Il passato è un mostro che ha posseduto almeno una volta ognuno di noi. Chi non si è mai trovato a fantasticare su come sarebbe potuta essere migliore la propria vita se fosse nato in un altra epoca storica? Chi non ha pensato almeno per un momento di voler rivivere un attimo del passato, non necessariamente personale. E’ certo che vivere di ricordi non è un bene, ma ricordare è altrettanto fondamentale.
Cercare risposte sul tema della temporalità è cosa assai ardua, e compito che non si può risolvere con un semplice articolo, ma sollevare alcune riflessioni, o instaurare alcuni dubbi, è quello che potrà esserci più d’aiuto. Il come è semplice: affidarci a chi già a tribolato intorno al tema, a chi nel nome del ricordo del passato ha speso un intera esistenza e ancora a chi, capendo che non esiste altro tempo al di fuori del presente, ha guardato avanti con curiosità.
Probabilmente il campo che più abbraccia questo argomento è quello della letteratura, e nessun altro esempio è più calzante dell’opera “Alla ricerca del tempo perduto” di Marcel Proust. L’ardito capolavoro letterario si interroga sull’intuizione della materialità del tempo, cercando di aggirarlo per fuggire al suo corso inesorabile: l’atteggiamento dello scrittore è quello di un custode del ricordo, di un nostalgico perduto nel passato che non tornerà. Poi se non si vogliono smuovere grandi pensatori come Proust si può comunque tirare in causa Charles Dickens, che con “Canto di Natale” abbraccia, seppur trasversalmente, il tema del tempo facendo visitare il taccagno protagonista da tre spiritelli: nella sua opera è senza dubbio forte la denuncia sociale per la povertà dilagante, ma allo stesso tempo vi è un invito a vivere appieno il nostro presente, per far si che il futuro non sia sbiadito dai rimorsi per ciò che potevamo ma non abbiamo fatto.
Più curioso è invece il rapporto tra il passato e l’architettura: l’opera realizzata infatti è spesso il motivo stesso del ricordo di un tempo che fu, come può essere il centro storico romano, o i boulevard parigini. Ma questa tipologia di “ricordi” non può essere analizzato in questo ambito poiché facenti parte della temporalità. In merito architettonico possiamo pensare però a quanti vedono al passato come un illuminata rivelazione e non intendono rinnovare il linguaggio: Leon Krier è uno di questi, l’architetto lussemburghese mescola il postmodernismo ad un classicismo spietatamente rivolto al Rinascimento. Visioni, condivisibili o no, che in questi ultimi anni stanno trovando numerosi sostenitori. L’altro caso più emblematico è forse quello dell’architetto olandese Rem Koolhaas, capace di divincolarsi dagli schemi progettuali preimpostati, rivolgendo il suo sguardo sempre verso un futuro spaziale.
L’arte che forse più di tutte riesce ad abbracciare il concetto di tempo e di ricordo è la pittura: gli esempi in questo campo sono molteplici, quasi tutti gli artisti hanno vissuto una condizione di estraniamento dalla realtà, che li ha portati a vivere in luoghi e tempi indefiniti. E forse è proprio per questo che si evince una delle funzioni principali dell’arte, quella del preservare un ricordo, un emozione. E’ palese quando si osserva un’opera che è stata fatta per un motivo, e guardandola meglio ci si rende conto che nasconde sempre un’idea, un’idea figlia dell’attimo in cui è stata partorita, e dunque vittima di un emozione che l’ha generata. Questo poi è più o meno visibile a seconda dei pittori: Munch ad esempio non viveva al di fuori dei suoi tristi ricordi, con il dolore di una ferita aperta per i lutti e gli abbandoni ricevuti, mentre Boccioni affrontava il futuro, analizzando gli elementi del presente che lo circondavano, lasciando intatto il ricordo di un periodo di grandi cambiamenti scientifici e tecnologici.
Plinio il Vecchio descrive di come una coppia di innamorati costretta a separarsi decide di lasciare una traccia che richiami quel momento: la donna allora prende un carboncino e alla luce della luna copia l’ombra dell’amato sul lato di una tomba, così da poter ricordare quel momento anche quando non ci sarà più. E’ proprio in questa immagine però che si completa l'(im)perfezione del ricordo, lasciando alla donna solamente una vaga idea di quello che è stato (rappresentata dal contorno dell’ombra) e tutto il resto in mano all’immaginazione di chi lo ha vissuto quel momento, capace di riempire la sagoma come vuole ma non in maniera oggettivamente perfetta.
In fin dei conti è calzante il ragionamento di Čechov in merito all’idea di passato: “Là dove noi non siamo, si sta bene. Nel passato noi non siamo più ed esso ci appare bellissimo.” Ed è proprio per questo che siamo e saremo sempre portati a pensare a ciò che è stato con una nota malinconica. Così come il ricordo “pulisce” le imperfezioni, lasciando solo il bello di un emozione vissuta.