Ezra Pound (1885-1972) fu un poeta, e ancor prima un uomo, fuori dall’ordinario. Basta poco per capirlo. Basta leggere la sua biografia, oppure, ancor più semplicemente, basta osservarne lo sguardo, immortalato in uno scatto che lo ritrae. Visse una vita errante, politicamente tumultuosa e discutibile, fatta di viaggi e versi, arresti e rilasci, manicomi e riconoscimenti.
Il suo esordio letterario avviene nel 1908, in Italia, terra amata alla follia tanto da divenire una seconda patria, e precisamente a Venezia, con la pubblicazione della raccolta di poesie A lume spento. Intensifica l’attività poetica a Londra. Nella capitale inglese, nel giro di pochi anni, dà alle stampe ben quattro volumi contenenti componimenti in versi: Exultations (1909), Provença (1910), Canzoni (1911) e Rispostes (1912).
Dal 1919, e fino alla fine dei suoi tormentati giorni, si dedica alla stesura della sua opera più celebre e grandiosa, rimasta tuttavia incompiuta: The Cantos, ancora una volta una selezione di liriche. Le 109 poesie che la compongono formano un insieme tanto organico da poter essere considerato una sorta di poema, che prende spunto dai capolavori italiani del Medioevo, adorati da Pound, Divina Commedia su tutti.
Il poeta statunitense nei Cantos opera un confronto diretto e continuo con la grande e irripetibile letteratura del passato, assunta come modello. Pound prova a riproporre la perfezione stilistica e la purezza tematica della poesia, ad esempio, stilnovista, in un’epoca in cui di puro e perfetto è rimasto ben poco. Questo feroce contrasto tra presente e passato, topos novecentesco che nelle produzioni poundiane trova la sua massima idealizzazione, riesce a riportare del tutto in superficie la nullità contemporanea. Dai versi di Pound emerge infatti una spietatezza, magari anche involontaria, che denuda lo sfacelo e la corruzione sociale che dominano l’epoca borghese e capitalista.
Propongo il componimento numero XLV dei Cantos, intitolato Con Usura.
Con Usura
con usura nessuno ha casa di buona pietra,
massi ciascuno ben levigato e connesso
che disegno li possa coprire,
con Usura
nessuno ha paradiso dipinto sul muro della sua chiesa
Harpes et luthes
o dove vergine riceva l’annuncio
e l’immagine effonda alone di luce,
con Usura
nessuno vede di Gonzaga gli eredi e le sue concubine,
non nasce dipinto che duri e accompagni la vita
ma è fatto che lo si venda e rapidamente si venda
con usura, peccato contro natura,
è sempre più fatto il tuo pane di muffe stantie
è il tuo pane arido come carta,
senza frumento di monte, né aroma di buone farine,
usura aggreva la linea al disegno,
con usura non è più limite netto
nessuno ha luogo per la sua casa.
Artiere non può toccare la sua pietra,
tessitore il telaio,
Con Usura
lana non giunge al mercato,
gregge non porta guadagno con usura,
usura è una lebbra, usura
ottunde la punta dell’ago in giovani mani di donna
e l’arte del filatore n’è ferma. Non Pietro Lombardo
fu frutto d’usura
non frutto d’usura fu Duccio
né Piero della Francesca; Zuan Bellini non frutto d’usura
né «La Calunnia» dipinta.
Non frutto d’usura l’Angelico; non Ambrogio de Predis,
né chiesa di viva pietra firmata: Adamo me fecit.
Non frutto d’usura San Trofimo in Arli,
non frutto d’usura Sant’Ilario,
usura fa ruggine il cesello,
ruggine l’arte e l’artiere
corrode il filo al telaio
nessuno mai apprende ad intessere nella sua trama dell’oro;
usura contagia cancrena all’azzurro, al cremisi nega fiorami
non trova smeraldo il suo Memling
usura uccide il nascituro nel ventre
costringe l’amore del giovane in ceppi
induce paralisi ai talami, si giace
tra giovane sposa e il suo sposo
contra naturam
hanno portato donne da conio a Eleusi
cadaveri siedono a mensa
ai cenni d’usura.
Trad. it. di C. Izzo, in Poesia americana contemporanea e poesia negra, Guanda, Parma 1949.
Pound riprende un tema, quello dell’usura, già trattato da Dante, che colloca gli usurai nel VII cerchio dell’Inferno. Tale pratica sordida ed efferata, rafforzatasi enormemente con lo strapotere bancario e commerciale dilagante nel Novecento, rappresenta il vero male, nell’accezione più orribile del termine, della società moderna, inginocchiata dalla speculazione – impressionante, e allo stesso momento agghiacciante l’analogia con i nostri nefasti tempi di crisi economica. Una società degradata, contaminata, marcia, capace di vendere a cuor leggero un caro in cambio di un utile economico.
Questo canto di condanna verso il terribile peccato, in senso dantesco ovviamente, assume dunque le forme di una velenosa e avvelenata invettiva rivolta alla modernità, e alla società capitalistico-borghese che la governa. L’usura uccide l’ideale a vantaggio di un bene materiale vacuo e del tutto inutile al cospetto di quella spiritualità in passato tanto decantata e oggi soppressa. La vita è divenuta un mero valore di scambio, l’uomo un cliente per lo più manipolato, alla perpetua ricerca di denaro, vana brama che non genera profitto, bensì vuoto e oscurità.
Pound è la voce potente e ribelle di un mondo in catene, che ogni giorno di più compie un passo verso la definitiva estinzione. Un mondo dominato dall’ignorante barbarie che prima annichilisce, e poi annienta uno dei pochi beni rimasti all’uomo che lo abita: la bellezza… Dove trovare sollievo? Dove rifugiarsi dalla rovina che ovunque divora l’esistenza? L’arte e la cultura rappresentano i soli viatici capaci di impreziosire una vita. L’arte e la cultura, nient’altro. Pound lo sa bene, meglio di chiunque altro, e lo grida fino a perdere il fiato.
È vero, tutto è destinato a usurarsi, ad avere una fine, ognuno di noi. Abbiamo però la possibilità di farlo in libertà. Dipende dalla nostra volontà di non marcire in silenzio, passivamente, soggiogati e soffocati dalle regole imposte dall’industria e dal progresso.