Un corso di letteratura italiana contemporanea interamente dedicato alla poesia di Giorgio Caproni.
Una docente che oltre ad essere docente è anche poetessa, scrittrice e giornalista: Biancamaria Frabotta.
Uno studente: io.
E poi? Cos’altro? Appunti. Una pioggia di appunti.
Sezione Acciaio. Si tratta di un episodio completo, di un vero e proprio racconto. Guerra come guerra, come idea universale e non più particolare. È la guerra in se stessa, con ricordi dell’esperienza della guerra vissuta. È la sezione della guerra in se stessa.
ALL’ALBA
Eran costretti, tutti,
a seguir lui, il solo
che avesse una lanterna.
Ma all’alba,
tutti, si sono dileguati
come fa la nebbia. Tutti.
Chi qua, chi là.
(C’è anche chi ha preso,
pare, una strada falsa.
Chi è precipitato. È facile.)
Oh libertà, libertà.
Alba momento caro a Caproni, è il suo momento della giornata, presente in Come un’allegoria (scritta in caserma, alba che segue la veglia, oggetti accolti senza calore), nel Passaggio d’Enea (dove il sole sgorga, pathos e amore). Qui siamo lontani dalla caserma e dagli ambienti cittadini. Qui siamo nella Val Trebbia. Rapporto tra «tutti» e «lui». La lanterna non porta nessun beneficio, l’alba fa dileguare tutti. Tutti seguono una guida. Siamo di fronte a una sparizione, ora dileguano tutti. «Tutti» è il protagonista. Verso finale: come se non si avesse il fiato per esclamare (l’interiezione è data dall’«oh», ma è assente il punto esclamativo), è piuttosto un sospiro.
IN ECO
(piano)
(Qualcuno avrà anche gridato,
nel bosco. Chi l’ha ascoltato.)
(fortissimo)
Ma – tutti! – hanno cantato
vittoria, prima del rantolo.
La conoscenza della guerra è precaria, esitante. «Chi l’ha ascoltato»: domanda senza punto interrogativo. Piano e fortissimo sono indicazioni musicali. Rime facili: gridato/ascoltato/cantato. In particolare «cantato» esprime l’ironia tragica. Con gli ultimi due versi siamo nell’assurdo.
ACCIAIO
S’erano rifugiati
dove?
L’antro
del carbonaio era nero
– soffiava notte il vuoto
del camino.
Esitarono,
le labbra schiuse.
Il gelo
della candela, certo
non bastava a chiarire
la situazione.
Uscirono
nuovamente all’aperto.
La luna, a perdizione,
allucinava alta
la neve.
Strinsero
l’arma.
Sbaglio
per sbaglio, meglio
– se bisognava morire –
lanciarsi. Allo sbaraglio.
Dava perfino allegria,
in quel vetro azzurrino,
l’acciaio della fucileria.
Terza tappa della fuga. Dove se lo chiedono i compagni e i nemici. «Antro del carbonaio»: ambientazione fiabesca. Soluzione analogica: «soffiava notte il vuoto»; non è possibile distinguere il soggetto (ed è questa l’essenza dell’analogia). «Esitarono»: rientriamo nella guerra remota. Sintassi nominale, fatta di brevi frasi che non sono rette da niente. Chi è che parla? Chi è che commenta? Non c’è luce che tenga nella guerra in se stessa, è sempre oscura. Passaggio strepitoso: «La luna, a perdizione, / allucinava alta / la neve». La luna (luce) e la neve (orme) sono nemiche dei partigiani. Paesaggio stupendo e al tempo stesso mortale. Conoscenza ambigua del linguaggio della natura. Ambiguità data dall’esistenza dell’uomo. Nella penultima strofa luoghi comuni della guerra. Forte assonanza. Morire introiettato come un bisogno, non c’è scelta. «Sbaglio»: non si tratta del grande sbaglio della guerra, ma del piccolo sbaglio di un’impronta. Nell’ultima terzina ecco apparire Ungaretti: allegria, ma non c’è nulla dell’allegria ungarettiana (ritrovarsi vivo dinanzi alla morte). Allegria/fucileria. L’acciaio è quello della fucileria.
IN BOCCA
Strisciarono ciechi.
Il viso tagliato dai fili
d’acciaio della pioggia.
Strisciarono muti.
Fin dove i cani mordono
i fulmini. In bocca
scisti e acqua vuota.
Un silenzio ossuto.
«Tutto, non era ancora perduto.»
Si inizia a strisciare. «Ciechi»: riferimento a Pascal, che definisce tali gli atei, ma anche senso letterale. Torna l’acciaio. Tempo da fiaba, imprevedibile, capriccioso. La natura si mimetizza rispondendo alla paura degli uomini. Natura sempre più ostile e sempre meno natura. La figura umana non c’è. L’atto di strisciare elimina qualunque sensazione sensitiva («ciechi», «muti»). I cani sono i nemici. Associazione analogica: «i cani mordono / i fulmini». Acqua vuota che non disseta. Silenzio «ossuto» che non è gradito, perché non mette al riparo dal pericolo. Nell’ultimo verso luogo comune del linguaggio bellico. Utilizzo straniato del termine «ossuto». Straniamento del linguaggio.
OVATTA
Li videro salire uno
dopo l’altro, fino
a toccare la cresta.
