Shakespeare e il dramma dei migranti nel “Sir Thomas More”

Dal prossimo 15 aprile il manoscritto dell’opera teatrale “Sir Thomas More” verrà esposto nella mostra Shakespeare in 10 Acts, in occasione dei 400 anni dalla scomparsa del drammaturgo inglese. Proprio per questa speciale occasione, negli ultimi giorni la British Library ha pubblicato online sul suo sito oltre 300 documenti dedicati allo scrittore: tra questi, appunto, l’unica copia esistente dell’opera sopracitata, il manoscritto originale che fu poi censurato e dunque mai realizzato.

Nelle accese vicende che caratterizzano l’opera dedicata alla vita di Tommaso Moro, spunta un toccante discorso in difesa dei migranti, nel quale con toni accesi narra di vicende estremamente attuali, tanto da far balzare nelle prime pagine di ogni testata le frasi topiche scritte dal drammaturgo inglese.

Nella scena narrata il riferimento cronologico è ai fatti dell’Evil May Day del 1517, quando nel cuore di Londra si accese un rivolta contro i migranti (europei) che giungevano in numero sempre maggiore nella capitale, accusati di rubare il lavoro agli inglesi. Una storia già sentita, che ha non pochi paralleli con quello che accade 500 anni dopo proprio nelle “nuova” Europa.

Al popolo, inferocito per gli accaduti, Shakespeare parla attraverso Moro con parole piene di umanità, che invitano a riflettere, ancora oggi:

“Immaginate allora di vedere gli stranieri derelitti,
coi bambini in spalla, e i poveri bagagli
arrancare verso i porti e le coste in cerca di trasporto,
e che voi vi atteggiate come re dei vostri desideri
– l’autorità messa a tacere dal vostro vociare alterato –
e ve ne possiate stare tutti tronfi nella gorgiera della vostra presunzione.
Che avrete ottenuto? Ve lo dico io: avrete insegnato a tutti
che a prevalere devono essere l’insolenza e la mano pesante”

Parole di un’attualità sconcertante, utilizzate da Shakespeare per smuovere la coscienza popolare sui temi a lui contemporanei, ovvero l’invasione degli ugonotti francesi, i quali, scappando dalla loro patria, cercavano nell’Inghilterra un rifugio, un asilo.

La loro e la nostra contemporaneità si intrecciano, si uniscono o forse non si dividono mai da allora: dunque il muro della lontananza crolla e queste parole possono e devono coinvolgere anche noi attivamente, devono arrivare alle nostre orecchie con voce giovane e ferma, la voce della ragione. La storia dell’umanità, in fondo, è una migrazione continua, è inutile arginare un movimento con la disumana ed ennesima violenza ai danni di chi è già fuggito dalle atrocità che la vita gli ha posto dinanzi.

“Vorreste abbattere gli stranieri,
ucciderli, tagliar loro la gola, prendere le loro case
e tenere al guinzaglio la maestà della legge
per incitarla come fosse un mastino. Ahimè, ahimè!
Diciamo adesso che il Re,
misericordioso verso gli aggressori pentiti,
dovesse limitarsi, riguardo alla vostra gravissima trasgressione,
a bandirvi, dov’è che andreste? Che sia in Francia o Fiandria,
in qualsiasi provincia germanica, in Spagna o Portogallo,
anzi, ovunque non rassomigli all’Inghilterra,
orbene, vi trovereste per forza ad essere degli stranieri.
Vi piacerebbe allora trovare una nazione d’indole così barbara
che, in un’esplosione di violenza e di odio,
non vi conceda un posto sulla terra,
affili i suoi detestabili coltelli contro le vostre gole,
vi scacci come cani, quasi non foste figli e opera di Dio,
o che gli elementi non siano tutti appropriati al vostro benessere,
ma appartenessero solo a loro? Che ne pensereste
di essere trattati così? Questo è quel che capita agli stranieri,
e questa è la vostra disumanità da senzadio.”

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