Erasmo da Rotterdam – Elogio della follia

Infatti gli ostacoli principali per farsi un’idea delle cose sono il ritegno, che annebbia lo spirito, e la paura, che mostrando i pericoli distoglie dal prendere iniziative. La follia libera magnificamente da entrambi.

Erasmo da Rotterdam, Elogio della follia, 1509.

Oltre al rinnovamento dell’uomo, vi è al centro del pensiero filosofico rinascimentale l’idea di un rinnovamento della vita religiosa. Dopo i secoli bui del Medioevo, caratterizzati da credenze spinte al limite della superstizione, gli umanisti vogliono riscoprire la purezza, l’autenticità della religione. Per fare questo è necessaria un’interpretazione delle fonti della religione cristiana che si allontani dalla teologia greca, più in generale orientale, e che ritorni invece al verbo di Cristo, alle verità rivelate nel testo sacro, la Bibbia. In questo senso, la parola di Dio non si deve rivolgere solamente ai dotti, agli intellettuali, ma a tutti gli uomini, anche quelli culturalmente meno preparati, e il suo scopo non deve essere quello di indirizzare una particolare visione filosofica della vita, ma la vita stessa. La fede deve rinascere innanzitutto nella coscienza dell’uomo, libera dai vincoli tradizionali che, soprattutto nel Medioevo, l’hanno colpevolmente limitata.

Nel Rinascimento si avvia dunque una vera e propria riforma della vita religiosa, che a livello umanistico ha in Erasmo da Rotterdam (1466-1536) il suo massimo rappresentante. La sua opera più celebre è senza dubbio l’Elogio della follia (1509). In questo testo fondamentale, attraverso un utilizzo sottile e raffinato della satira, del sarcasmo e dell’ironia, Erasmo mette in risalto il degrado, lo sfacelo morale del mondo a lui contemporaneo, e in particolar modo dell’istituzione allora più autorevole, la Chiesa.

La follia, personificata, ed è questo un aspetto da sottolineare e tenere sempre in considerazione, parla a un’assemblea gremita con fare allegro, scherzoso, vagamente canzonatorio nei confronti degli astanti e di noi lettori. La follia si fa portavoce di idee a volte condivise da Erasmo, come l’assenso al modus operandi della natura, oppure come la rivalutazione del piacere, componente essenziale nella vita di un uomo, a volte invece distanti dalla filosofia del pensatore umanista, come l’essenzialità della pratica adulatoria, degli equivoci del giudizio e dell’inganno.

Insomma, attraverso la sola figura della follia, Erasmo espone le sue teorie e al tempo stesso critica, nel senso più moderno del termine, aspetti spregevoli della società di allora che si sono diffusi a macchia d’olio, contaminando persino la Chiesa e le autorità ecclesiastiche. E solamente prendendo atto dell’esistenza della pazzia, che nell’opera declama come una sapiente e scaltra oratrice, si può giungere a una conoscenza autentica. Riconoscere la follia per giungere alla verità. Un processo per certi versi analogo a quello intrapreso da Nicola Cusano (1401-1464) [1],  secondo il quale solamente attraverso il riconoscimento dell’ignoranza si può essere davvero dotti.

Altra opera rilevante all’interno della produzione filosofico-letteraria erasmiana, è il Manuale del milite cristiano (1503), nel quale sono anticipati i temi principali della polemica protestante contro la Chiesa, che di lì a poco intraprenderà Lutero [2]. Alla cultura prettamente teologica che plasma il dotto, il pensatore olandese oppone la fede religiosa, che foggia l’eroico soldato di Cristo. L’arma primaria e più efficace di quest’ultimo è la lettura e l’interpretazione della Bibbia. La riforma della vita religiosa, e più in generale umana, auspicata da Erasmo deve necessariamente partire da qui, da un ritorno alla lettura e alla comprensione del testo sacro. La rinascita, e il conseguente rinnovamento, devono essere indirizzate, illuminate, guidate dalla parola e dall’insegnamento di Cristo. L’erudizione, la dottrina teologica permette all’uomo di avere la meglio nei dibattiti, nei discorsi, negli scontri verbali, filosofici, intellettuali, ma non conduce alla vera, autentica fede, alla grazia, alla carità.

