Un corso di letteratura italiana contemporanea interamente dedicato alla poesia di Giorgio Caproni.
Una docente che oltre ad essere docente è anche poetessa, scrittrice e giornalista: Biancamaria Frabotta.
Uno studente: io.
E poi? Cos’altro? Appunti. Una pioggia di appunti.
Sezione Feuilleton. Atmosfera ottocentesca. Caproni dichiara di essersi ispirato al quadro Valico degli Appennini di Giuseppe De Nittis.
Si tratta di una poesia di maniera. Non c’è esperienza, non c’è più esperienza. “Feuilleton” è appunto un termine ottocentesco. In questa sezione avviene lo svuotamento del tema del viaggio.
PAROLE DEL BORGOMASTRO (BRUSCO) AI SUOI FAMIGLI
«Lasciate pure il bagaglio
nelle mie stanze. Là
dove mi dirigo io,
non fa d’uopo di troppa
suppellettile.
Addio.»
Di certo non stiamo nella modernità. I bagagli non servono, il viaggio non ci sarà.
RITORNO
Sono tornato là
dove non ero mai stato.
Nulla, da come non fu, è mutato.
Sul tavolo (sull’incerato
a quadretti) ammezzato
ho ritrovato il bicchiere
mai riempito. Tutto
è ancora rimasto quale
mai l’avevo lasciato.
Poesia in cui si irride la logica del viaggio. Poesia costruita sulla negazione di ciò che afferma. Tematica del non-viaggio. Linguaggio astratto. È la prova del nove del non-viaggio. Negati sia il tempo lineare che quello circolare. Il tempo è un punto privo di movimento.
FEUILLETON
«Questo è l’albergo,» disse.
Era sceso di serpa, e grosso
nell’incerato, m’aiutava
(la frusta in mano) a smontare
sulla fanghiglia. «La stanza,»
aggiunse, «è a settentrione.
Ma so che amate l’ombra
e il freddo,» fece, «e un tizzone,
del resto, non mancherà
nel caminetto. A voi
buona ventura e lunga
vita,» si congedò. E io là,
solo con le mie valige
dirimpetto al portone,
lo vidi risalire in serpa
e dar di briglia – la sedia
di posta, con uno strattone,
già persa. Nel nebbione.
Sembra che il viaggio sia arrivato da qualche parte. Si tratta di un’improbabile diligenza che è arrivata da qualche parte. È tutto improbabile. Questo viaggio corrisponde solo a ciò che ritrae la tela di De Nittis. Esperienza della non-esperienza.
PALO
a Sezis e Mézigue
(Chtibe-Cabane, 17 dic)
Sapevo che non ci sarebbe stato
nessuno ad aspettarmi.
Eppure io non sapevo darmi
pace, ed uno
sgomento in me saliva
lento, che m’intimidiva.
La nebbia che mi ricopriva
era vuota, era vera.
Ma io non sapevo se ombra
od uomo certo, era
lunga la figura nera
che su e giù andava – alzava
col braccio la lanterna
cieca, e scuoteva
dal cappotto il nevischio
e il fumo, mentre un fischio
la tenebra trapassava.
Sapevo che non si trattava
di partenza, e nemmeno
d’arrivo; né sapevo
se cane fosse o treno
o cuore (o la rosa,
forse, della mia inesplosa
domanda) l’avventura
morta che mi legava al palo
morto della mia paura.
Con Oss’Arsgiàn compare già nel Terzo libro. È il riferimento linguistico a Céline a rendere queste due poesie una coppia. «a Sezis e Mézigue»: a lei e a me stesso. «Chtibe-Cabane»: prigione-casa. Il giorno 17 dicembre compare già nella prima poesia del Congedo. Cosa sia accaduto in questa data non lo sappiamo. Si tratta di un viaggio compiuto verso una certezza («Sapevo», v. 1). Ma nonostante lo sapesse, sale lo «sgomento», che in Caproni equivale all’angoscia di Kierkegaard. La seconda è la strofa della nebbia, una nebbia paradossale, «vuota» e «vera». Nebbia ovvero incertezza. Paesaggio nevoso, tenebroso. Ennesimo riferimento a Dante, primo canto dell’Inferno, v. 66: «qual che tu sii, od ombra od omo certo!». Dopo l’incontro con le fiere, Dante intravede la figura di Virgilio. Abbiamo dunque un capostazione barra Virgilio. Ora esplode la paura. Nella terza strofa sa di nuovo. Movimento della coscienza: sapevo-non sapevo-sapevo. Il problema della conoscenza non cambia il sentimento. Il termine «rosa» è sempre riferito alla moglie Rina. È un’avventura senza avventura, un’avventura ferma. Richiamo ad Ulisse, legato al palo per non cadere vittima delle sirene. Avventura infernale.
OSS’ARSGIÀN
È un paese alla Utrillo.
Persiane verdi e tetti
rossi. Gli uomini
(gli uomini) sono più alti
degli uomini, ma io non so se è effetto
prospettico – non so se cuore
hanno in petto, obandiera.
È terra di gente nera
nell’ossa – gente da malta
e da mattoni. Gente
che ammassa, e poi nel niente
schianta – acqua che acqua
vacua nel vacuo e sterpi
lascia in questi burroni.
«Oss’Arsgiàn»: ossa-argento. Il paese alla Utrillo è Loco in Val Trebbia.

OTTONE
a Giuseppe Cauda
Ottone è il nome.
Dopo Gorreto, a nord
della Liguria, il primo
grosso borgo emiliano.
