Vincent van Gogh, Tavolo ad un Café con bicchiere d'assenzio, 1887

Histoires d’absinthe

Manifesto contro l’abolizione dell’assenzio

Il distillato maledetto per eccellenza, ricavato dall’Artemisia Absintihum, è sicuramente l’Assenzio. La pianta da cui viene estratto è, tra l’altro, la stessa da cui deriva il Vermouth e che si usa per produrre numerosi medicinali. Paradossale se si pensa a quanto male ha fatto nell’arco della storia.

Però se penso all’Assenzio ho un immagine ben chiara in testa, un boulevard parigino affollato di artisti davanti ai caffè illuminati da luci fioche, come in un quadro di Van Gogh, le sfumature si diffondono nel buio di una strada bagnata e lucente. Focolai di persone radunate intorno a una bottiglia verde, in una Montparnasse di inizio secolo. La magia di centinaia di menti che affollano quei luoghi in quei periodi, ci si potrebbe riempire un libro intero solo con i nomi di chi è passato di li.

Il consumo in maniera sfrenata di assenzio da parte di molti artisti è diventato leggendario proprio per la natura proibita della Fata verde. Ma la sua storia non è poi così diversa da tanti prodotti dichiarati illegali ai giorni nostri. Nell’ultimo ventennio dell’Ottocento in Francia e in gran parte dell’Europa le vigne furono colpite da un’epidemia di fillossera. Così il popolo si trova costretto ad annegare i dispiaceri in altri alcolici, e i grandi produttori rimediano così alla crisi del vino.

Nel frattempo cominciano a circolare voci che renderanno dura la vita dell’assenzio negli anni a venire. La presenza di un olio essenziale all’interno del distillato, il tujone, sembra essere fortemente nocivo. Un componente quasi mistico poiché essendo stato a lungo al centro di invettive, non è stato studiato abbastanza. Oltretutto la maggior parte delle ricerche furono promosse e pagate dalle compagnie che volevano bandire l’assenzio e da produttori vinicoli che di interessi nella vicenda ne avevano e non pochi. Questo tujone aveva capacità allucinogene secondo studi effettuati grossolanamente e di seguito fu associato addirittura al THC, sostanza presente in gran quantità nella marijuana. Successivamente però, venne smentito anche questo: gli scienziati furono tratti in inganno dalle composizioni chimiche simili. Solo negli ultimi anni è stato definitivamente sconsacrato il mito del tujone. Un chimico statunitense, Ted Breaux, ha dimostrato che la presenza del tujone negli assenzi “storici” non superava i 9 mg/Kg, a differenza delle quantità ben superiori affermate in precedenza (250 mg/Kg), cosicché da non essere affatto nocivo.

Fatto sta che venne bandito nella maggior parte dei paesi europei, tra cui la Francia, l’Italia, l’Inghilterra e i Paesi Bassi. Forse è proprio questo spirito al limite della legalità che ha accresciuto l’interesse. E così l’assenzio diventa vera e proprio musa ispiratrice, la “Fee Verte” (la fata verde), dando stimoli e ispirazione a chi affollava i caffè letterari. E Parigi, nei primi vent’anni del secolo più che mai, fu capitale del mondo per quel genere di artisti. Picasso riempiva tavolini di assenzio verde per allietare le sue giornate che passava quasi sempre da solo in un tavolino in penombra. Utrillo fu affetto spesso da Delirium Tremens a causa dei costanti abusi di alcool e di assenzio. Modigliani insieme a lui non conosceva limiti e forse fu proprio l’assenzio che gli fece allungare il collo delle donne che dipingeva. Baudelaire non ne parliamo.

Ma una grande nota di merito va data al governo francese che in quel periodo creo una sorta di situazione ideale per gli artisti, ai quali fu permesso qualsiasi abuso nei quartieri di Montmartre e Montparnasse che divennero di conseguenza quartieri frequentati specialmente da scrittori, pittori, scultori e prostitute.

Edgar Degas, “L’absinthe”, 1876

Tra i tanti che si sono cimentati in dipinti riguardanti l’assenzio, degno di nota c’è sicuramente il ritratto di Degas, intitolato proprio “L’absinthe”. Nel quadro è protagonista lo sguardo perso di una ragazza seduta davanti a un tavolinetto con su una bottiglia di assenzio probabilmente, ma l’immagine che colpisce da subito è la solitudine presente nel quadro. La donna ha di fianco un uomo che non le è di nessuna compagnia, è alienata completamente da tutto ciò che ha intorno. In questo caso Degas, tra gli impressionisti sicuramente il più legato a Parigi, ci presenta una visione diversa del caffè parigino, c’è il lato della solitudine della grande città e non luogo di incontri piacevoli. Venticinque anni dopo ci prova anche Picasso a rappresentare “la bevitrice d’assenzio”. Anch’egli amava girare solitario per Parigi e immortalare degli attimi di vita da caffè, forse mosso anche dai racconti di grandi maestri come proprio Degas. Il risultato non ha la stessa intensità del precedente, forse anche per la giovane età in cui dipinge Pablo, ancora immaturo ma già molto talentuoso. Nella sua riproposizione l’effetto che vuole ricreare è lo stesso del precedente ovvero una solitudine che si nota già dall’impostazione del dipinto. Una donna davanti a un tavolino si contorce afferrandosi un braccio con il solito sguardo perso. Nel quadro non compare nient’altro che lei a mezzo busto e un bicchiere e una bottiglia poggiati su un tavolino.

Mistico. La figura dell’assenzio ha per lungo tempo regnato nell’ordinaria vita di abusi a cui si sottoponevano molti degli artisti che più apprezziamo oggigiorno. Certo è che ha lasciato il posto a cose ben peggiori e che poco o niente di buono stanno facendo uscire da queste “menti illuminate” che vivono i nostri tempi. Chissà di cosa si parlerà tra cent’anni, quali alcolici astrusi o droghe sintetiche avranno ispirato e soprattutto chi? Ma in fondo penso che sia arrivato il momento di resettare tutto e ricominciare da capo, latte e biscotti per favore.

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