Con la composizione del Manuale del milite cristiano Erasmo fissa il punto essenziale, imprescindibile della Riforma, ossia il rinnovamento degli spiriti cristiani mediante il ritorno sincero, schietto alle fonti, ai documenti, ai testi fondamentali del Cristianesimo.

Diversi anni più tardi la pubblicazione del manuale, nel 1519, Lutero chiederà a Erasmo di sostenere pubblicamente la Riforma protestante. Quest’ultimo, pur essendo d’accordo con molte delle idee luterane, rifiuterà. Non solo, nel 1524 criticherà Lutero sulla questione del libero arbitrio. Secondo il filosofo olandese l’uomo possiede infatti la libertà di poter decidere se salvarsi oppure no. La salvezza dipende da lui, e da una miracolosa collaborazione con Dio.

Detto ciò, propongo di seguito un passo particolarmente indicativo dell’opera più celebre di Erasmo da Rotterdam, l’Elogio della follia.

«Infatti gli ostacoli principali per farsi un’idea delle cose sono il ritegno, che annebbia lo spirito, e la paura, che mostrando i pericoli distoglie dal prendere iniziative. La follia libera magnificamente da entrambi. Fra i mortali sono in pochi a capire per quanti altri vantaggi riesca utile non vergognarsi mai ed essere pronti a tutto.
Se invece si preferisce considerare la saggezza dal punto di vista del giudizio sugli oggetti, vi prego di ascoltare quanto siano lontani da essa quelli che si spacciano per saggi. Anzitutto si sa che tutte le cose umane, come i Sileni di Alcibiade, hanno due aspetti diversissimi fra loro: ciò che a prima vista, come si dice, è morte, se lo guardi più all’interno si rivela vita; la vita invece si rivela morte, ciò che è bello, brutto, ciò che è sontuoso, misero, ciò che è infame, glorioso, ciò che è dotto, ignorante, ciò che è forte, debole; ciò che è nobile, plebeo, ciò che è lieto, triste, la fortuna sfortuna, l’amico nemico, ciò che è salutare nocivo: insomma una volta aperto il Sileno troverai capovolti tutti i valori. Se a qualcuno l’espressione sembra troppo filosofica, eccomi pronta a spiegarla alla buona. Come si fa a non ammettere che un re è un magnifico signore? Ma non ha alcuna qualità morale, ma nulla gli basta: non c’è dubbio, è in miseria. Il suo animo è soggetto a moltissimi vizi: eccolo indegnamente schiavo. Con lo stesso metodo si potrebbe fare della filosofia anche negli altri casi, ma può bastare aver presentato questo come esempio. Dove va a parare? dirà qualcuno. Sentite dove portiamo il discorso. Se uno cercasse di togliere le maschere agli attori che recitano sulla scena e di mostrare agli spettatori il loro aspetto vero e naturale, non rovinerebbe l’intero dramma e non meriterebbe, secondo gli altri; che tutti lo cacciassero dal teatro a sassate come un pazzo furioso? Improvvisamente le cose assumerebbero un altro volto, chi prima era donna adesso è uomo, chi prima era giovane subito dopo è vecchio, chi poco prima era re diventa di colpo Dama, chi prima era re un ometto da nulla.
Sopprimere l’inganno, però, significa scompigliare tutto quanto il dramma. È proprio la finzione, il trucco che cattura l’attenzione degli spettatori. L’intera vita dei mortali, poi, cos’altro è se non un dramma in cui diversi attori si fanno avanti con maschere diverse e recitano ognuno la sua parte, finché il regista non li fa uscire di scena? Spesso però fa uscire la stessa persona truccata diversamente, sicché chi aveva fatto prima il re vestito di porpora ora rappresenta il servo straccione. Tutto finto, certo, ma questo dramma non si può rappresentare altrimenti.
Se a questo punto mi saltasse fuori all’improvviso un saggio calato dal cielo per proclamare a gran voce che quello che tutti venerano come dio e signore non è neanche un uomo, perché si fa trascinare dalle passioni come una bestia, bensì il più abbietto degli schiavi, perché serve di propria spontanea volontà tanti e così ripugnanti padroni; e ancora per intimare il riso ad uno in lutto per la morte del padre, perché soltanto allora quello ha cominciato a vivere, mentre per altro verso la vita terrena non è altro che una specie di morte; e ancora per chiamare plebeo e bastardo uno tutto orgoglioso dei suoi stemmi nobiliari, perché è ben lontano dalla virtù, sola fonte di nobiltà, e così via per tutti gli altri; ditemi un po’, cos’altro otterrebbe costui se non sembrare a tutti pazzo furioso? Come una sapienza alla rovescia è il massimo della follia, così una saggezza distorta è quanto di meno opportuno. Ed è un comportamento distorto non adattarsi alle cose come stanno, sottrarsi alla vita sociale e non ricordarsi almeno della legge del banchetto: «bevi o vattene», e pretendere che lo spettacolo non sia più spettacolo. È proprio invece della saggezza autentica, essendo mortali, non voler conoscere nulla che trascenda la propria condizione e insieme all’intero genere umano chiudere volentieri un occhio o fare la cortesia di ingannarsi. «Ma proprio in questo – si ribatte – consiste la follia.» Non potrei negarlo, purché riconoscano dal canto loro che in ciò consiste rappresentare lo spettacolo della vita» [3].

