Comprendere oggi un saggio di estetica come Laocoonte (1766) dello scrittore, drammaturgo e filosofo tedesco Gotthold Ephraim Lessing (1729-1781) non è semplice, tale è la trasvalutazione che ha subito l’arte dal Settecento a oggi, e in particolar modo nel XX secolo – basti pensare a un’opera in particolare, che ha davvero rovesciato tutto: Fontana (1917) di Marcel Duchamp (1887-1968).
Eppure, se si riesce a entrare, con un poco di sforzo, nei panni dell’autore, per noi postmoderni troppo stretti, a immedesimarsi in esso e, di conseguenza, a leggere il saggio con gli occhi dell’epoca, è possibile scovare nel Laocoonte un’enorme quantità di gioielli. Gioielli il cui valore inestimabile resta intatto fino ai nostri giorni.
Personalmente reputo i paragrafi XX e XXI del Laocoonte, quelli dedicati alla bellezza corporea, tra i più belli e pregnanti dell’intero saggio. «La bellezza corporea scaturisce dall’effetto armonico di molteplici parti che si possono cogliere d’un tratto», scrive Lessing, mutuando la definizione da colui che Paul Oskar Kristeller (1905-1999), nel Moderno sistema delle arti (1951), considera il fondatore dell’estetica moderna: Shaftesbury (1671-1713).
Dunque, secondo questa definizione, affinché possa scaturire la bellezza corporea, è necessario che le parti si trovino una accanto all’altra, «e poiché le cose le cui parti stanno l’una accanto all’altra sono l’oggetto proprio della pittura, essa, ed essa sola, può imitare la bellezza corporea». Al contrario, il poeta, «che può mostrare gli elementi della bellezza solo uno dopo l’altro, si astiene totalmente dalla descrizione della bellezza corporea in quanto bellezza». E come spesso accade nel saggio, Lessing ricorre alla massima autorità letteraria, e in generale artistica, per avallare le proprie ipotesi: Omero. Egli si limita a scrivere che «Nireo era bello; Achille era ancor più bello; Elena possedeva una bellezza divina. […] Eppure l’intero poema si fonda sulla bellezza di Elena» (o sull’ira del Pelide, come sostiene Tasso, a seconda dei punti di vista). Sulla stessa scia del Greco si trova Virgilio, per il quale Didone non è che «pulcherrima».
La posizione di Lessing è chiara, e serpeggia più o meno sotto traccia lungo tutto il saggio. Egli si oppone con polemica decisione alla dilagante poesia descrittiva. E la critica dell’autore dell’Emilia Galotti non risparmia neppure un monumento come Ludovico Ariosto (1474-1533). Lessing estrae dall’Orlando furioso la descrizione della maga Alcina e la riporta integralmente nel Laocoonte:
Di persona era tanto ben formata,
Quanto mai finger san Pittori industri;
Con bionda chioma, lunga et annodata:
Oro non è, che più risplenda, e lustri.
Spargeasi per la guancia delicata
Misto color di rose e di ligustri;
Di terso avorio era la fronte lieta,
Che lo spazio finia con giusta meta.
Sotto duo negri e sottilissimi archi
Son duo negri occhi, anzi due chiari soli,
Pietosi a riguardare, a mover parchi,
Intorno a cui par ch’Amor scherzi e voli,
E ch’indi tutta la faretra scarchi
E che visibilmente i cori involi:
Quindi il naso per mezzo il viso scende,
Che non truova l’Invidia ove l’emende.
Sotto quel sta, fra due vallette,
La bocca sparsa di natio cinabro:
Quivi due filze son di perle elette,
Che chiude et apre un bello e dolce labro,
Quindi escon le cortesi parolette
Da render molle ogni cor rozzo e scabro,
Quivi si forma quel suave riso,
Ch’apre a sua posta in terra il paradiso.
Bianca nieve è il bel collo, e’l petto latte;
Il collo è tondo, il petto colmo e largo:
Due pome acerbe, e pur d’avorio fatte,
Vengono, e van come onda al primo margo,
Quando piacevole aura il mar combatte.
Non potria l’altre parti veder Argo:
Ben si può giudicar che corrisponde
A quel ch’appar di fuor quel che s’asconde.
Monstran le braccia sua misura giusta;
E la candida man spesso si vede
Lunghetta alquanto e di larghezza angusta,
Dove né nodo appar, né vena escede.
Si vede al fin della persona augusta,
Il breve, asciutto e ritondetto piede.
