Jacopone da Todi – Donna de Paradiso

Dopo aver esaminato la vita e la poetica di Jacopone da Todi (1236 circa – 1306), ci apprestiamo a concludere il discorso relativo al religioso umbro proponendo la lettura e l’analisi di alcuni dei suoi componimenti più significativi, tratti dalla sua raccolta di Laude, la cui editio princeps, ovvero la prima edizione a stampa, risale al 1490.

DONNA DE PARADISO

«Donna de Paradiso,
lo tuo figliolo è preso,
Iesù Cristo beato.

Accurre, donna e vide
che la gente l’allide:
credo che lo s’occide,
tanto l’ho glagellato».

«Com’essere porria,
che non fece follia,
Cristo, la spene mia,
om l’avesse pigliato?»

«Madonna, ell’è traduto:
Iuda sì l’ha venduto;
trenta denar n’ha avuto,
fatto n’ha gran mercato».

«Soccurri, Maddalena!
Ionta m’è addosso piena:
Cristo figlio se mena,
com’è annunzïato».

«Soccurre, donna, adiuta,
ca ‘l tuo figlio se sputa
e la gente lo muta;
hòlo dato a Pilato».

«O Pilato, non fare
el figlio mio tormentare,
ch’io te pozzo mustrare
come a torto è accusato».

«Crucifige, crucifige!
Omo che se fa rege,
secondo nostra lege
contradice al senato».

«Prego che me ‘ntennate,
nel mio dolor pensate:
forsa mo vo mutate
de che avete pensato».

«Traàm for li ladruni,
che sian suoi compagnuni:
de spine se coroni,
ché rege s’è chiamato!»

«O figlio, figlio, figlio,
figlio amoroso giglio!
figlio, chi dà consiglio
al cor mio angustïato?

Figlio occhi iocundi,
figlio, co’ non respundi?
Figlio, perché t’ascundi
al petto o’si’ lattato?»

«Madonna, ecco la croce,
che la gente l’aduce,
ove la vera luce
dèi essere levato».

«O croce, e che farai?
El figlio mio torrai?
Como tu ponirai
chi non ha en sé peccato?»

«Soccurri, piena de doglia,
ca’l tuo figlio se spoglia:
la gente par che voglia
che sia martirizzato!»

«Se i tollete el vestire,
lassatelme vedere,
como el crudel ferire
tutto l’ha ensanguenato!»

«Donna, la man li è presa,
ennella croce è stesa;
con un bollon l’ho fesa,
tanto lo ci ho ficcato.

L’altra mano se prende,
ennella croce se stende
e lo dolor s’accende,
ch’è più moltiplicato.

Donna, li pè se prenno
e chiavellanse al lenno;
onne iontur’ aprenno,
tutto l’ho sdenodato».

«E io comenzo el corrotto:
figlio, lo mio deporto,
figlio, chi me t’ha morto,
figlio mio dilicato?

Meglio averiano fatto
che ‘l cor m’avesser tratto,
che ne la croce è tratto
stace descilïato!»

«Mamma, ove si’ venuta?
Mortal me dài feruta,
ca’l tuo planger me stuta,
che’l veio sì afferrato».

«Figlio, che m’aio anvito,
figlio, pate e marito!
Figlio, chi t’ha ferito?
Figlio, chi t’ha spogliato?»

«Mamma, perché te lagni?
Voglio che tu remagni,
che serve ei mei compagni,
ch’al mondo aio acquistato».

«Figlio, questo non dire:
voglio teco morire;
non me voglio partire
fin che mo m’esce’l fiato.

C’una aiam sepoltura,
figlio de mamma scura:
trovarse en afrantura
mate e figlio affocato!»

«Mamma col core afflitto,
entro le man te metto
de Ioanne, mio eletto:
sia tuo figlio appellato.

Ioanni, èsto mia mate:
tollela en caritate,
aggine pïetate,
ca’l cor sì ha furato».

«Figlio, l’alma t’è ‘scita,
figlio de la smarrita,
figlio de la sparita,
figlio attossecato!

Figlio bianco e vermiglio,
figlio senza simiglio,
figlio, a chi m’apiglio?
Figlio, pur m’hai lassato!

Figlio bianco e biondo,
figlio volto iocondo,
figlio, per che t’ha ‘l mondo,
figlio, così sprezzato?

Figlio dolze e placente,
figlio de la dolente,
figlio, hatte la gente
malamente trattato!

Ioanni, figlio novello,
mort’è tuo fratello;
ora sento ‘l coltello
che fo profitizzato.

Che moga figlio e mate
d’una morte afferrate:
trovarse abraccecate
mate e figlio impiccato».

Dopo O Segnor, per cortesia O iubelo de core è la volta di Donna de Paradiso, la più antica e celebre lauda drammatica mai scritta. Si tratta di un fitto ed intenso dialogo tra Cristo, crocifisso, sua madre Maria, che si strugge ai piedi della croce, gli ebrei presenti sul luogo dell’esecuzione e il Nunzio, impietoso cronista probabilmente individuabile in san Giovanni. Il fatto che si tratti di un discorso rende il componimento narrativo, lo dota di un ritmo incalzante, tambureggiante. I sentimenti dei protagonisti emergono con estrema chiarezza, potenti.

Tra tutte le figure si erge imperiosa quella di Maria, che soffre come soffre una madre, una madre terrena, in carne e ossa, non un’entità astratta e divina. Non a caso, già nel titolo è definita donna. Ella è innanzitutto la genitrice dell’uomo inchiodato, ed osservare la creatura fuoriuscita dal suo grembo appesa ad una croce, le arreca delle sofferenze indicibili. Maria si rivolge al figlio, parla con lui negli ultimi istanti della sua vita e, quando Cristo spira, ella prorompe in un lungo e straziante lamento funebre che chiude mestamente il componimento – è una chiusura nel segno della morte, Maria si augura infatti di morire insieme a suo figlio.

Così come Maria, anche Cristo è innanzitutto un uomo – con tenerezza invoca dall’altro della croce la «Mamma». In generale, Jacopone attua un processo di umanizzazione del delicato tema della Passione, utilizzando termini aspri e violenti come «fesa» (spaccata), «chiavellanse» (inchiodate), «aprenno» (spezzando), «sdenodato» (slogato). In tal senso il religioso facilita l’identificazione del lettore all’interno del dramma madre-figlio.

In copertina: Annibale Carracci, Cristo morto e strumenti della passione, 1583-1585.

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