Sonnambulismo e devozione nella Käthchen di Kleist

Negli stessi mesi in cui compone la tragedia Pentesilea [1], in un intenso fervore creativo e dunque produttivo, Kleist compone anche la commedia seria a lieto fine Käthchen di Heilbronn ovvero la prova del fuoco. Le protagoniste delle due opere sono facce della stessa medaglia, come scrive l’autore stesso nell’autunno del 1807 in una lettera indirizzata alla cugina Marie: «Mi ha infinitamente commosso ciò che lei mi scrive di Pentesilea. […] Ora sono solo curioso di sapere che cosa dirà di Käthchen von Heilbronn poiché è il rovescio di Pentesilea, un essere tanto potente per la sua dedizione quanto quella per il suo agire…» [2]. Concetto ribadito con ancora maggiore chiarezza qualche mese più tardi al poeta austriaco Heinrich Joseph von Collin (1771-1811), sovrintendente del Burgtheater di Vienna: «A chi ama Käthchen non può riuscire incomprensibile Pentesilea, sono legate come il + e il – dell’algebra» [3].

Se per la creazione della tragedia Kleist attinge direttamente al mito, per la creazione della commedia trae invece ispirazione dalle lezioni sul sonnambulismo tenute dal medico e naturalista Gotthilf Heinrich Schubert (1780-1860), autore del testo Aspetti del lato notturno delle scienze naturali (1808), e seguite in prima persona, con passione ed entusiasmo, a Dresda durante l’inverno 1807-1808 [4]. L’autore tedesco, abbandonata la scienza in seguito alla crisi dovuta alla scoperta della filosofia di Kant, si avvicina al cuore umano, al sentimento e a questi nuovi saperi il cui oggetto di studio è l’uomo nei suoi aspetti più misteriosi e primordiali. In questo senso, non è certo un caso se Kleist, nelle pagine conclusive della Käthchen, come vedremo più avanti, opererà una violenta critica alla scienza del proprio tempo, oramai solamente al servizio del progresso incontrollato. Critica che in un certo senso ricorda il concetto di “Instrumentelle Vernunft” (“ragione strumentale”) teorizzato da Max Horkheimer (1895-1973), tra i massimi esponenti della Scuola di Francoforte, nel Novecento [5].

Secondo Schubert il sonnambulo possiede l’eccezionale capacità di scrutare all’interno dei corpi, oltre i muri, ed è in grado di compiere con straordinaria naturalezza, sebbene sprovvisto dei sensi, azioni solitamente difficoltose. È da queste nozioni che possiamo dedurre il motivo del fervido interesse di Kleist per il sonnambulismo: in esso l’autore tedesco vede un’affinità con la febbrile attività poetica, fitto dialogo di difficile codificazione tra la componente sensoriale e la componente psichica, dunque inconscia, dell’uomo [6]. Le teorie di Schubert, non ponendo più alcun limite tra il sonnambulismo, il sogno e l’allucinazione causata dalla brama, corrispondono in sostanza alla visione romantica dell’arte, Kleist ne è del tutto consapevole, e infatti senza troppi indugi definisce la Käthchen, tra tutte le sue opere scritte fino a quel momento, quella più «romantica» [7]. Non solo la più romantica, ma anche, proprio per questa ragione e per il fatto che la casta e devota protagonista incarna l’ideale di donna cui anela il pubblico femminile borghese dell’epoca, l’opera kleistiana più rappresentata nell’Ottocento, soprattutto nella prima metà del secolo, anche se in una versione notevolmente rimaneggiata [8].

La commedia, pronta già nel 1807, ma messa in scena e pubblicata solamente tre anni dopo, nel 1810, entusiasma Brentano, Hoffmann, che nel sonnambulismo descritto da Kleist trova «l’essenza del romanticismo» [9], e Wilhelm Grimm; meno, molto meno il fratello Jacob, Friedrich Schlegel e, verrebbe quasi da dire ovviamente, Goethe, che pare addirittura l’abbia gettata tra le fiamme [10].

La Käthchen si apre con un’udienza del Tribunale Segreto. Il fabbro Theobald Friedeborn ha citato in giudizio il conte Friedrich Wetter vom Strahl, accusandolo di aver soggiogato, attraverso l’utilizzo di misteriose pratiche magiche, diaboliche la figlia Käthchen, promessa sposa del giovane possidente Gottfried Friedeborn.

