Il viaggiatore “auratico” per eccellenza. L’uomo che spinto alla ricerca delle più recondite cavità del proprio io decide di partire, decide autonomamente di viaggiare, di “andare” senza una meta fissa, con lo scopo unico di trovare se stesso.
Su tutte le vette è silenzio. Più noti in oriente con eccezioni differenti, Sannyasin o Samana, ancora più discosti gli Jurodivye, “i pazzi di dio” che scorrazzavano per le lande russe. Il Wanderer appartiene fermamente all’immaginario romantico tedesco, e in generale alla poetica europea. Nel mondo latino il termine viandante indica colui che si sposta da un posto all’altro seguendo il corso degli eventi, sempre conscio però che la civiltà e l’ambiente familiare sono la dogmatica essenziale della sua esistenza. In questo caso il viaggio è spesso forzoso, è dilacerazione e fuga. Non esiste ricerca morale, ma solamente fuga dalla consuetudine, rottura della routine ed emancipazione. L’esempio più calzante di quest’ultima tipologia d’estraniazione sono i viaggi “on the road” descritti dalla beat generation, viaggi che hanno influenzato tutti gli anni Sessanta, e generazioni d’adolescenti. Il cammino, anche più illuminato, è comunque un viaggio programmato, da compiere in un determinato lasso di tempo, in una direzione delineata.
Canto del viandante Notturno, Goethe.
acquieti ogni pena, ogni dolore,
chi misero è due volte due volte lo ristori:
ahi, son stanco d’errare!
A che tutto il dolore, a che la gioia?
Vieni qui, dolce pace,
vieni qui nel mio cuore!(II)Su ogni cima
è pace;
in ogni chioma
senti appena
un alito.
Nel bosco anche gli uccelli, tutto tace.
Aspetta: presto
anche tu avrai pace.
L’avventuriero dello spirito al contrario non segue un cammino fisico, non insegue un ideale tangibile o una meta, ma un traguardo indefinibile, lontano e sbiadito dalla foschia del proprio io. Un miraggio di cui solo il viandante può certificare l’esistenza. In seconda istanza la natura, la prorompente forza generatrice. Una natura che per il viandante spirituale è una realtà preponderante, l’immensità della materia è il campo d’azione di dio e dello spirito. La Wanderung è il fine stesso e non direttamente il mezzo, ed è nella natura che si concretizza la ricerca di una consapevolezza superiore. Per l’uomo romantico che viaggia con il bastone per rive boscose, villaggi innevati e rade colline, le mutevoli forme della natura sono tutte emanazioni della grazia universale, e il rapportarsi con esse avvicina lo spirito affine all’infinito, siano esse fiori e frutti deliziosi, oppure tremende tempeste, folgori o cataclismi. Questo rapporto di reverenza nei confronti dell’esistente è la caratteristica principale del periodo romantico a cavallo tra il Settecento e l’Ottocento. L’esempio principale dell’amore tutto Romantico per il viaggio nella natura, la semplicità del rapporto uomo-natura sviluppato in questo periodo è incarnato dall’umanista per eccellezza J.W. Goethe. Poeti come Goethe e Schiller hanno rappresentato in versi questa attitudine dello spirito, una tendenza che in oriente grazie al Buddhismo è estremamente sviluppata.
Il viandante, Rabindranath Tagore.
A lungo durerà il mio viaggio
e lunga è la via da percorrere.
Uscii sul mio carro ai primi albori
dei giorno, e proseguii il mio viaggio
attraverso i deserti dei mondo
lasciai la mia traccia
su molte stelle e pianeti.
Sono le vie più remote
che portano più vicino a te stesso;
è con lo studio più arduo che si ottiene
la semplicità d’una melodia.
Il viandante deve bussare
a molte porte straniere
per arrivare alla sua,
e bisogna viaggiare
per tutti i mondi esteriori
per giungere infine al sacrario
più segreto all’interno del cuore.
I miei occhi vagarono lontano
prima che li chiudessi dicendo:
«Eccoti!»
Il grido e la domanda: «Dove?»
si sciolgono nelle lacrime
di mille fiumi e inondano il mondo
con la certezza: « lo sono! »