Giovanni Segantini, La morte, 1898-99

Segantini: la vita, la morte e le Alpi

Dopo il grande successo milanese della mostra “Segantini. Il ritorno a Milano”, il pittore ha confermato (anche se non ce n’era affatto bisogno) l’ormai consolidato successo di pubblico affermandosi tra i più importanti pittori dell’800 italiano. Ma noi non vogliamo parlarvi del Segantini di Milano, della sua formazione, dell’infanzia difficile e del vagabondaggio, vorremmo solo presentarvi il trittico dedicato alla terra da cui veniva e alla stessa terra in cui è tornato ad essere natura, nella maniera più semplice del mondo poiché “la Natura mai si ricorda, per questo è bella”, e soprattutto non ha bisogno di motivi, per questo è pura.

Il trittico della Natura (noto anche come trittico delle Alpi) nasce sulle macerie del grande fallimento della sua maestosa opera destinata al padiglione dell’Engadina, un quadro di 70 metri per 220 che avrebbe dovuto raffigurare tutto il panorama engadinese: nonostante la buona volontà del pittore, i lavori si interruppero ben presto per via della mancanza dei fondi versati dagli albergatori della zona. Il progetto venne ridimensionato, non senza un forte rammarico, nel trittico che noi tutti oggi conosciamo, ma nonostante ciò non venne mai accettato e fu escluso dal padiglione poiché non rendeva a pieno l’immagine che l’Engadina voleva trasmettere di se durante l’esposizione parigina del 1900.

Per fortuna Segantini non si perse d’animo e spedì le immagini del lavoro svolto e riveduto fino a quel momento, al suo mercante milanese Alberto Grubiey, il quale si adoperò perché venisse esposto nel salone milanese, cosicché venisse apprezzato comunque il suo ultimo capolavoro. Poco prima dell’esposizione, il mercante scrisse al pittore delle parole di elogio per il suo trittico, ma al tempo stesso di preoccupazione per lo stato di avanzamento dei lavori: “Carissimo Segante, ho ricevuto il trittico famoso splendido insuperabile! [… ] Non posso cessare dal guardarlo godendo ogni volta quasi una voluttà come nel sentire una melodia di Beethoven [… ] Ciò che mi spaventa per te è l’immane lavoro che ancora ti manca di compiere ed il poco tempo che ti resta relativamente. Però preponendo che hai fatto miracoli in altre occasioni e in mezzo a mille difficoltà finanziarie e di tempo e di luogo non dubito che tu riesca a finire! Dato poi che un quadro è ultimato e ben poco ci manca, l’altro era avviato e studiato nella tua mente da tempo e che il quadrone centrale già disegnato e studiato in tutti i suoi dettagli puoi farlo in questi 4 mesi in buona parte. Coraggio caro amico! E la tua apoteosi quella del 1900”.

Purtroppo Segantini scompare prematuramente il 28 settembre 1899, all’età di appena 41 anni, colpito da un fatale attacco di peritonite mentre segnava gli ultimi ritocchi all’opera “La Natura”, lasciando il trittico sostanzialmente incompiuto, anche se per poco.

In quest’opera lascia però uno sguardo unitario, complessivo, compatto nonostante si tratti di un trittico, dimostrando in queste tre tele una capacità di sintesi di tutte le sue esperienze artistiche pregresse. Simbolismo e divisionismo si intrecciano, come quando nella tela “La morte”, una nuvola molto minacciosa si avvicina pur rimanendo allo stesso tempo estranea alla tela, a simboleggiare un destino inesorabile. Inoltre in tutte e tre le opere del trittico vi è un tentativo di coinvolgimento dello spettatore, spostando il primo piano molto più vicino.

Nel trittico come in tutta l’opera di Segantini, emerge la sua visione panteistica della natura, divinizzata e rapportata ad un Dio immanente. Così come la luce è il frutto di una continua ricerca che sarebbe riduttivo definire solo “divisionista”, accentuando le parti al sole contrapponendole all’ombra. Insomma il pittore italiano fece della ricerca una vocazione, con la quale arrivò a sperimentare, cercare e scoprire una nuova vitalità artistica, lasciandosi ispirare dalla natura delle sue Alpi, riscoprendo in fine la vita che scorre in noi come attraverso ogni cosa è natura.

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