Incalzato dalle domande del conte Otto von der Flühe, presidente del Tribunale, di Wenzel von Nachtheim e Hans von Bärenklau, i due coadiutori, l’umile fabbro, provato, riepiloga la vicenda esistenziale della figlia e racconta il primo, decisivo incontro tra la giovane e vom Strahl.

THEOBALD (asciugandosi gli occhi) Saranno state pressappoco le undici, quando quello arrivò al galoppo, con scorta e gran fracasso, davanti a casa, smontò tutto coperto d’acciaio, ed entrò nella bottega […]. Guarda qui, maestro, dice, sto andando contro il conte palatino che vuole abbattere i vostri bastioni; la voglia che ho di incontrarlo mi fa saltare le piastre; prendi ferro, filo, e, senza ch’io debba spogliarmi, riattaccale bene. Signore, dico, se il petto vi schianta l’armatura in questo modo, il conte palatino lascerà stare i nostri bastioni; lo faccio accomodare su una sedia, in mezzo al locale e grido verso la porta: vino, prosciutto appena affumicato, per uno spuntino, e gli metto davanti uno sgabello, con gli attrezzi per aggiustargli la piastra. E mentre fuori il destriero ancora nitrisce e raspa il suolo coi cavalli della scorta, alzando una polvere come se fosse sceso un cherubino dal cielo: adagio, portando sul capo un grande vassoio d’argento su cui erano disposti bottiglie, bicchieri e vivande, la ragazza apre la porta, entra. Be’, guardate, se a questo punto mi apparisse il Signore tra le nuvole, mi comporterei pressappoco come lei. Vassoio, bicchieri, vivande, appena visto il cavaliere, giù tutto; bianca come una morta, le mani giunte in adorazione, baciando il pavimento che tocca o col petto o con la fronte, crolla davanti a lui, come fulminata. Io dico: Signore Iddio! Che ha questa figliola? e la sollevo; lei, il viso in fiamme girato verso di lui, come se avesse davanti un’apparizione. Il conte vom Strahl le prende la mano, chiede: di chi è questa bambina? Garzoni e fantesche si precipitano dentro e gemono: Dio aiuti! Che è successo alla giovinetta?; ma lei, dopo qualche timida occhiata al suo viso, si riprende, io penso che l’incidente sia passato, e con aghi e punteruolo mi metto al lavoro. E dico: bene, signor cavaliere, ora potrete incontrare il conte palatino; la piastra è allacciata, il cuore non ve la farà più saltare. Il conte si alza: guarda sopra pensiero, dalla testa ai piedi, la ragazza che gli arriva al petto, si china, la bacia in fronte e dice: il Signore ti benedica, ti protegga, ti doni la sua pace. Amen! E mentre ci accostiamo alla finestra, nel momento in cui lui sale sul destriero, con le braccia alzate la ragazza si butta sul lastrico da trenta piedi: come un’infelice che abbia perso la testa. E si spezza i due femori, sacri signori, i suoi due femori delicati, appena sopra le rotule d’avorio; e io, vecchio stolto miserando, che volevo appoggiare su di lei la mia vita declinante, la prendo sulle spalle, come se dovessi portarla alla tomba; mentre quello, Dio lo maledica, a cavallo, tra la gente che accorre, chiede da lontano che è successo! – Lei mi rimane sul letto di morte, immobile, nel fuoco d’una febbre violenta, sei settimane interminabili. Non apre mai bocca; neppure il delirio, questo grimaldello di tutti i cuori, schiude il suo; nessuno riesce a strapparle il segreto che la tiene in balìa. S’è appena rimessa, ha appena tentato i primi passi, che fa il suo fagotto: ai primi raggi del sole è sulla porta. Dove vai? le chiede la serva. Dal conte Wetter vom Strahl, risponde, e scompare [11].

