Dostoevskij spiega Dostoevskij. L’idiota

Riprendiamo la lettura delle lettere in cui Dostoevskij spiega i suoi quattro romanzi maggiori. Dopo Delitto e castigo [1] è la volta dell’Idiota, scritto tra il 1867 e il 1869 all’estero, dove il grande autore russo, in compagnia della sua seconda moglie, la stenografa Anna Grigor’evna Snitkina, si rifugia per sfuggire ai creditori. È uno dei periodi più bui della vita di Dostoevskij, tormentato dalla miseria, dal vizio del gioco – a causa del quale perde quei pochi spiccioli che riceve dagli editori – e dall’epilessia.

Ad Apollon Nikolaevič Majkov [2]

Ginevra. 31 dicembre 1867
(12 gennaio) 1868

[…]
Parliamo adesso del romanzo, per concludere su questo argomento. In sostanza, io stesso non so assolutamente che cosa ho inviato. Ma per quanto io posso giudicare, si tratta di roba di modesta apparenza e niente affatto adatta a produrre un certo effetto. Da un pezzo ormai ero tormentato da una certa idea, ma avevo paura di farne un romanzo perché si tratta di un’idea troppo difficile e io non mi sentivo pronto per esprimerla, sebbene essa mi appaia straordinariamente seducente tanto che ne sono addirittura innamorato. Questa idea è di rappresentare una natura umana pienamente bella. Secondo me, non c’è nulla di più difficile di questo, specialmente al nostro tempo. Lei, naturalmente, si troverà pienamente d’accordo con me. Questa idea mi era balenata già in precedenza in una certa immagine approssimativa, ma appunto soltanto approssimativa, mentre essa dev’essere piena e completa. Soltanto la mia attuale disperata situazione mi ha costretto ad aggrapparmi a questa idea non ancora interamente maturata. E così ho rischiato come quando si gioca alla roulette: “Forse, chissà?, mi si svilupperà sotto la penna!” Ma questo è imperdonabile.
Nelle sue grandi linee il piano è già formato. Per il futuro mi vedo balenare davanti certi ulteriori dettagli che mi affascinano e tengono vivo in me l’ardore creativo. Ma il complesso nel suo insieme? E il protagonista? Giacché il complesso a me riesce sempre in vista del protagonista. È appunto così che il piano si è organizzato. Io mi sento costretto a porre fin dall’inizio un’immagine. Ma mi si svilupperà quest’immagine sotto la penna? E s’immagini un po’ che razza di disastro è venuto fuori: è risultato che, oltre al protagonista, c’è anche una protagonista, e dunque il romanzo avrà DUE EROI [3]! E oltre a questi due eroi ci sono ancora altri due personaggi assolutamente essenziali, e dunque anch’essi quasi protagonisti [4]. (Di personaggi secondari, anche per i quali io mi sento assolutamente responsabili, ce n’è un’infinità, e infatti il romanzo avrà otto parti.) Dei quattro protagonisti, due sono già nettamente delineati dentro di me, un terzo non ha ancora assunto una forma definitiva, e il quarto, e cioè il primo protagonista, è straordinariamente debole. Può anche darsi che nel mio cuore la sua immagine non sia affatto così confusa, ma comunque è terribilmente difficile. In ogni caso avrò bisogno di almeno il doppio del tempo (al minimo) per scrivere il romanzo.
La prima parte, secondo me, è debole. Ma mi sembra che ci sia ancora una via di salvezza, e cioè il fatto che per ora niente è compromesso, e pertanto l’idea potrà venire sviluppata in maniera soddisfacente nelle altre parti (magari!). La prima parte, in sostanza, è solo un’introduzione. Ma una cosa è indispensabile: che essa susciti un certo interesse per ciò che seguirà. Ma di questo io non posso assolutamente giudicare.
[…] [5]

L’idiota si fonda su un’«idea», tanto «difficile» quanto «seducente», di cui Dostoevskij dichiara con ardore di essere «addirittura innamorato». Ciò denota un rapporto totale e totalizzante del grande scrittore russo con la propria creatura letteraria, oggetto e quasi soggetto del sentimento più alto e nobilitante che è dato provare all’uomo. Tale idea consiste nella rappresentazione di «una natura pienamente bella», e ad essa Dostoevskij si aggrappa, come ci si aggrappa a un salvagente durante un naufragio per non affogare (Dostoevskij è un naufrago della vita). È dalla disperazione che nasce la scrittura, la letteratura nell’accezione più alta del termine, di cui noi oggi siamo a conoscenza solo grazie al passato, ma questo è un altro discorso.

Dostoevskij sottolinea uno degli aspetti più singolari del romanzo, la presenza di due eroi (notate lo scarto grafico con il quale lo scrittore annuncia all’amico questo «disastro», geniale disastro aggiungo io): l’indimenticabile principe Myškin, l’incarnazione dell’idea, la «natura umana pienamente bella», e la meravigliosa Nastasija Filippovna. Non solo, compaiono anche due personaggi che sono «quasi protagonisti»: Rogožin [6] e Aglaja. Un quadro complesso dunque, che rende complesso il lavoro dello scrittore.

