Pur essendo un matematico e un fisico, Blaise Pascal (1623-1662) sottolinea come la scienza abbia dei limiti costitutivi che ne “inibiscono” l’utilità e ne restringono notevolmente il campo d’azione.
In primis l’esperienza, con la quale la ragione si ritrova sempre a dover fare i conti. Contrariamente a quanto sostiene Cartesio, per Pascal infatti la ragione non ha poteri assoluti. In secundis l’indimostrabilità dei principi primi.
Ed è soprattutto nelle annose questioni esistenziali, è nel problema del senso della vita [1], che si manifesta l’incapacità e l’insufficienza della ragione, alla quale Pascal contrappone il cuore, dunque il sentimento e l’intuizione. Da qui il celebre aforisma:
«Il cuore ha le sue ragioni, che la ragione non conosce» [2].
Tale opposizione ragione-cuore la si ritrova espressa nell’opposizione tra l’esprit de géométrie – ovvero lo spirito di geometria, che si occupa degli aspetti esteriori, apparenti oppure di quelli astratti della matematica e si serve della dimostrazione – e l’esprit de finesse – ovvero lo spirito di finezza, che si occupa dell’uomo e si basa sul cuore, sul sentimento e sull’istinto. L’esprit de finesse vede immediatamente là dove di solito si sente, saltando in blocco la fase della riflessione, del ragionamento.
Dinanzi ai problemi esistenziali la scienza è del tutto impotente, e si trova nell’analoga condizione del divertissement [3]:
«Avevo trascorso gran tempo nello studio delle scienze esatte, ma la scarsa comunicazione che vi si può avere con gli uomini me ne aveva disgustato. Quando cominciai lo studio dell’uomo, capii che quelle scienze esatte non si addicono all’uomo, e che mi sviavo di più dalla mia condizione con l’approfondire lo studio che gli altri con l’ignorarlo» [4].
E ancora:
«Vanità delle scienze. Nei giorni di afflizione, la scienza delle cose esteriori non varrà a consolarmi dell’ignoranza della morale; ma la conoscenza di questa mi consolerà sempre dall’ignoranza del mondo esteriore» [5].
La scienza è vana, e per l’uomo non c’è cosa di maggior valore che la conoscenza di se stesso. Senza questa conoscenza tutto scivola nella vacuità, nell’inutilità. Tutto diviene un esercizio frivolo, inconsistente e vanaglorioso:
«Bisogna conoscere se medesimi: quand’anche non servisse a trovare la verità, giova per lo meno a regolare la propria vita; e non c’è nulla di più giusto» [6].
NOTE
[1] Per un approfondimento si veda l’articolo Blaise Pascal – Il senso della vita come problema fondamentale.
[2] B. Pascal, Pensieri, a cura di P. Serini, Einaudi, Torino 1962.
[3] Per un approfondimento si veda l’articolo Blaise Pascal – Il divertissement come fuga dai problemi esistenziali.
[4] B. Pascal, Pensieri, a cura di P. Serini, Einaudi, Torino 1962.
[5] Ivi.
[6] Ivi.
In copertina: Augustin Pajou (1730-1809), Blaise Pascal (particolare), Museo del Louvre.