Dalle parole di Theobald si intuisce da subito tutta la potenza del sentimento di Käthchen, che, incurante delle conseguenze, agisce impetuosamente. Così si getta da trenta piedi, quasi per abbracciare in volo il conte vom Strahl, indifferente all’inevitabile e atroce dolore fisico. Così, rialzatasi dal letto di morte, abbandona la casa e si mette sui passi del cavaliere, indifferente alle inesorabili maldicenze che scaturiranno da questa sua sconveniente azione. Ed è proprio il padre il primo, implacabile, severo e arcigno critico; dopo il racconto di come tutto ebbe inizio infatti, definisce la figlia prima una «baldracca» – perché così appare la giovane agli occhi della società, e più di una volta nel corso della commedia verrà additata con questo sgradevole e bigotto epiteto -, poi un «cane che lecca il sudore del padrone» e infine una «serva».

THEOBALD Da quel giorno lo segue come una baldracca, con dedizione cieca, di luogo in luogo; trascinata dal raggio del suo viso che come fune a cinque capi s’avvolge attorno alla sua anima; a piedi nudi, esposti a tutti i sassi, la gonnellina, che le copre i fianchi, al vento, col solo cappello di paglia a proteggerla dal pungolo del sole o dalla furia di un tempo inclemente. Ovunque si dirige il piede di lui, nel corso delle sue avventure: tra i vapori degli abissi, tra i deserti che il sole arroventa, nel buio di foreste selvagge, gli cammina dietro come un cane che lecca il sudore del padrone; e lei che era abituata a dormire su morbidi cuscini, che avvertiva il nodino intrecciato dalla sua mano, senza volere, nel tessuto del lenzuolo: adesso, come una serva, dorme nelle sue stalle e al calare della notte si lascia cadere sfinita sulla paglia, che fa da lettiera ai superbi cavalli di lui [12].

Käthchen manifesta una sconfinata devozione nei confronti di Strahl, lo segue in qualunque condizione meteorologica e dorme nelle sue stalle. Otto von der Flühe, il presidente del Tribunale Segreto, ne chiede la conferma al conte, e quest’ultimo sottoscrive le dichiarazioni di Theobald.

CONTE OTTO Conte Wetter vom Strahl, c’è del vero in tutto questo?
CONTE VOM STRAHL È vero, signori: lei cammina sulle mie orme. Quando mi guardo attorno, vedo due cose: la mia ombra e lei [13].

Al momento è ancora sconosciuta la ragione del comportamento di Käthchen, la scopriremo più avanti. Intanto scopriamo, in apertura del II atto – il I è interamente dedicato all’udienza del Tribunale Segreto – che il conte vom Strahl non è affatto insensibile all’eterea bellezza e alla sconfinata devozione della protagonista, anzi, dice persino di amarla. Il pensiero di Käthchen produce nell’animo di questo uomo, di questo antieroe sostanzialmente debole, attaccato alle norme sociali come il neonato al seno della madre, slanci poetici di bucolica memoria dalla dubbia sincerità (nonostante questa presunta passione per la protagonista, il conte non esiterà a gettarsi tra le braccia della nobile «avvelenatrice» Kunigunde).

