Estetica e modernità, con Flavio Cuniberto

Intervista con Flavio Cuniberto, autore del volume: “Il vortice estetico”

La modernità e la sfera estetica, il vortice.  Il tema del libro è la «modernità», considerata come quella fase della storia umana in cui nasce la «sfera estetica»: è moderna, in altre parole, la possibilità di considerare le cose come pure immagini, ossia di «fruirne esteticamente». Ciò naturalmente non ha nulla a che fare con la Grande Arte, che è antica e orientale non meno che occidentale.  E’ invece un fatto che nell’Occidente moderno le cose, siano essere opere d’arte, o ambienti naturali, oppure oggetti di uso quotidiano, incominciano a essere «apprezzate» come pure immagini, svincolate, sciolte, dal loro significato o dalla loro funzione originaria. Questo slittamento dalla cosa alla pura immagine favorisce a sua volta una accumulazione delle immagini, una sorta di effetto-valanga, che mi piace descrivere con la figura del «vortice».

Un tratto essenziale di questo vortice è la dinamica accelerata: il vortice delle immagini sempre più liberate gira sempre più rapidamente.  Non basta dire che siamo presi in un vortice di immagini – televisive, cinematografiche, e poi attraverso tutti i media di nuova invenzione – bisogna dire che questo vortice è un vortice continuamente accelerato (come un ciclone la cui velocità continua ad aumentare).  Su questo tema – la dinamica accelerata – varrebbe la pena di soffermarsi perché è decisivo: è probabile che la stessa percezione del tempo si modifichi – nell’età moderna – nel senso di una progressiva accelerazione. I primi ad accorgersene e a parlarne sono stati i romantici tedeschi, che intorno al 1800 parlano proprio di una Beschleunigung, di una accelerazione degli eventi (c’è uno studio importante di Reinhard Koselleck su queste cose).  E se dovessimo portare un esempio arcinoto e clamoroso, basterebbe riflettere sulla nozione economica di «crescita»: quello che importa ormai non è il valore assoluto (del sistema produttivo, del PIL), ma la rapidità della sua crescita, ossia la sua accelerazione. Se la velocità è costante si profila lo spetttro della «recessione». Ora, il fatto di accettare come ovvia, come fisiologica, non la macchina della produzione, bensì la sua accelerazione, è un indizio patologico, è l’indizio di una malattia: come un organismo che che deve continuare a crescere all’infinito per mantenersi in salute. Ossia un organismo malato.

– Teorie della decrescita ?  E’ vero che la percezione del carattere patologico della crescita obbligata incomincia a farsi strada con le teorie della «decrescita». Ma si tratta spesso di una percezione insufficiente.  Concentrando l’attenzione sulle conseguenze ambientali della crescita – inquinamento, clima change ecc. – si finisce per attenuare, paradossalmente, la percezione della malattia. (Se si scoprisse che il sistema può continuare a crescere all’infinito senza danneggiare l’ambiente – che è poi l’obiettivo del cosiddetto «sviluppo sostenibile» – la corsa continuerebbe imeprterrita e non ci accorgeremmo che la crescita illimitata è patologica in se stessa. Ma perché la crescita accelerata è patologica in se stessa ? Qui entra in gioco la dimensione estetica: perché comporta un sottilizzarsi delle merci prodotte – un passaggio dalla produzione di beni materiali a beni immaginari, cioè immagini, da consumare sempre più freneticamente – e questa deriva ‘immaginaria’ o ‘immateriale’ dei beni di consumo provoca una perdita progressiva di realtà, o anche una falsificazione sistematica della realtà che tende ad assumere un connotato ‘onirico’.

Naturalmente, quando parlo di una «perdita di realtà» faccio qui un uso molto «ingenuo» del  termine realtà, supponendo che tutti sappiamo di cosa si sta parlando. Non è così. Che cosa sia reale è il problema dei problemi. Resta fermo, tuttavia, che un’immagine non è reale perché appunto non-è ciò di cui è immagine (e che supponiamo reale). Il prevalere dell’immagine è in ogni caso un processo de-realizzante. Non vorrei però che si fraintendesse questa apologia della «realtà» col «new realism», il ritorno al senso comune che ci dice la realtà è quella che posso toccare, assaggiare, mangiare ecc. Sono convinto che il new realism sia una posizione filosofica estremamente banale. Plotino faceva notare, sorridendo, che è molto sciocco pensare che una pietra sia più reale, che so, di un teorema matematico: una pietra, se mi cade su un piede, mi fa più male di un teorema matematico: ma la violenza dell’urto è un buon criterio per valutare la realtà di qualcosa ? Plotino sorrideva di questo criterio, e anche Platone avrebbe sorriso: come sorriderebbe (preoccupato) del new realism.

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