Il lampo del bengala, netta
ne sagomò la figura
contro il mercurio.
Caddero
(o parve) uno
dietro l’altro.
Nessuno
poté udirne il lamento.
Lo coprì il polso – il cuore:
l’ovatta del cannoneggiamento.
Sono visti. Parentesi dell’esitazione. Sono sagome, sagome di un bersaglio e cadono come se fossero di cartone. Disumanizzazione. Forse c’è stato il lamento (umana manifestazione del dolore), comunque vano, inutile. Suono ovattato. L’ovatta assume un significato astratto.
L’ESITO
Sono stremati. Tentano
(è l’ultimo sforzo) di issare
la bandiera. Ma quali
cani la mordono
già, sotto i rottami
del cielo, mentre storditi
gli altri con le unghie raschiano
i sassi, in cerca
d’un grido di trionfo?
Hanno
l’occhio di piombo – il fiato
a pezzi.
Vorrebbero,
compiuta la missione, accecare
anche i fulmini.
Sanno
che lo sterminio forse
li ha preceduti. E quasi
piangerebbero, se ora
il pianto avesse un senso.
A chi,
si chiedono, annunziare l’esito,
se a valle li stanno a guardare
soltanto i morti, e alle spalle
la sodaglia del mare?
Scompare il passato, ecco il presente. Non c’è determinazione storica, i partigiani non issavano bandiere. Nel Primo Lamento i cani sono amici dell’uomo, per Caproni nel 1947 il linguaggio poetico è parola con empito, animali e umani si somigliano. Qui i cani invece sono ostili, sono cani da combattimento (liquidazione del tema attraverso la variazione di un tema già trattato). Perdita di naturalezza della natura: cielo in rovina, fatto di «rottami». Il pianto, come il lamento, non ha senso. «Sodaglia»: mare sodo, materiale disgustoso.
TUTTO
Hanno bruciato tutto.
La chiesa. La scuola.
Il municipio.
Tutto.
Anche l’erba.
Anche,
col camposanto, il fumo
tenero della ciminiera
della fornace.
Illesa.,
albeggia sola la rena
e l’acqua: l’acqua che trema
alla mia voce, e specchia
lo squallore d’un grido
senza sorgente.
La gente
non sai più dove sia.
Bruciata anche l’osteria.
Anche la corriera.
Tutto.
Non resta nemmeno il lutto,
nel grigio, ad aspettar la sola
(inesistente) parola.
Si riferisce a episodi della guerra di liberazione, tedeschi e/o mongoli scrive Caproni. Se si liquida il tutto si ha una perdita senza lutto. Bruciate tutte le fondazioni delle istituzioni. Anche la natura è bruciata (l’erba). Fornace della piccola azienda del paese. «L’acqua che trema»: analogia forte. È rimasto solo un torrente, perché non brucia, in questo paesaggio montano. «Tutti» ha ora come equivalente «la gente». Distruzione di un villaggio e di tutti i suoi elementi portanti.
I COLTELLI
«Be’?» mi fece.
Aveva paura. Rideva.
D’un tratto, il vento si alzò.
L’albero, tutto intero, tremò.
Schiacciai il grilletto. Crollò.
Lo vidi, la faccia spaccata
sui coltelli: gli scisti.
Ah, mio dio. Mio Dio.
Perché non esisti?
I nemici sono faccia a faccia, parlano entrambi italiano: guerra civile, guerra fratricida. Finale vocazione che si trasforma in bestemmia. Commento di Caproni: episodio storico, due amici nemici. Si tratta del suo compagno di violino (era molto fascista, dice Caproni). Secondo la Baroncini, autrice del volume Caproni e la poesia del nulla, Nietzsche è l’archetipo del nichilismo caproniano, ed è proprio in questa poesia che si palesa nel modo più evidente la morte di Dio.
Le poesie sono tratte da Giorgio Caproni, Poesie 1932-1986, Garzanti, 1989, pp. 321-331.
Gli appuntamenti precedenti:
Caproni in itinere. Parte I
Caproni in itinere. Parte II
Caproni in itinere. Parte III
Caproni in itinere. Parte IV. Introduzione ai Lamenti
Caproni in itinere. Parte V. I lamenti
Caproni in itinere. Parte VI. Le biciclette
Caproni in itinere. Parte VII. Stanze della funicolare
Caproni in itinere. Parte VIII. Il passaggio d’Enea
Caproni in itinere. Parte IX. L’ascensore
Caproni in itinere. Parte X. Litania
Caproni in itinere. Parte XI. Il seme del piangere, 1
Caproni in itinere. Parte XII. Il seme del piangere, 2
Caproni in itinere. Parte XIII. Il seme del piangere, 3
Caproni in itinere. Parte XIV. Il seme del piangere, 4
Caproni in itinere. Parte XV. Il seme del piangere, 5
Caproni in itinere. Parte XVI. Congedo del viaggiatore cerimonioso
Caproni in itinere. Parte XVII. Il fischio (parla il guardacaccia)
Caproni in itinere. Parte XVIII. Lamento (o boria) del preticello deriso
Caproni in itinere. Parte XIX. Il muro della terra, 1
Caproni in itinere. Parte XX. Il muro della terra, 2
Caproni in itinere. Parte XXI. Il muro della terra, 3