CONTE VOM STRAHL (entra, con gli occhi bendati, condotto da due sbirri, che gli tolgono il panno e ritornano nella caverna. Si getta al suolo e piange) Voglio sdraiarmi qui come un pastore, e piangere. Il sole fulvo splende ancora fra i tronchi, da cui si levano le vette del bosco; se fra un quarto d’ora, appena il sole è calato dietro quel colle, mi alzo e continuo allo scoperto, sulla strada piana, arrivo e Wetterstrahl prima che i lumi siano spenti. Voglio immaginare che i miei cavalli, là sotto, dove gorgoglia la fonte, siano capre e pecore, inerpicate per le rupi, che brucano erbe e cespi amari; che mi copra una veste leggera, di lino bianco, con nastri rossi, e intorno mi aliti un nugolo di venti vivaci, disposti a portare fino all’orecchio degli dèi benigni i sospiri che m’escono dal petto oppresso dall’afflizione. Proprio così! Vorrei sfogliare la lingua materna, e saccheggiare tutto il ricco capitolo intitolato «sensibilità», al punto che nessun rimatore possa più trovare un modo nuovo di dire: sono triste. Vorrei evocare quanto di più struggente ha la malinconia; gioia e afflizione mortale si alternino per guidare la mia voce, come un leggiadro danzatore, attraverso tutte le modulazioni che incantano l’anima: e se gli alberi non si muoveranno veramente e non faranno stillare la loro soave rugiada come pioggia, saranno, io dirò, di legno, e tutto quanto i poeti raccontano di loro, una semplice favola graziosa. Oh tu… come chiamarti? Käthchen! Perché non posso dirti mia? Käthchen, bambina, Käthchen! Perché non posso dirti mia? Perché non posso sollevarti, e portarti sotto il profumato baldacchino che mia madre ha innalzato a casa, nella camera di gala? Käthchen, Käthchen, Käthchen! Quando oggi mi stava davanti, nuda, la tua giovane anima era stillante di voluttuosa bellezza, quasi sposa d’un re di Persia che, cosparsa di balsami, lascia cadere gocce sui tappeti, mentre viene portata nella sua camera. Käthchen, bambina, Käthchen! Perché non posso? Oh, più bella di quanto io sappia cantare, voglio trovare un’arte solo mia, e piangerti. Aprirò tutte le fiale del sentimento, celesti e terrestri, versandovi dentro una miscela tanto singolare, tra sacra e profana, che ogni uomo al cui petto io pianga dovrà dire: scorrono per Käthchen di Heilbronn! E voi, vecchi grigi, barbuti, che volete? Perché lasciate le vostre cornici dorate, voi, effigi dei miei padri in corazza che popolate la mia sala d’armi? Perché avanzate senz’ordine, mi circondate, scuotendo le chiome venerande? No, no, no! Per quanto l’ami, non la desidero come sposa, voglio unirmi al vostro stuolo superbo: era deciso ancora prima che veniste. Ma voglio chiedere a te, Winfried, primo del mio nome, divino dal capo di Zeus, a te voglio chiedere se la madre della mia stirpe non era come questa: più raggiante di ogni virtù, immacolata nell’anima e nel corpo, più adorna di grazia. O Winfried, vecchio grigio! Ti bacio la mano, grazie a te sono al mondo, ma se tu avessi stretto lei al tuo petto d’acciaio, avresti generato una stirpe di re, e Wetter vom Strahl vorrebbe dire ogni potere sulla terra! So che mi calmerò e farò rimarginare questa ferita: perché quale ferita non può rimarginare l’uomo? Ma se mai troverò, Käthchen, una donna che ti somigli: viaggerò per ogni paese e imparerò le lingue del mondo e loderò il Signore in ogni lingua che viene parlata [14].

L’amore del conte vom Strahl per Käthchen non può concretizzarsi, la protagonista appartiene infatti, almeno per ora, a un rango sociale troppo più basso rispetto a quello del pavido cavaliere. Sposare la figlia di un fabbro equivarrebbe a porre fine a ogni ambizione, che il conte dimostra invece di voler coltivare – rivolto ai suoi antenati egli dichiara di voler unirsi al loro «stuolo superbo». È evidente la differenza tra l’uomo e la donna: lui è legato alle regole, alle convenzioni, ai costumi, lei no, si abbandona con tutta se stessa al proprio sentimento e lascia addirittura la casa paterna per unirsi a lui, per divenirne l’ombra, nulla di più, e dormire nelle sue stalle. L’uomo e la donna hanno modi differenti, diametralmente opposti, di vivere l’amore. L’uomo è comunque sempre legato alla ragione, la donna no, lascia che sia il proprio cuore a prendere il sopravvento, anche con il rischio di passare per baldracca, oppure di sfociare nella follia e nella bestialità. Di fatto, è quanto è già accaduto nella Pentesilea, nel rapporto tra l’Amazzone e Achille. Così la passione di Strahl diviene una semplice ferita rimarginabile. Inoltre, nelle parole conclusive del passo appena citato, il conte dimostra di amare non tanto Käthchen in quanto donna, ma l’ideale che essa incarna e rappresenta: «[…] se mai troverò, Käthchen, una donna che ti somigli […]».

È nel III atto della commedia, dopo che è stato suggellato il fidanzamento tra il conte vom Strahl e Kunigunde von Thurneck – fidanzamento sancito da un contratto, dunque per becero interesse -, che Kleist colloca la più grande manifestazione di devozione di Käthchen nei confronti del cavaliere.

Durante l’assalto del conte vom Stein, il castello di Thurneck è in fiamme.

