di Mainländer, se non la più celebre in assoluto: «Dio è morto e la sua morte fu la vita del mondo». Il filosofo di Offenbach anticipa così Nietzsche, il quale a sua volta proclamerà, nell’indimenticabile aforisma 125 della Gaia scienza (1882) [6], la morte di Dio. Nei due filosofi sono tuttavia differenti le cause della morte di Dio: in Nietzsche è ucciso dall’uomo, mentre in Mainländer si uccide, cedendo all’innato impulso a passare dall’essere al nulla [7].
È bene precisare che Mainländer, fedele alla kantiana filosofia del limite, resta un pensatore immanente, l’immanentismo è la sua cifra. Egli non crede nella possibilità di conoscere la natura del principio divino, ed il suo obiettivo è fondare un «ateismo scientifico»:
«[…] Mainländer attribuisce alla sua filosofia il compito di riprendere e sviluppare in termini razionali il contenuto delle religioni storiche – in particolare del buddhismo e del cristianesimo -, e soprattutto di portare a compimento la riaffermazione dell’individuo, il che può avvenire, secondo Mainländer, solo attraverso una fondazione “scientifica” dell’ateismo. Alle religioni della redenzione, fondate sulla fede, si sostituirà così la sua “filosofia della redenzione”» [8].
Come già accennato il mondo, per il filosofo di Offenbach, ha origine dalla volontà divina di passare dall’essere al nulla, più precisamente, dall’attuazione di tale volontà, dalla «autocadaverizzazione di Dio», come scrive Mainländer. Da ciò deriva che l’intero mondo, e tutto ciò che noi vediamo nel mondo, «è manifestazione di questa volontà d’autoannullamento» [9].
Mainländer pone al centro della sua etica la verginità e, soprattutto, il suicidio, suicidio come unica soluzione alle sofferenze e come redenzione dall’esistenza. Scrive il filosofo di Offenbach: «Ma al fondo, il filosofo immanente vede in tutto l’universo il più profondo desiderio di un assoluto annichilimento ed è come se udisse chiaramente l’invocazione spingersi attraverso tutte le sfere celesti: Redenzione! Redenzione! Morte alla nostra vita! – e la consolante risposta ad essa: – voi tutti troverete l’annichilimento e sarete redenti».
Al contrario del suo amato, venerato maestro, Mainländer, utilizzando le parole di Carlo Michelstaedter, non si limita a fare «professione di pessimismo». Dopo aver ricevuto la prima copia a stampa della Filosofia della redenzione, si impicca tra la notte del 31 marzo e il 1° aprile 1876. Espressa la sua parola, prima eppure già definitiva, Mainländer ritiene di aver portato a termine il suo compito, e decide di redimere innanzitutto se stesso, guardando dritto negli occhi il Nulla assoluto e trovando in esso, finalmente, la pace [10].
[1] Scrive il filosofo ad un editore di Lipsia: «Io appartengo a coloro dei quali il mistico Tauler disse: loro si nascondono alle altre creature, nessuno può parlare di loro né bene né male. […] Dovrei perciò chiederLe cortesemente di darmi la Sua garanzia di non nominarmi mai come l’autore della Filosofia della redenzione. Naturalmente Le rivolgo la stessa cortesia, nel caso in cui Lei dovesse respingere l’edizione dell’opera. Per questo lavoro io sono Philipp Mainländer e voglio che ciò sia sino alla morte e per tutto il tempo a venire». Citato in Fabio Ciracì, Verso l’assoluto nulla. La filosofia della redenzione di Philipp Mainländer, Pensa Multimedia, Lecce 2006, p. 59.
[2] Citato in Giuseppe Invernizzi, Il pessimismo tedesco dell’Ottocento: Schopenhauer, Hartmann, Bahnsen e Mainländer e i loro avversari, La nuova Italia, Firenze 1994, p. 263.
[3] Ivi, p. 264.
[4] Ivi, p. 265.
[5] Franco Volpi, Mainländer una filosofia da suicidio, «Repubblica», 2001.
[6] «125. L’uomo folle. Non avete sentito parlare di quell’uomo folle che, nel chiarore del mattino, accendeva una lampada, andava al mercato e gridava incessantemente: “Cerco Dio! Cerco Dio!”. Poiché molti di coloro che si trovavano là non credevano in Dio, suscitò una gran risata. “Si è forse perduto?”, disse uno. “Ha smarrito la strada, come un bimbo?”, disse un altro. “O forse si è nascosto? Ha paura di noi? Si è imbarcato? È emigrato?”. E così gridavano e ridevano insieme. Il folle balzò in mezzo a loro e li trafisse con lo sguardo. “Dov’è andato Dio?”, gridò. “Ve lo dico io. L’abbiamo ucciso noi, – voi e io! Noi tutti siamo i suoi assassini. Ma come abbiamo fatto? Come siamo riusciti a bere tutto il mare, fino all’ultima goccia? Chi ci ha dato la spugna per cancellare tutto l’orizzonte? Che cosa abbiamo fatto, quando abbiamo svincolato questa terra dal suo sole? Ma in che direzione si muove, adesso? In che direzione ci muoviamo noi? Lontano da ogni sole? Non precipitiamo sempre più? E all’indietro, di lato, in avanti, da ogni parte? Esistono ancora un sotto e un sopra? Non vaghiamo attraverso un nulla infinito? Non avvertiamo l’alito dello spazio vuoto? Non fa più freddo? Non scende di continuo la notte, sempre più notte? Non occorre accendere la lampada anche al mattino? Non sentiamo il frastuono dei becchini che stanno seppellendo Dio? Non sentiamo ancora l’odore della putrefazione divina – anche gli dèi si putrefanno? Non è troppo grande per noi, la grandezza di questa azione? Non dobbiamo diventare dèi noi stessi, per essere degni di lei? Non c’è mai stata azione più grande – e chi nasce dopo di noi appartiene, in virtù di questa azione, a una storia più elevata di quanto non sia stata la storia fino ad oggi!”. A questo punto il folle tacque e riprese a osservare i suoi ascoltatori: anch’essi tacevano, guardandolo estraniati. Infine egli gettò per terra la sua lampada, che andò in mille pezzi e si spense. “Sono venuto troppo presto”, disse poi, “non è ancora l’ora. Questo evento enorme è ancora per strada, in cammino, – non è ancora giunto alle orecchie degli uomini. Lampo e tuono hanno bisogno di tempo, la luce degli astri ha bisogno di tempo, le azioni hanno bisogno di tempo, anche dopo essere state compiute, per essere viste e udite. Questa azione è ancora più lontana degli astri più lontani, – eppure sono stati loro a compierla!”. Si dice anche che il folle, quello stesso giorno, sia penetrato in diverse chiese e vi abbia intonato il suo Requiem aeternam deo. A chi lo conduceva fuori e cercava di farlo parlare, rispondeva sempre: “Che cosa sono ormai queste chiese, se non le tombe e i monumenti funebri di Dio?”». Friedrich Nietzsche, La gaia scienza, trad. it. di Francesca Ricci, in Friedrich Nietzsche, Opere. 1882/1895, Newton Compton editori, Roma 2008, pp. 121-122.
