Maledetto Chaïm. Quando il delirio corre lungo le pareti

Piccola premessa

Al fine di evitare patetiche reazioni di sdegno, consiglio a tutte le anime candide e sensibili che si ritrovano dinanzi agli occhi puri questo articolo, di non procedere oltre nella lettura. Uomo avvisato, mezzo salvato.

Parigi, Musée de l’Orangerie, nella sala interamente dedicata a Chaïm Soutine, 1 ottobre 2015, le diciassette e trenta circa.

Brividi. Angoscia. Inquietudine. Sputi. Schiaffi. Vien voglia di inginocchiarsi e bestemmiare, e gridare, e strapparsi i capelli e vomitare, di forza, anche se non ce n’è bisogno, ficcandosi due dita sporche in gola. Diamine.

Grumi di colore ancor più grossi, ancor più pesanti di quelli che caratterizzano le tele di Utrillo. Grumi di colore rappreso che premono per uscire fuori, per strapparsi via dalla tela e schizzare dritto in faccia all’osservatore, sporcandogli quel grugno così borghese. Vorrei prendere a schiaffi tutti i presenti, tutti, nello stesso modo brutale e sadico in cui Soutine prende a schiaffi me.

Dal dipinto Bœuf et tête de veau (1923) esce fuori la puzza dell’enorme carcassa squartata, insanguinata e si diffonde per tutta la sala. Dio che lezzo, che meraviglioso e conturbante lezzo!

Chaïm Soutine, Bue e testa di vitello, 1923.

I petali di Glaïeuls (1919) sono grosse e grasse gocce di sangue appese, ciondolanti, che stanno per colare pesantemente a terra. E al momento dell’imminente impatto con il suolo schizzeranno dappertutto, come schizzano dappertutto le cervella dopo che ci si è sparati un colpo di pistola in testa, come schizza dappertutto lo sperma quando noi bestie abbiamo le palle piene.

Chaïm Soutine, Glaieuls, 1919.

Potrei restare all’interno di questa maledetta, fottuta e al tempo stesso straordinaria sala, per tutta la vita. La mano trema, la penna scivola tra le dita inondate di sudore, cazzo. Il cuore rimbomba. Cazzo, di nuovo, e ancora, cazzo. Sono ammirato e disperato. Vorrei colpire queste dannate tele con calci e pugni, lacerarle, distruggerle, ma sono loro che colpiscono me e mi abbattono, mi annientano.

Sento Soutine ridere, ridere a squarciagola, a perdifiato, avvolto in quel suo vecchio cappotto liso e puzzolente come la carcassa del bue che tiene in casa e dipinge. La sua risata fragorosa, dissacrante fuoriesce dalle sue opere assurde ed insensate, come assurda ed insensata è la vita stessa.

Maledizione…

Il delirio corre lungo le pareti, come un ossesso che sfugge nudo alla camicia di forza, sotto la pioggia, mimando gesti osceni. È un girotondo velocissimo, un tritacarne che smembra e lacera, la pelle, le vene e la carne. Non so neppure se quel che sto scrivendo abbia una logica, ma chi se ne frega, l’esistenza non ammette la logica. Ammette solo l’angoscia, l’angoscia e la morte, l’angoscia e la morte e la distruzione, l’angoscia e la morte e la distruzione e il nulla assoluto. Soutine lo sa e lo grida, dritto in faccia a me e gli schizzi della sua saliva velenosa mi finiscono negli occhi, che bruciano, li aprono totalmente, per sempre. I suoi sputi, mentre egli grida, recidono le palpebre.

Mi guardo attorno e sudo. La fronte si inumidisce. I peli delle ascelle faticano a contenere i litri di sudore che sgorgano come sgorga il piscio quando la vescica sta per scoppiare. Potrei uccidere qualcuno, ora, proprio qui, conficcargli in gola la penna che brandisco come un’arma. Potrei uccidere me stesso.

Tutte le case nelle quali viviamo sono inclinate e pericolanti. Sono tabernacoli dell’insignificanza e della vacuità.

Chaïm Soutine, Le case, 1921.

Vaffanculo Chaïm, puzzolente e geniale. Chaïm, anche questa volta ha vinto tu. Potrei impazzire qui dentro, sì. Le tue maledette tele, maledette quanto te, sono autostrade che conducono dritte alla follia. È crudele rappresentare la vita per quella che è: nient’altro che angoscia, insensatezza e morte. Sì, è crudele e criminale, ma prenderci per il culo lo è ancora di più, ed è anche stupido. Meglio la verità in fin dei conti, così che la fine non sia troppo dolorosa.

Nelle carcasse delle bestie le nostre carcasse.

Mi cacciano con dieci minuti di anticipo. Vaffanculo anche a voi, francesine in tailleur, porco dio.

In copertina: Chaïm Soutine, Autoritratto (particolare), 1916.

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