Un corso di letteratura italiana contemporanea interamente dedicato alla poesia di Giorgio Caproni.
Una docente che oltre ad essere docente è anche poetessa, scrittrice e giornalista: Biancamaria Frabotta.
Uno studente: io.
E poi? Cos’altro? Appunti. Una pioggia di appunti.
Nella Ballatetta di Cavalcanti endecasillabi e settenari. Caproni evita l’endecasillabo, utilizzando prevalentemente il settenario, l’ottonario e il novenario (il metro pascoliano per eccellenza). In Cavalcanti strofe costituite tutte dallo stesso numero di versi. In Caproni invece numero variabile. Caproni mantiene inoltre una sua libertà, anche nelle rime: baciate e alterne. Nei Versi livornesi quello che conta è il ritmo. Viene rispettata la leggerezza. La maggior parte delle parole sono piane. Parola sdrucciola all’inizio e non alla fine del verso e utilizzo del gerundio: intensificazione del ritmo.
Metodi utilizzati per scongiurare la monotonia: interiezione (i primi due versi de L’uscita mattutina: «Come scendeva fina / e giovane le scale Annina!»); spezzatura (enjambement: «Mordendosi la catenina / d’oro…»), che incide maggiormente nel verso breve; utilizzo del trattino (pausa immotivata, che mette in difficoltà, si è costretti a fare pause innaturali quando si legge ad alta voce); utilizzo delle parentesi (si creano simmetrie asimmetriche).
L’USCITA MATTUTINA
Come scendeva fina
e giovane le scale Annina!
Mordendosi la catenina
d’oro, usciva via
lasciando nel buio una scia
di cipria, che non finiva.
L’ora era di mattina
presto, ancora albina.
Ma come s’illuminava
la strada dove lei passava!
Tutto Cors’Amedeo,
sentendola, si destava.
Ne conosceva il neo
sul labbro, e sottile
la nuca e l’andatura
ilare – la cintura
stretta, che acre e gentile
(Annina si voltava)
all’opera stimolava.
Andava in alba e in trina
pari a un’operaia regina.
Andava col volto franco
(ma cauto, e vergine, il fianco)
e tutta di lei risuonava
al suo tacchettio la contrada. [1]
Il tema è dato dal titolo. Mattina-albina rima sensata. Nella seconda strofa interiezione di sorpresa, a chi appartiene la voce non lo sappiamo. Il passaggio di Annina è molto diverso dal passaggio d’Enea. Nella terza strofa corrispondenza sensitiva tra la città e Annina. La gente sente Annina, la sa, è un passaggio conosciuto e atteso. Rapporto donna-città creato da Saba, ma in termini diversi. Qui la città si adatta al personaggio. Annina, sensuale, stimola al lavoro. C’è dinamismo rispetto alla Ballatetta di Cavalcanti. Quarta strofa: alba e trina sono due bisillabi, facilitano il ritmo, solo questo le accomuna. Annina illumina il paesaggio e gli dà un suono («tacchettio»).
NÉ OMBRA NÉ SOSPETTO
E allora chi avrebbe detto
ch’era già minacciata?
Stringendosi nello scialletto
scarlatto, ventilata
passava odorando di mare
nel fresco suo sgonnellare.
Livorno le si apriva
tutta, vezzeggiativa:
Livorno, tutta invenzione
nel sussurrare il suo nome.
Prendeva a passo svelto,
dritta, per la Via Palestro,
e chi di lei più viva,
allora, in tant’aria nativa?
Livorno popolare
correva con lei a lavorare.
Né ombra né sospetto
era allora nel petto. [2]
L’interrogativa non appartiene ad una voce riconoscibile, come le interiezioni; sembra quasi una voce popolare. Dialogo tra Annina e Livorno, e voce fuori campo. Vezzeggiativa: aggettivo di Livorno, è un aggettivo impertinente, che lascia sorpresi, è un’invenzione lessicale, lo dichiara subito dopo («tutta invenzione / nel sussurrare il suo nome»). Viva-nativa è una rima terapeutica per chi vive il complesso dell’esilio. Il lavoro dei Versi livornesi è una gioia.