CONTE VOM STRAHL (la prende tra le braccia) Mia Kunigunde!
KUNIGUNDE (flebile)
Conte, il ritratto appena regalato!
Nel suo astuccio!
CONTE VOM STRAHL Che c’è? Dove si trova?
KUNIGUNDE
Tra le fiamme! Aiutatemi, che brucia!
CONTE VOM STRAHL
Lasciate, cara, non avete me?
KUNIGUNDE
Conte, il ritratto vostro, con l’astuccio!
Con il suo astuccio!
KÄTHCHEN (si fa avanti) Dove sta? Dov’è?

Dà lo scudo e la lancia a Flammberg.

KUNIGUNDE
Nello scrittoio!

Käthchen esce.

CONTE VOM STRAHL Ascolta, Käthchen.
KUNIGUNDE Via!
CONTE VOM STRAHL Ascolta!
KUNIGUNDE Via!
Ma perché mai l’ostacolate…?
CONTE VOM STRAHL Signora,
Ve ne darò altri dieci di ritratti…
KUNIGUNDE (lo interrompe)
Io voglio quello o niente. Quanto valga
Per me, non è il momento di spiegarlo.
Bimba, porta il ritratto con l’astuccio,
Ti ricompenserò con un brillante!
CONTE VOM STRAHL
Ebbene, fallo! È pazza, le sta bene.
Cosa ci faceva in questo posto?
KÄTHCHEN La stanza… a destra?
KUNIGUNDE No, dopo una scala
A sinistra, l’ingresso e poi l’altana!
KÄTHCHEN Nella stanza di mezzo?
KUNIGUNDE Sì, di mezzo!
Non puoi sbagliare, corri, non c’è tempo!
KÄTHCHEN Forza! Se Dio m’aiuta ve lo porto!

Esce.

[…]
KÄTHCHEN (appare in una finestra tra le fiamme)
Oh Signora, Dio m’aiuti! Il fumo… soffoco!
Non è la chiave giusta!
CONTE VOM STRAHL (a Kunigunde)
Dannazione!
Non potreste guardare a quel che fate?
KUNIGUNDE Non è la chiave giusta?
KÄTHCHEN (con voce fioca) Aiuto, aiuto!
CONTE VOM STRAHL
Scendi, bambina!
KUNIGUNDE Aspetta!
CONTE VOM STRAHL Scendi, dico!
Che fai lì, senza chiave? Scendi giù!
KUNIGUNDE Aspetta solo…
CONTE VOM STRAHL Come? Che? Accidenti!
KUNIGUNDE Adesso mi ricordo, gioia mia,
La chiave è appesa al perno dello specchio
Che rifulge fissato alla toilette!
KÄTHCHEN Al perno dello specchio?
CONTE VOM STRAHL Oh Dio, non ci fosse
Mai stato l’uomo che mi ritrasse,
Mai stato chi mi fece! Cerca, cerca!
KUNIGUNDE
Luce degli occhi miei! Sulla toilette!
KÄTHCHEN (lasciando la finestra)
Non la vedo, con tutto questo fumo!
CONTE VOM STRAHL Cerca!
KUNIGUNDE Sulla parete destra!
KÄTHCHEN (invisibile) Destra?
CONTE VOM STRAHL Cerca, ti dico!
KÄTHCHEN (debole) Aiutami, mio Dio!
[…]

La casa crolla, il conte si volta e si stringe la fronte tra le mani; tutti quelli che sono in scena indietreggiano e si girano. Pausa [15].

Pur di soddisfare il volere della promessa sposa del conte, e dunque compiacere indirettamente il conte stesso, Käthchen si sacrifica, si lancia temeraria tra le fiamme mettendo a repentaglio la propria vita. Ecco fino a che punto può condurla la sua immensa devozione! Grazie al provvidenziale e miracoloso intervento di un cherubino, la protagonista riesce a salvare dall’incendio il ritratto di Strahl e uscire indenne. Dalla sua Käthchen ha le schiere celesti.

In apertura del IV atto, si svela finalmente la ragione della totale e servile devozione della protagonista per il conte. I due si sono incontrati, e hanno sancito così la loro unione, nel sogno. Ciò che nella realtà è impossibile nell’inconscio diviene possibile. È in questo fondamentale passo della commedia che Kleist ricorre al sonnambulismo. Le seguenti parole infatti, Kätchen le pronuncia proprio mentre è affetta da questo enigmatico disturbo del sonno.