A Sof’ja Aleksandrovna Ivanova [7]

Ginevra. 1 (13) gennaio 1868

[…]
E così io, tre settimane fa (il 18 dicembre secondo il nuovo stile [8]), mi sono messo a scrivere un nuovo romanzo e ci lavoro giorno e notte. L’idea del romanzo è una mia antica a prediletta idea, ma è talmente difficile che per un pezzo non me la sono sentita di affrontarla, e se mi ci sono risolto adesso ciò è dovuto senz’altro al fatto che mi sono trovato in una situazione quasi disperata. L’idea principale del romanzo è quella di rappresentare una natura umana pienamente bella. Non c’è nulla di più difficile al mondo, e specialmente oggi. Tutti gli scrittori, non soltanto russi, ma anche tutti gli europei, che si sono accinti alla rappresentazione di un carattere bello e allo stesso tempo positivo, hanno sempre dovuto rinunciare. Giacché si tratta di un compito smisurato. Il bello è un ideale, e l’ideale – sia il nostro sia quello dell’Europa civilizzata – è ben lontano dall’essere stato elaborato. Al mondo c’è stato soltanto un personaggio bello e positivo, Cristo, tantoché l’apparizione di questo personaggio smisuratamente, incommensurabilmente bello costituisce naturalmente un miracolo senza fine. (Tutto il Vangelo di Giovanni è concepito in questo senso: egli trova tutto il miracolo nella sola incarnazione, nella sola apparizione del bello.) Ma mi sono spinto troppo lontano. Dirò soltanto che tra tutti i personaggi umanamente belli della letteratura cristiana il più completo e perfetto è Don Chisciotte. Ma Don Chisciotte è bello unicamente perché allo stesso tempo è ridicolo. Il Pickwick di Dickens (che è una figura infinitamente più debole di Don Chisciotte, ma pur sempre immensa) è anche lui ridicolo, e appunto per questo ci conquista. Nel lettore si determina un sentimento di compassione nei confronti del personaggio umanamente bello che viene deriso e che non è cosciente del proprio valore, e con ciò stesso viene provocato anche un sentimento di simpatia verso di lui. Il segreto dell’umorismo consiste appunto nel provocare la compassione. Anche Jean Valjean rappresenta un possente tentativo, ma egli ridesta la simpatia del lettore grazie alla sua sventura e all’ingiustizia che gli viene fatta dalla società. Nel mio romanzo non c’è nulla del genere, nulla assolutamente, e proprio per questo ho paura che sarà un completo insuccesso. Alcuni particolari, forse, mi riusciranno bene. Ho paura che risulterà noioso. Si tratta di un romanzo lungo. La prima parte l’ho scritta in ventitré giorni, e l’ho inviata qualche giorno fa. Sarà decisamente povera di efficacia. Naturalmente si tratta soltanto di un’introduzione, e ciò che c’è di buono è che nulla ancora è stato compromesso; ma quasi nulla ancora è stato chiarito, nulla vi è stato solidamente impantato. Il mio unico desiderio è che essa riesca almeno a destare una certa curiosità nel lettore in modo che egli sia indotto ad affrontare la lettura della seconda parte. Quanto a questa seconda parte, che comincerò a scrivere oggi, la finirò in un mese (del resto ho sempre lavorato in questo modo in vita mia). Mi sembra che sarà più solida e più essenziale della prima. Mi auguri, carissima amica mia, almeno un po’ di successo! Il romanzo s’intitola L’idiota, ed è dedicato a Lei, cioè a Sof’ja Aleksandrovna Ivanova. Sapesse quanto desidero, cara amica mia, che il romanzo mi riesca almeno in qualche misura degno della persona a cui è dedicato. In ogni caso, io non posso esser buon giudice delle mie opere, e soprattutto quando giudico a caldo, come adesso.
[…] [9]

In questa lettera Dostoevskij approfondisce il discorso sul bello, definito «ideale», «e l’ideale [..] è ben lontano dall’essere stato elaborato».

Qui abbiamo inoltre un gustoso assaggio del Dostoevskij critico letterario, che si manifesta soprattutto nelle pagine esaltanti, vibranti del Diario di uno scrittore. Dostoevskij stesso traccia la linea della tradizione letteraria nella quale si inserisce il principe Myškin, quella dei personaggi belli, di cui Cristo rappresenta l’ineguagliabile vertice.

Nell’Idiota lo scrittore cita due di questi personaggi, Cristo, legato all’inquietante e realistica rappresentazione artistica di Hans Holbein il Giovane, e Don Chisciotte. Ora, è interessante notare come Cristo, Don Chisciotte e Myškin siano accomunati, oltreché dall’ideale della bellezza, dall’esito fallimentare delle loro esperienze esistenziali e ideologiche. Un aspetto questo, secondo il mio insignificante parere, degno di nota. La bellezza è destinata a fallire.

Da queste due importanti lettere, emerge con chiarezza la consapevolezza di Dostoevskij della complessità, e al tempo stesso della grandezza del compito che si è prefissato dando alla luce L’idiota. E il grande scrittore non fallisce, ma riesce, creando e donando al mondo uno dei romanzi più belli che siano mai stati scritti.

NOTE

[1] Si veda l’articolo Dostoevskij spiega Dostoevskij. Delitto e castigo.

[2] Apollon Nikolaevič Majkov fu un poeta, grande amico di Dostoevskij.

[3] I due eroi sono il principe Myškin e Nastasija Filippovna.

[4] I due quasi protagonisti sono Rogožin e Aglaja.

[5] F. Dostoevskij, Lettere sulla creatività, traduzione e cura di Gianlorenzo Pacini, Feltrinelli Editore, Milano 1991, pp. 81-83.

[6] Colgo l’occasione per ricordare la magistrale interpretazione di Gian Maria Volonté nei panni di Rogožin, nello sceneggiato televisivo del 1959 di Giacomo Vaccari.

[7] Sof’ja Aleksandrovna Ivanova fu la nipote prediletta di Dostoevskij, figlia di sua sorella Vera.

[8] Il nuovo stile è il calendario gregoriano, utilizzato in Europa.

[9] F. Dostoevskij, Lettere sulla creatività, traduzione e cura di Gianlorenzo Pacini, Feltrinelli Editore, Milano 1991, pp. 84-86.

In copertina: Vasilij Grigor’evič Perov, Ritratto di Dostoevskij, 1872.

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