Paese di bestiame,
un tempo, e di mercato
grande. Oggi
– dell’antica opulenza –
resta vasto il piazzale
coi suoi tre alberghi, un verde
d’ippocastani, e a picco
sulla Trebbia il mulino
che ancora con la sua ruota
macina acqua.
È là,
in quella conca dove
(raro) il fagiano appare
nel bosco, che ora
vorrei finir la partita.
Là dove la vita stagna
(o sembra) senza
spinta di tempo. Il tempo
senza spinta di vita.
È in coppia con Oss’Arsgiàn. Si segue il corso del fiume Trebbia. Si ritorna al tema dello spopolamento.
ESPÉRANCE
(Feuilleton, II)
Sotto la frasca, l’insegna
era di sapore onesto – alzava
il cuore, e l’ocra
della facciata, rotto
dal nero della vite
del Canadà, già l’ocra
(Al Buon Asilo, recava
sul salnitro) nel gelo
il tannino evocava
e il gaio fuoco – «il bicchiere
che all’ospite nessuno nega
da queste parti.»
A una lega
(ma nemmeno, forse)
di distanza, incerta
e sfatta batteva l’ora
morta – un’ovatta
bassa era il cielo come
la fanghiglia: come
la mia mente scomparsa.
Alzai il battente. Un colpo.
Due. Niente.
Remota passò, ma senza
fermarsi, la diligenza.
Guardai la finestra. Murata.
La porta. Condannata.
Ah, «Quale folle danza»
(mi misi a canticchiare,
così, per non disperare
nel buio) «è la Speranza.»
Si riprende il viaggio di Feuilleton, come dimostra l’epigrafe. La traduzione del titolo dal francese è speranza, ma richiama anche il termine esperienza. Nella prima strofa si intravede un’osteria. «Ocra», «salnitro», «tannino», dettagli che dovrebbero dare certezza. Ma il paesaggio cozza con l’osteria. Si prova a entrare. Metafora tratta dall’edilizia: “porta condannata” ovvero murata o sbarrata; è una non-porta. Non si entra da nessuna parte, e allora esplode l’allegria caproniana, risvolto della disperazione di Kierkegaard.
ESPERIENZA
Tutti i luoghi che ho visto,
che ho visitato,
ora so – ne son certo:
non ci sono mai stato.
L’esperienza di non aver fatto nessuna esperienza. Si tratta dell’ennesima certezza («ora so»), e sono tutte certezze negative.
I CAMPI
«Avanti! Ancòra avanti!»
urlai
Il vetturale
si voltò.
«Signore,»
mi fece. «Più avanti
non ci sono che i campi.»
Sezione Due svolazzi finali, che conclude Il muro della terra.
CADENZA
Tonica, terza, quinta,
settima diminuita.
Rimane così irrisolto
l’accordo della mia vita?
È un accordo dissonante e di movimento. Non c’è risoluzione, e non ci sarà mai. Caproni ha lasciato una variante: «O accordo rimasto irrisolto / sul gelo delle mie dita» (idea della vecchiaia), al posto degli ultimi due versi.
QUASI DA «POESIA E VERITÀ», O: L’AULICO EGOISTA
Ed ora, disse, lasciamo
la stanza dell’amico infermo. Saliamo
insieme sulla terrazza
della Cattedrale, e insieme
– sollevato il bicchiere –
brindiamo, goethianamente,
al bel sole cadente.
Poesia e verità è un’opera autobiografica di Goethe. L’«amico infermo» è Herder, forse addirittura in punto di morte. Goethe intende un rapporto equivalente tra poesia e verità. «L’aulico egoista»: il preticello coniugava ancora egoismo e altruismo, ora invece prevalenza schiacciante del primo sul secondo. L’altruismo è «illacrimato». Goethe e Agostino sono gli unici due autori citati nella raccolta, trasformati in avverbi. Il muro della terra sancisce la fine del rapporto tra poesia e verità.
Le poesie sono tratte da Giorgio Caproni, Poesie 1932-1986, Garzanti, 1989.
Gli appuntamenti precedenti:
Caproni in itinere. Parte I
Caproni in itinere. Parte II
Caproni in itinere. Parte III
Caproni in itinere. Parte IV. Introduzione ai Lamenti
Caproni in itinere. Parte V. I lamenti
Caproni in itinere. Parte VI. Le biciclette
Caproni in itinere. Parte VII. Stanze della funicolare
Caproni in itinere. Parte VIII. Il passaggio d’Enea
Caproni in itinere. Parte IX. L’ascensore
Caproni in itinere. Parte X. Litania
Caproni in itinere. Parte XI. Il seme del piangere, 1
Caproni in itinere. Parte XII. Il seme del piangere, 2
Caproni in itinere. Parte XIII. Il seme del piangere, 3
Caproni in itinere. Parte XIV. Il seme del piangere, 4
Caproni in itinere. Parte XV. Il seme del piangere, 5
Caproni in itinere. Parte XVI. Congedo del viaggiatore cerimonioso
Caproni in itinere. Parte XVII. Il fischio (parla il guardacaccia)
Caproni in itinere. Parte XVIII. Lamento (o boria) del preticello deriso
Caproni in itinere. Parte XIX. Il muro della terra, 1
Caproni in itinere. Parte XX. Il muro della terra, 2
Caproni in itinere. Parte XXI. Il muro della terra, 3
Caproni in itinere. Parte XXII. Il muro della terra, 4
Caproni in itinere. Parte XXIII. Il muro della terra, 5
Caproni in itinere. Parte XXIV. Il muro della terra, 6
Caproni in itinere. Parte XXV. Il muro della terra, 7