KÄTCHEN
Quando fu fuso il piombo, a San Silvestro,
Me ne andai a letto e domandai al buon Dio:
Se è vero quello che Mariane ha detto
Fammi apparire in sogno il cavaliere.
Allora, a mezzanotte, mi apparisti
In carne ed ossa, proprio come adesso,
A salutarmi come la tua sposa [16].

Il sogno rivelatore di Käthchen è conforme a quello del conte, lo completa e lo chiarisce. Il loro legame è definitivamente stabilito. In questo senso, valutando le inconsce visioni profetiche dei due protagonisti, è come se Käthchen e vom Strahl appartenessero a quel primordiale stato di natura, oramai perduto, in cui all’uomo era concesso il dono della preveggenza. Un tempo, come scrive Schubert, «[…] di infanzia, ma più alto di questa infanzia smarrita che conosciamo ora. Sono madri mortali che partoriscono ora, quell’infanzia invece era cura di una madre immortale, e l’uomo è partito da quella visione immediata di un ideale eterno, è stato inconsciamente al centro di quel sommo sapere e di quelle eccelse forze che ora la generazione più tarda deve riconquistare in una lotta nobile ma dura. […] A quel tempo il fatalismo – il completo abbandono della volontà a una legge eterna – era al suo posto. Allora la natura appariva all’uomo divina e pura, e così pure era l’armonia con essa» [17]. In questo aspetto caratteristico dei due protagonisti, c’è tutto il rimpianto di Kleist per quell’età primigenia, per sempre svanita, in cui tutto era più autentico, spontaneo, naturale, e, al tempo stesso, una critica alla contemporaneità artefatta e falsa, che Kunigunde rappresenta alla perfezione, non solo attraverso il suo agire calcolatore e opportunista – spinge Käthchen tra le fiamme non perché vuole il ritratto del conte, ma l’astuccio che lo contiene, in quanto in esso ha riposto la documentazione che attesta il passaggio di proprietà in suo favore -, ma anche attraverso la sua fisionomia.

FREIBURG Te lo dirò io. Quella è un mosaico, messo insieme con i tre regni della natura. I suoi denti sono di una ragazza di Monaco, i suoi capelli sono stati ordinati in Francia, la salute delle sue guance proviene dalle miniere dell’Ungheria; e quel rigoglio che ammirate in lei, lo deve a una camicia eseguita dal fabbro con ferro svedese… [18]

Nella raffigurazione di un personaggio assemblato e innaturale come quello di Kunigunde, si cela l’odio di Kleist nei confronti del progresso incontrollato, e una violenta polemica nei confronti della scienza, rea di aver tralasciato lo studio e la ricerca della verità, e di essersi assoggettata al volere del mercato, che in sostanza sfrutta gli impulsi e i vizi più ripugnanti dell’uomo – proprio come quello di volersi sostituire alla natura e mutare il proprio aspetto fisico [19]. In tal senso vien subito da pensare ad alcune illuminanti parole del già citato Horkheimer: «Il principio del dominio dell’uomo sulla natura è divenuto l’idolo al quale si sacrifica tutto» [20].

Nonostante i sogni, occorre tuttavia un colpo di scena affinché vom Strahl e Käthchen possano concretizzare la loro unione. E così accade. La protagonista è infatti, incredibilmente ma non troppo, la figlia dell’imperatore. Käthchen entra dunque a far parte dello stesso mondo al quale appartiene il conte ed egli, senza dover infrangere alcuna regola, né dover rinunciare all’ambizione e umiliare la memoria degli illustri avi, può sposarla.