L’Elogio della follia è un’opera estremamente moderna. Lo stile utilizzato da Erasmo risulta straordinariamente incisivo, così come la capacità oratoria della follia, che spesso, e il passo proposto ne è un esempio, si inserisce addirittura in una dimensione che potremmo a ragione definire didattica.

La vita è un «dramma», tutti gli uomini recitano delle parti, che, consiglia la follia, è bene non smascherare. A cosa serve conoscere la verità? La pazzia pone un veto, distoglie dalla sapienza, perché questa non farebbe altro che avvelenare e aggravare l’esistenza dell’individuo che la possiede. Come ho già scritto sopra, Erasmo non condivide l’idea dell’inganno, dell’illusione, dell’indifferenza, e, pur lasciandola sostenere alla sua creatura filosofico-letteraria più celebre, se ne allontana. È uno stratagemma per criticare la società a lui contemporanea, assuefatta alla superstizione propinata da una Chiesa corrotta.

Dalle parole della follia emerge inoltre quell’idea di rinnovamento conoscitivo, centrale all’interno del pensiero speculativo erasmiano ed esposta con chiarezza e determinazione nel Manuale del milite cristiano, di cui abbiamo già ampiamente parlato. Velatamente, i pensieri della protagonista del testo invitano, più il lettore che l’ascoltatore dell’immaginaria assemblea, a un approccio differente alla fede e, in generale, al mondo. Un approccio più autentico, vero, sincero che guardi direttamente, senza troppe mediazioni, alla parola di Cristo, il solo insegnamento degno di essere seguito alla lettera.

NOTE

[1] Per un approfondimento su Nicola Cusano e il suo pensiero si veda l’articolo Nicola Cusano, il maggior esponente del platonismo rinascimentale.

[2] Per un approfondimento su Lutero e la Riforma si veda l’articolo Martin Lutero – L’anima della Riforma.

[3] Erasmo da Rotterdam, Elogio della follia, trad. it. di Luca D’Ascia.

In copertina: Hans Holbein il Giovane, Ritratto di Erasmo da Rotterdam, 1523.

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