Gli angelici sembianti nati in cielo
Non si ponno celar sotto alcun velo.
Nel suo Dialogo della pittura (1557) Ludovico Dolce (1508 o 1510 – 1568) raccomanda ai pittori il passo dell’Orlando furioso come il modello ideale della bellezza femminile («Se vogliono i Pittori senza fatica trovare un perfetto esempio di bella Donna, leggano quelle Stanze dell’Ariosto, nelle quali egli descrive mirabilmente le bellezze della Fata Alcina: e vedranno parimente, quanto i buoni Poeti siano ancora essi Pittori»), al contrario Lessing lo raccomanda «come la più istruttiva ammonizione di non tentare ancor più infelicemente quello che non riuscì all’Ariosto».
Il paragrafo XXI del Laocoonte si apre con un nuovo riferimento a Omero. Nonostante il poeta greco non si lanci mai in descrizioni dettagliate della bellezza corporea di Elena, egli riesce comunque a fornire un’idea della bellezza della donna «che supera di gran lunga quello che l’arte è in grado di darci sotto questo rispetto». Lessing si riferisce in particolar modo al passo dell’Iliade in cui è descritta la comparsa di Elena dinanzi all’assemblea degli anziani di Troia:
Non è vergogna che i Teucri e gli Achei schinieri robusti,
per una donna simile soffrano a lungo dolori:
terribilmente, a vederla, somiglia alle dee immortali!
«Cosa può dare una più vivida idea della bellezza del farla riconoscere dalla frigida vecchiaia ben degna della guerra che costa tanto sangue e tante lacrime? Ciò che Omero non poteva descrivere nelle sue componenti ce lo fa riconoscere dall’effetto. Dipingeteci, poeti, il piacere, la dedizione, l’amore, l’emozione che la bellezza produce, e avrete dipinto la bellezza stessa».
Lessing avvalora la propria tesi riportando altri due esempi poetici: Saffo e Ovidio. Della poetessa greca cita la celebre e meravigliosa lirica A me pare uguale agli dei:
A me pare uguale agli dei
chi a te vicino così dolce
suono ascolta mentre tu parli
e ridi amorosamente. Subito a me
il cuore si agita nel petto
solo che appena ti veda, e la voce
si perde sulla lingua inerte.
Un fuoco sottile affiora rapido alla pelle,
e go buio negli occhi e il rombo
del sangue alle orecchie.
E tutta in sudore e tremante
come erba patita scoloro:
e morte non pare lontana
a me rapita di mente.
Di Ovidio Lessing riporta invece alcuni degli innumerevoli versi dedicati a Lesbia:
Che spalle ho visto e toccato, che braccia!
Come era fatta per essere palpata la forma dei seni!
Come liscio il ventre sotto il petto sodo!
Che fianchi che curve che cosce giovanili!
L’abilità di Ovidio non risiede nel mostrarci pezzo per pezzo il corpo dell’amata, ma nel farlo «con quella voluttuosa ebbrezza con la quale è così facile risvegliare il nostro desiderio».
Il filosofo e drammaturgo tedesco sottolinea, in chiusura del paragrafo, come esista un altro mezzo attraverso il quale la poesia eguaglia l’arte nella descrizione della bellezza corporea: mutare la bellezza in grazia.
«La grazia è bellezza in movimento», scrive Lessing, riprendendo una definizione già formulata, tra gli altri, dal collezionista e scrittore d’arte Christian Ludwig von Hagedorn (1712-1780): «La bellezza posta in movimenti o atteggiamenti armonici dà alla figura umana la grazia; le figure in cui i movimenti, in virtù d’una felice disposizione, armonizzano tra loro, aumentano l’effetto grazioso dell’intero dipinto».
E nella descrizione di Alcina da parte di Ariosto, tutto ciò che ci piace e ci commuove è proprio la grazia. I suoi occhi non impressionano certo perché sono neri e focosi, ma perché sono «pietosi a riguardar, a mover parchi»; la sua bocca colpisce perché su di essa si forma un sorriso amorevole e perché da essa sgorgano dolci parole; il suo seno ammalia «perché lo vediamo dolcemente ondeggiare su e giù come i flutti sul limitare estremo della riva, quando uno zefiro giocoso s’oppone al mare».
I passi citati sono tratti da Gotthold Ephraim Lessing, Laocoonte, a cura di Michele Cometa, Aesthetica edizioni, Palermo 2007.