E’ un tema delicato da affrontare, l’attualità ci tempesta di tragiche storie di morte, abbandono, diritti calpestati e muri. Non è questo che vogliamo approfondire, non oggi per lo meno, bensì vorremmo raccontarvi alcune storie di artisti i quali probabilmente non sarebbero esistiti se non ci fosse stata una nazione ad ospitarli, se non ci fosse stato un porto dalle placide acque ad accoglierli e crescerli, per rendere il loro genio universale.
Contro ogni muro, oggi si parla di arte migrante nel senso più nobile e profondo del termine, di mescolanze che hanno cambiato l’uomo in meglio, di intrecci culturali nati dalle porte aperte di un popolo.
Infine aggiungiamo che i cinque artisti elencati brevemente non sono gli unici esempi di arte “in movimento”, bensì i cinque casi più o meno diversi che ci hanno permesso di capire le differenti motivazioni che hanno spinto o spingono un uomo ad abbandonare la propria “Heimat” per il mondo.
Vincent van Gogh
Il pittore olandese è il Bohémien per eccellenza, e dunque ideologicamente l’ultimo di una stirpe di nomadi e gitani. Certo da giovane era ben più convenzionale di quello che si possa pensare, inizialmente la sua carriera da Goupil sembrava indirizzarlo verso il difficile mestiere del mercante, ma i primi fallimenti amorosi lo costrinsero ad abbandonare i luoghi che frequentava: così iniziò quello che è più corretto definire “pellegrinaggio”, piuttosto che viaggio, all’interno della vita.
Il sogno di divenire un pastore, anch’esso abbandonato per lo scarso seguito che riuscì ad attirare, lo spinse alla scelta di affrontare un viaggio nei luoghi dove poteva essere utile, un pastore itinerante insomma. Ma anche quest’idea venne presto abbandonata, non senza grandi sofferenze, per poi abbracciare infine la professione del pittore, l’uomo che ha il dovere di scoprire, di conoscere la sua verità incontrandola per strada, nella sua realtà ed interpretarla di conseguenza.
Van Gogh senza il viaggio sarebbe morto qualche anno prima. Oppure non sarebbe stato il pittore che conosciamo.
Oskar Kokoschka

Come lo definimmo in un precedente articolo a lui dedicato, Kokoschka è in fondo un “viaggiatore enfatico”: la sua natura multiculturale e la sua nazionalità mista (austriaco, inglese, tedesco, ceco e ebraico) lo hanno reso un cittadino del mondo. Così anche le correnti dalle quali si è lasciato attraversare e affascinare, dalla secessione viennese a quella berlinese, dall’Espressionismo alla scuola di Dresda, dal Die Brucke ai Fauves, il suo pellegrinaggio artistico è stato scandito dalle travagliate vicende personali che lo segnarono nell’arco della lunghissimi vita (1886-1980), giungendo ad una sintesi artistica personalissima e fortemente enfatica.
Nelle sue infinite peregrinazioni ha toccato le più importanti capitale europee, lasciandosi trasportare dalle proprie emozioni in una descrizione “espressionista” dei luoghi visitati: i colori accesi (come nel caso di Venezia e New York) accentuano ancora di più l’acuminosità dei palazzi che svettano e infilzano il cielo frastagliato e inquieto; altre volte invece lasciano spazio ad un interpretazione più intimistica legata forse ad un esperienza passata, come nel caso di Praga, città in cui ha vissuto a lungo ed ha avuto modo di conoscere più a fondo, lasciando intendere dal dipinto un velo di malinconia e di tristezza, rievocando un simbolico tramonto.
Chaïm Soutine
Girano diverse leggende su Soutine, ebreo bielorusso, le cui notizie sull’infanzia sono spesso contraddittorie, tranne le poche certezze legate ai rigidi precetti ai quali venne sottoposto fin da bambino e la terribile povertà in cui versava. L’idea di fare il pittore non viene presa benissimo dalla famiglia e quando un giorno viene sorpreso a realizzare il ritratto del rabbino riceve una punizione esemplare: rinchiuso in una cella frigorifera insieme alle carcasse di animali e riempito di botte. Poco tempo dopo parte per Parigi, squattrinato e disperato, compiendo parte del tragitto a piedi tra il freddo e le pulci.
Uomo rude e sgraziato, ha nell’impossibilità economica il suo pesante fardello che lo condiziona in gran parte della sua vita, finché non raggiunge il successo. Alla prima vendita importante, raccontò Man Ray successivamente, Soutine si ubriacò e prese un taxi da Parigi facendosi portare fino al Midi. Non aveva mai visto il mare, disse, la patria di ogni sognatore e ogni spirito libero.
Le ultime fughe selvagge furono purtroppo corse folli, dentro i boschi nella notte, nella fredda selva francese al riparo dalla follia nazista. L’ultima fuga, l’ultima follia.
Paul Gauguin
Praticamente un nomade, un viaggiatore errante che ha fatto della scoperta il suo motivo di crescita.
La sua vita ha dell’incredibile e sembra guadagnare spregiudicatezza col passare degli anni, come un buon vino: ed è dall’odore tannico che permeava le strade di Parigi che inizia l’avventura di un tranquillo agente di cambio, vita pregressa e corpo estraneo nel quale era intrappolato l’animo ribelle ed estroso di Paul Gauguin.
Poi la Danimarca (patria della prima moglie), Panama, Martinica, Polinesia, un viaggio tra i continenti alla ricerca di una primordiale coscienza, trovata infine nella pace di Hiva Ao. E nel mezzo? Nel mezzo una tripudio di colori e stili, mutamenti spirituali e fisici, che lo hanno portato alle profonde consapevolezze della vita, alla crescita morale.
Il primo pittore a trovare il mito nel primordiale, nello sperduto. E’ come uno speleologo della società, un bodhisattva in continuo movimento alla ricerca del risveglio in un luogo selvaggio. Dove la società non ha ancora corrotto ogni essere umano.
Pablo Picasso

Credits: © Atelier Robert Doisneau
Tra le diverse accezioni di “migrante” vi è senza dubbio il più moderno “clandestino”: paradossalmente è proprio questo il caso di Picasso, il quale si recò in Francia agli albori del ‘900 per fuggire ad una situazione spagnola non proprio felice.
I primi periodi furono molto difficili per il pittore spagnolo, il quale si ritrovò neanche ventenne buttato nel centro artistico mondiale, Parigi. Prima l’appoggio degli amici spagnoli, poi le nuove conoscenza nella comunità di Montmartre, lo portarono a girare il mondo in un quartiere. La grande capacità di Picasso di carpire i segreti dei vari pittori e reinterpretarli in maniera personale fece il resto.
Il resto della vita non è costellato di viaggi strabilianti, o spostamenti continui, ma è significativa la sua iniziale esperienza da clandestino.