Mama Africa – Derain e il ritorno alle origini

Nei tumultuosi anni parigini, quelli che precedono la prima guerra mondiale, si era ormai affermata da più di una generazione una comunità artistica con sede a Montmartre. Il perché è facilmente intuibile, data la politica alquanto permissiva e protettiva nei confronti degli abitanti del quartiere fulcro dei movimenti artistici europei. Molti dei maestri del ‘900 vi abitarono per brevi e lunghi periodi, influenzando con le loro idee gran parte dei personaggi che frequentavano la comunità.

Picasso e Matisse probabilmente sono i più rappresentativi innovatori che all’inizio del XIX secolo vivevano il quartiere di Montmartre, impegnati a stravolgere tutte le concezioni classiche di pittura ribellandosi alle correnti accademiche, ma ciò che è meno noto è che probabilmente le loro caratteristiche principali, le loro opere più rappresentative, non sarebbero state le stesse senza André Derain.

Il pittore francese, destinato ad una carriera da ingegnere dalla quale fortunatamente è sfuggito, è stato il perno tra Picasso e il cubismo, colui che lo ha introdotto al legame primordiale con la madre Africa, oltre che l’ispirazione che ha mosso tutto l’incredibile cromaticità di colori di Matisse. Insomma, fino ad ora sembra delinearsi il ritratto di un “derubato”, un povero artista a cui è stato sottratto il meglio per renderlo la chiave stilistica di chi è poi diventato famoso. Non è poi del tutto vero, ma il profilo più azzeccato è quello di un grande ricercatore, discontinuo senza dubbio, ma anche molto generoso nel condividere le sue scoperte, come nel caso dell’arte africana.

La storia affonda le sue radici quando era poco più di un ragazzo e venne trasferito dal padre in una scuola pubblica, da quella ecclesiastica che frequentava precedentemente, per paura che diventasse un prete. Questa scelta ebbe degli echi sconvolgenti sul giovane, che fece uscire il suo lato ribelle portandolo a marinare quasi sempre le lezioni per perdersi all’interno del museo del Louvre. Ore interminabili passate ad analizzare, studiare e ridisegnare le sale dedicate all’arte antica, ed è in quel momento probabilmente che ha inizia il suo rapporto ancestrale con l’arte africana.

Ciò che è meno nota è l’epifania che ha avuto qualche hanno dopo quando scoprì una statuetta africana dalle forme sinuose e accoglienti: l’inarrestabile ispirazione lo ha portato ad esternare le sue rivelazioni agli artisti che frequentava in quel periodo, mostrando così a Picasso le forme che lo porteranno alla svolta artistica, e Matisse ad una rivoluzione di colori e forme che lo renderanno unico. Così Derain ruppe l’ armonia classica dei colori e delle forme una volta per tutte, portando con se l’insegnamento degli antichi e distaccandosi infine dai suoi contemporanei.

André Derain, Le grandi bagnanti, 1908

Ciò che più colpisce è come ancora una volta Picasso confermi l’aforisma tanto famoso secondo cui “i mediocri imitano, i geni copiano”, nell’apprendere a pieno gli insegnamenti di Derain (alla prima esposizione del quadro delle bagnanti rimase per ore ad osservarlo e studiarlo) e quanto sia tuttora sottovalutato lo stesso pittore nonostante svolga un ruolo decisivo in una delle numerose trasformazioni picassiane. Per quanto riguarda Matisse il discorso è senza dubbio diverso poiché senza di lui l’artista francese non sarebbe mai diventato pittore: quando era giovane e fresco di congedo militare, chiamò l’amico Matisse per convincere i genitori che il pittore poteva essere un mestiere serio proprio come quello dell’ingegnere. Detto ciò rimane evidente anche in Matisse l’influenza di Derain, vero e proprio ricercatore artistico e fucina di idee.

E’ per questo e per altri motivi che deve essere rivalutata tutta la ricerca espressiva e informale che è stata effettuata in quegli anni dal pittore francese, abile nel tradurre il linguaggio arcaico in forme moderne e contemporanee, oltre che in colori vivi e innovatori. La sfida di Derain è quella di ritrovare nell’arte il legame nascosto con le radici dell’umanità, svelando nei suoi nudi primordiali la libertà di un uomo ancora privo di inibizioni, e mostrarci così che la bellezza non è necessariamente nascosta dietro virtuosismi artistici, ma può risplendere nella semplicità delle forme ataviche.

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