L’IMPERATORE […]
Se lei ha come amico un cherubino,
L’Imperatore può farle da padre
Con fierezza! La Käthchen ora è la prima
Davanti a tutti, lei che era la prima
Solo davanti a Dio; chi la vorrà,
Dovrà esserne degno agli occhi miei.
CONTE VOM STRAHL (piega un ginocchio davanti a lui)
Te lo chiedo in ginocchio: dàlla a me! [21]

La Käthchen è una commedia a lieto fine, certo, che tuttavia lascia aperti alcuni spiragli sinistri, inquietanti. La protagonista, abbandonata la dimensione grezza, ma sostanzialmente sincera del popolo, entra a far parte del mondo dorato, lussuoso, ma artefatto della nobiltà. Il sambuco sarà sradicato dalla terra per far posto a una residenza estiva, e il conte chiederà a Kätchen di comparire al matrimonio per recitare una parte, la parte di dea, come dea era apparsa nel II atto l’artificiosa Kunigunde a Freiburg [22]. Per questi motivi e per molti altri, come ad esempio la presenza di un antieroe norma-dipendente e la critica alla scienza, la Käthchen, la più romantica tra le opere di Kleist, è altresì la meno romantica tra tutte le opere romantiche.

NOTE

[1] Si veda l’articolo La bestiale Pentesilea di Heinrich von Kleist.

[2] Briefe von und Heinrich von Kleist 1793-1811, a cura di Klaus Müller-Salget e Stefan Ormanns, Deutscher Klassiker Verlag, Frankfurt am Main 1997, trad. it. di Anna Maria Carpi, lettera dell’autunno 1807.

[3] Ivi, lettera dell’8 dicembre 1808.

[4] Anna Maria Carpi, Kleist, il «genio sinistrato», in H. v. Kleist, Opere, a cura e con un saggio introduttivo di Anna Maria Carpi, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 2011, p. XXII.

[5] Secondo il filosofo tedesco, a partire dall’età moderna, la ragione non si pone più lo scopo di stabilire i fini razionali, ma i mezzi necessari al conseguimento degli obiettivi. In tal modo essa diviene “strumentale”, cioè assoggettata alle norme dell’ordine sociale vigente. Così per Horkheimer si giunge ad una materializzazione della natura e ad una spersonalizzazione dell’individuo. L’uomo, sprovvisto di volontà, non è più libero, e la sua anima è ridotta a mera «cosa» dalla società industriale.

[6] Notizie sui testi e note di commento, a cura di Anna Maria Carpi e Stefania Sbarra, in H. v. Kleist, Opere, cit., p. 1188.

[7] Ivi, p. 1188.

[8] Ivi, p. 1190.

[9] Sämtliche Werke und Briefe in 4 Bänden, a cura di Ilse-Marie Barth, Hinrich C. Seeba, Klaus Müller-Salget, Stefan Ormanns, 4 voll., Deutscher Klassiker Verlag, Frankfurt am Main 1987-1997, II vol., p. 881.

[10] Heinrich von Kleists Lebensspuren. Dokumente und Berichte der Zeitgenossen, a cura di Helmut Sembdner, Carl Schünemann Verlag, Bremen 1957; VII edizione rivista e ampliata, Carl Hanser Verlag, München 1996.

[11] H. v. Kleist, Käthchen di Heilbronn ovvero la prova del fuoco, trad. it. di Giorgio Zampa, in H. v. Kleist, Opere, cit., pp. 393-395.

[12] Ivi, p. 395.

[13] Ivi, p. 395.

[14] Ivi, pp. 414-416.

[15] Ivi, pp. 459-463.

[16] Ivi, p. 475.

[17] Gotthilf Heinrich Schubert, Ansichten über die Nachtseite der Naturwissenschaft, Arnold, Dresden-Leipzig 1840, trad. it. di Stefania Sbarra.

[18] H. v. Kleist, Käthchen di Heilbronn ovvero la prova del fuoco, trad. it. di Giorgio Zampa, in H. v. Kleist, Opere, cit., p. 491.

[19] Notizie sui testi e note di commento, a cura di Anna Maria Carpi e Stefania Sbarra, in H. v. Kleist, Opere, cit., pp. 1193-1194.

[20] Max Horkheimer, Eclisse della ragione. Critica della ragione strumentale, trad. it. di Elena Vaccari Spagnol, Biblioteca Einaudi, Torino 2000.

[21] H. v. Kleist, Käthchen di Heilbronn ovvero la prova del fuoco, trad. it. di Giorgio Zampa, in H. v. Kleist, Opere, cit., p. 498.

[22] Notizie sui testi e note di commento, a cura di Anna Maria Carpi e Stefania Sbarra, in H. v. Kleist, Opere, cit., p. 1194.

In copertina: Jan Vermeer, Giovane donna assopita, 1657 circa.

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