LA RICAMATRICE
Com’era acuto l’ago
e agile e fine l’estro!
Raccolta entro quel vago
bianco odore di fresco
lino, oh il ricamare
abile come la spuma
trasparente del mare.
Nel sole era il cantare,
candido, d’un canarino.
Vedevi il capo chino
(e acre) strappare
coi denti la gugliata
nuova, per ricominciare.
Livorno tutta intorno
com’era ventilata!
Come sapeva di mare
sapendo il suo lavorare! [3]
Annina è arrivata a lavoro, si descrive il suo lavoro. La seconda strofa è descrittiva e analogica. Le ultime due esclamazioni sono pronunciate a voce molto alta. Il «candido» appartiene al cantare: sinestesia, la figura retorica caratteristica del Simbolismo. Associazione Annina-canarino: il capo chino è anche dell’uccello. «(e acre)»: per rendere tutto meno crepuscolare; è un rompere l’ovvietà, la facilità.
LA STANZA
La stanza dove lavorava
tutta di porto odorava.
Che bianche e vive folate
v’entravano, di vele alzate!
Prendeva di rimorchiatore,
battendole in petto, il cuore.
Prendeva d’aperto e di vita,
il lino, tra le sue dita.
Ragazzi in pantaloni corti,
e magri, lungo i Fossi,
aizzandosi per nome
giocavano, a pallone.
(Annina li guardava
di sottecchi, e come
– di voglia – accelerava
l’ago, che luccicava!) [4]
«Prendeva di rimorchiatore»: il rimorchiatore trascina la nave, analogia. Caproni porta l’analogia al livello della nostra vita quotidiana, attraverso l’utilizzo del verbo “prendere”. È la stanza anche della poesia.
In questa raccolta non ci sono dialoghi.
URLO
Il giorno del fidanzamento
empiva Livorno il vento.
Che urlo, tutte insieme,
dal porto, le sirene!
Tinnivano, leggeri,
i brindisi, cristallini.
Cantavano, serafini,
gli angeli, nei bicchieri.
Annina, bianca e nera,
bastava a far primavera.
Com’era capinera,
col cuore che le batteva!
Fuggì nel vento, stretta
al petto la sciarpetta.
In cielo, in mare, in terra
che urlo, scoppiata la guerra… [5]
Nella prima strofa interiezione che è espressione del pathos della guerra. Nel trillo sentiamo il coro dei serafini (Dante, schiere angeliche). La terza strofa è la strofa della lode di Annina. Non è primavera, è una giornata molto ventosa. «Com’era capinera»: paragone classico. Annina annuncia la primavera.
Raccolta ricamata come ricama Annina, ovvero senza virtuosismi.
I primi due versi dell’ultima strofa ricordano un sillabario, immagine infantile. Rima terra-guerra: apparsa già nei Lamenti, ne L’ascensore; rima spesso utilizzata per sottolineare la solitudine. Origine della rima: Dante, Inferno, canto II, vv. 2-4:
«toglieva li animai che sono in terra
da le fatiche loro; e io sol uno
m’apparecchiava a sostener la guerra».
Idea di unicità e solitudine.
NOTE
[1] Giorgio Caproni, Poesie 1932-1986, Garzanti, 1989, p. 202.
[2] Ivi, p. 203.
[3] Ivi, p. 208.
[4] Ivi, p. 209.
[5] Ivi, p. 213.
Gli appuntamenti precedenti:
Caproni in itinere. Parte I
Caproni in itinere. Parte II
Caproni in itinere. Parte III
Caproni in itinere. Parte IV. Introduzione ai Lamenti
Caproni in itinere. Parte V. I lamenti
Caproni in itinere. Parte VI. Le biciclette
Caproni in itinere. Parte VII. Stanze della funicolare
Caproni in itinere. Parte VIII. Il passaggio d’Enea
Caproni in itinere. Parte IX. L’ascensore
Caproni in itinere. Parte X. Litania
Caproni in itinere. Parte XI. Il seme del piangere, 1
Caproni in itinere. Parte XII. Il seme del piangere, 2
Caproni in titinere. Parte XIII. Il seme del piangere, 3