[7] Nietzsche conosceva, e bene, Mainländer, ma il suo giudizio sul filosofo di Offenbach era tutt’altro che lusinghiero. Si legga ad esempio il frammento 357 della Gaia scienza: «O forse si dovrebbero annoverare tra i veri Tedeschi dilettanti e vecchie zitelle come Mainländer, il dolciastro apostolo della verginità? Alla fin fine sarà stato un ebreo (tutti gli Ebrei diventano dolciastri, quando fanno del moralismo). Né Bahnsen, né Mainländer, né Eduard von Harmann contribuiscono a rispondere con certezza alla domanda se il pessimismo di Schopenhauer, il suo sguardo atterrito in un mondo divenuto privo di Dio, stupido, cieco, pazzo e dubbio, il suo sincero terrore… non costituisca, lungi da essere un’eccezione rispetto ai Tedeschi, un evento tedesco: mentre tutto quello che per il resto si trova in primo piano, la nostra prode politica, il nostro allegro amor di patria, che decisamente osservano tutte le cose basandosi su un principio poco filosofico («Deutschland, Deutschland über alles»), cioè sub specie speciei, soprattutto la species tedesca, testimonia con grande chiarezza il contrario. No! I Tedeschi di oggi non sono pessimisti! E Schopenhauer, vogliamo ripeterlo ancora una volta, era un pessimista in quanto buon Europeo e non in quanto tedesco». Friedrich Nietzsche, La gaia scienza, op. cit., p. 187.
[8] Giuseppe Invernizzi, Il pessimismo tedesco dell’Ottocento, op. cit., p. 266.
[9] Franco Volpi, Dizionario delle opere filosofiche, Mondadori, Milano 2000, pp. 709-710.
[10] Nell’immediato La filosofia della redenzione conobbe un grande successo (si ricordi l’attenzione di Nietzsche), precipitando però ben presto nell’oblio. Tuttavia, negli anni avvenire, autori importanti e particolarmente significativi del XX secolo faranno la conoscenza di Mainländer, Borges e Cioran su tutti. Scrive il primo: «Rileggendo questa nota, penso a quel tragico Philipp Batz, che nella storia della filosofia si chiama Philipp Mainländer. Fu, come me, lettore appassionato di Schopenhauer. Sotto il suo influsso (e forse sotto quello degli gnostici) immaginò che siamo frammenti di Dio, che all’inizio dei tempi si distrusse, avido di non essere. La storia universale è l’oscura agonia di quei frammenti. Mainländer nacque nel 1841; nel 1876 pubblicò il suo libro, Filosofia della redenzione. In quello stesso anno si dette la morte» (Jorge Luis Borges, Altre inquisizioni, Feltrinelli, Milano 200). Scrive il secondo: «Da studente ero stato indotto ad occuparmi di Schopenhauer. Fra questi vi era un certo Philipp Mainländer che mi aveva colpito in modo particolare. Autore di una Filosofia della liberazione, possedeva inoltre ai miei occhi lo splendore che conferisce il suicidio. Mi vantavo di essere l’unico ad interessarsi ancora di quel filosofo, completamente dimenticato; del resto, non avevo in ciò nessun merito, dato che le mie ricerche dovevano condurmi inevitabilmente verso di lui. Quale non fu la mia sorpresa quando, assai più tardi, m’imbattei in un testo di Borges che per l’appunto lo traeva dall’oblio!» (Emil Cioran, Esercizi di ammirazione. Saggi e ritratti, Adelphi, Milano 1995).
Ciracì F., Verso l’assoluto nulla. La filosofia della redenzione di Philipp Mainländer, Pensa Multimedia, Lecce 2006.
Invernizzi G., Il pessimismo tedesco dell’Ottocento: Schopenhauer, Hartmann, Bahnsen e Mainländer e i loro avversari, La nuova Italia, Firenze 1994.
Volpi F., Dizionario delle opere filosofiche, Mondadori, Milano 2000.
Volpi F., Mainländer una filosofia da suicidio, «Repubblica», 2001.