Un corso di letteratura italiana contemporanea interamente dedicato alla poesia di Giorgio Caproni.
Una docente che oltre ad essere docente è anche poetessa, scrittrice e giornalista: Biancamaria Frabotta.
Uno studente: io.
E poi? Cos’altro? Appunti. Una pioggia di appunti.
Sezione Allo scrittoio, o:
CONDIZIONE
Un uomo solo,
chiuso nella sua stanza.
Con tutte le sue ragioni.
Tutti i suoi torti.
Solo in una stanza vuota,
a parlare. Ai morti. [1]
Tema dell’uomo solo. Epigramma della certezza. Caproni spiega che i morti sono i vivi di oggi. C’è aggressività, c’è condanna. Quest’uomo solo è un uomo indignato.
Sezione Il vetrone. Sottile strato di ghiaccio che si forma sulla pietra.
L’IDROMETRA
Di noi, testimoni del mondo,
tutte andranno perdute
le nostre testimonianze.
Le vere come le false.
La realtà come l’arte.
Il mondo delle sembianze
e della storia, egualmente
porteremo con noi
in fondo all’acqua, incerta
e lucida, il cui velo nero
nessun idrometra più
pattinerà – nessuna
libellula sorvolerà
nel deserto, intero. [2]
L’idrometra è un ricordo dell’infanzia. Si tratta di un insetto che scivola sul ghiaccio e rappresenta la grande leggerezza, la poetica della leggerezza. Numerosi gli echi leopardiani, ad esempio «sembianze» è un termine tipicamente leopardiano. Si certifica la fine della poesia come testimonianza. Tutto finisce dentro l’acqua, morte per acqua. Deserto immaginato come se l’acqua ricoprisse la terra.
FINITA L’OPERA
a Ermando Nobilio,
maestro ebanista
Quello che è fatto, amici,
è fatto. Possiamo
riporre i ferri. Ciascuno
(se vuole – se ha qualcuno
ad aspettarlo) può andare
franco dove più il cuore
lo tira. Io
che non ho abitazione
(che, qui fra voi, vedete,
e per voi, son Dio
che esiste, si dice, soltanto
nell’atto di chi lo prega: un atto,
in fondo, di disperazione
e negazione), io
– che non ho ubicazione –
preferisco restare
ancora un poco – scaldare
le dita all’ultimo fuoco
della colla, e scacciare
dalla mano il tremore
che l’agita, poi ridotto in cenere
il tizzone, sparire
«col favor delle tenebre». [3]
Linguaggio parlato, ma un parlato continuamente interrotto (ed è questa una caratteristica dell’intera raccolta). Metrica complessa, ma che regge. Se fosse tutto un parlato si scivolerebbe nel caos. Le parentesi sono un elemento disgregante. Il maestro è Dio per coloro che stanno in bottega. Dio assente, che si sottrae, invisibile. L’atto di pregarlo non è più eroico come nel Preticello; negatività della religione. Si desidera quello che desidererebbe un suicida.
PLAGIO PER LA SUCCESSIVA
Senza sperar pertugio
o
elitropia. [4]
Inferno, canto XXIV, v. 93: «sanza sperar pertugio o elitropia». Commento: senza speranza di una cavità nella quale nascondersi, né una pietra magica (l’elitròpia) che rende le persone invisibili. Il verso dantesco rappresenta la condizione umana, ne è l’emblema: impossibilità di una via di scampo; ineluttabilità della pena e disperazione. Altro vocalizzo che introduce la poesia successiva.
IL VETRONE
e a chi?
«Non c’è più tempo, certo,»
diceva. E io vedevo
lo sguardo perduto e bianco
e il cappottaccio, e il piede
(il piede) che batteva
sul vetrone – la mano
tesa non già lì allo stremo
della scala d’addio
per un saluto, ma forse
(era un’ora incallita)
per chiedere la carità.
Eh Milano, Milano,
il Ponte Nuovo, la strada
(l’ho vista, sul Naviglio)
con scritto: «Strada senza uscita».
Era mio padre: ed ora
mi domando nel gelo
che m’uccide le dita,
come – mio padre morto
fin dal ’56 – là
potesse, la mano tesa,
chiedermi il conto (il torto)
d’una vita che ho spesa
tutta a scordarmi, qua
dove «Non c’è più tempo,»
diceva, non c’è
più un interstizio – un buco
magari – per dire
fuor di vergogna: «Babbo,
tutti non facciamo altro
– tutti – che .» [5]
È per la presenza dell’«interstizio», del «buco» che Plagio anticipa Il vetrone, costituendone, di fatto, l’antefatto. Caproni fornisce tre chiavi di lettura per interpretare il conclusivo spazio bianco, il conclusivo vuoto: «A Surdich prospettai tre ipotesi per colmare lo spazio lasciato in bianco: a) il poeta ha voluto lasciare ad libitum del lettore il verbo all’infinito e la eventuale successiva proposizione che grammaticalmente dovrebbero o potrebbero seguire il che; b) il p.[oeta] s’è accorto dell’impossibilità di dire la più ovvia delle ragioni, o gli manca la voce; c) tutti non facciamo altro che quelle cose che tu (babbo) mi rimproveri e che nessuno vuol confessare o dire. Le stesse cose (probabilmente) che facevi anche tu». Se Dio latita va sostituito, e d’ora in poi la figura paterna assume una grande importanza. Tramite la memoria associativa, emerge la figura paterna (a Milano Caproni incontra un poveraccio che chiede la carità e gli ricorda il padre; figura spettrale che non ha niente di consolatorio). La poesia nasce dunque da un evento reale.
L’IDALGO
Deo optimo maximo
«Ma,» domandai (il vinaio
si forbiva la bocca
col pollice), «che ne è,» domandai,
«di quel vecchio (alto,
bell’uomo – un cappellaio,
credo) che tutte le sere
(lo chiamavano l’Idalgo)
“Salute a lei!” squillava
sollevando il bicchiere?»
L’altro, che ricontava
e ricontava sul banco
il contante, «ah Franco,
già…» ma io intanto
(io intanto) io dove ormai svagavo
con la mia mente – dove
finivano le parole
distratte, al grido
(«Salute a lei!» squillava)
già alzato dal rimorchiatore
allo scalo?… Udii,
di piombo, cadere le ore
dalla Torre. Pagai.
Uscii. E mai,
mai io (un cappellaio,
certo; bell’uomo) mai,
nel buio di quelle gialle
luci d’acqua, mai
io avevo avuto più freddo
nel mio gabbano – il solo
ricordo che di mio padre morto
(lo chiamavo l’Idalgo)
quel giorno, come ogni altro, ancora
mi coprisse le spalle. [6]
Altra poesia paterna. Ambientazione romana. Anche questa poesia nasce da un evento reale. Si tratta di una delle costruzioni più nebbiose, più avvinazzate. Poesia dedicata a Dio, ma compare il padre, nascosto dietro la figura del cappellaio. Il cappellaio è una figura di copertura. Il suo gesto è il brindisi. È una controfigura del padre. Il brindisi irrompe nella memoria di chi racconta. E dietro il cappellaio viene fuori un’altra figura. Nel terzo verso utilizzo del passato remoto («domandai»). Nella seconda strofa si passa all’imperfetto («ricontava»). Poi riprende il passato remoto che termina con «uscii». Il passato remoto viene utilizzato per sostenere e collocare in un tempo immoto (ed è ciò che accade in tutta la raccolta). Nella seconda strofa emersione di un’epifania livornese o genovese. Il brindisi diviene il grido; sensazione uditiva. «Gabbano» è un termine desueto, ottocentesco, che si accoppia bene con l’immoto passato rievocato. Il gabbano è un oggetto sostitutivo, protettivo. Nelle poesie del padre riecheggia il bisogno di protezione. Forse dietro la seconda figura, quella del padre, ce n’è una terza, il Dio dell’epigrafe, l’assente per eccellenza. Commento di Caproni: poesia dove il padre non si sa se è il padre, può essere Dio, può essere io, può essere tutto. Gioco di presenza-assenza.
ARALDICA
a R.
Amore, com’è ferito
il secolo, e come siamo soli
– tu, io – nel grigiore
che non ha nome. Finito
è il tempo dell’usignolo
e del leone. Il blasone
è infranto. Il liocorno
orma non ha lasciato
sul suolo: l’Ombra, è in cuore. [7]
A R. ovvero Rosa o Rina. Fine dell’epoca araldica (studio del blasone, degli stemmi). Livorno è il simbolo della purezza. «Ombra» è un personaggio della letteratura fantastica, il nemico che non si vede. Tema della solitudine, solitudine che trascina. «Grigiore» tema e colore che appartiene a questo libro.
NOTE
[1] Giorgio Caproni, Poesie 1932-1986, Garzanti, 1989, p. 303.
[2] Ivi, p. 307.
[3] Ivi, p. 308.
[4] Ivi, p. 309.
[5] Ivi, pp. 310-311.
[6] Ivi, pp. 312-313.
[7] Ivi, p. 314.
Gli appuntamenti precedenti:
Caproni in itinere. Parte I
Caproni in itinere. Parte II
Caproni in itinere. Parte III
Caproni in itinere. Parte IV. Introduzione ai Lamenti
Caproni in itinere. Parte V. I lamenti
Caproni in itinere. Parte VI. Le biciclette
Caproni in itinere. Parte VII. Stanze della funicolare
Caproni in itinere. Parte VIII. Il passaggio d’Enea
Caproni in itinere. Parte IX. L’ascensore
Caproni in itinere. Parte X. Litania
Caproni in itinere. Parte XI. Il seme del piangere, 1
Caproni in itinere. Parte XII. Il seme del piangere, 2
Caproni in itinere. Parte XIII. Il seme del piangere, 3
Caproni in itinere. Parte XIV. Il seme del piangere, 4
Caproni in itinere. Parte XV. Il seme del piangere, 5
Caproni in itinere. Parte XVI. Congedo del viaggiatore cerimonioso
Caproni in itinere. Parte XVII. Il fischio (parla il guardacaccia)
Caproni in itinere. Parte XVIII. Lamento (o boria) del preticello deriso
Caproni in itinere. Parte XIX. Il muro della terra, 1