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Giovanni Boine – Un’intensa riflessione religiosa, figlia di una tracotante sete di trascendenza

8) Trama tessuta, conti le fila della tua vita e nessuna è strappata.

Giovanni Boine, Frantumi seguiti da plausi e botte, 1918.

La vita

Giovanni Boine nasce a Finale Marina (Savona) il 2 settembre 1887. Frequenta il liceo a Genova, poi nel 1907 si trasferisce a Milano con la madre, separatasi dal marito, e con il fratello. Ed è proprio nel capoluogo lombardo che avviene la sua maturazione intellettuale. Qui il giovane completa gli studi ed inizia a frequentare l’Accademia scientifico-letteraria, collaborando inoltre con la rivista cattolica Il Rinnovamento.

Alla primavera del 1908 risalgono i primi sintomi della tisi. Sperando in una completa guarigione l’inverno successivo trascorre alcuni mesi a Zurigo. Appena tornato a Milano, è costretto a lasciare di nuovo la città, invivibile per un tisico, troppo umida, e dopo un breve viaggio a Roma, nel 1909 parte alla volta di Porto Maurizio (Imperia). In questo periodo legge Erasmo da Rotterdam e scrive le prime considerazioni su S. Anselmo, del quale traduce il Monologo.

Nel 1910 si reca a Firenze, dove collabora con La Voce, pubblicando articoli in cui condanna il Modernismo, la tendenza del rinnovamento cattolico combattuta anche dalla Chiesa. Tuttavia, incalzato dall’orribile malattia, è ben presto costretto a tornare a Porto Maurizio. Senza successo con Casati ed Amendola progetta la fondazione di un foglio che «continui da un lato la Critica, in quanto idealità, ma che la sorpassi, la neghi, ed eventualmente le contrasti il terreno in quanto religiosa». È un momento particolarmente complicato dell’esistenza di Boine. Trova conforto nell’impegno culturale, scrivendo molto, soprattutto per la Riviera Ligure. Sulla rivista di Novaro pubblica, tra il 1912 ed il 1914 prose liriche e narrative come La città, L’agonia ed Il peccato, raccolte in seguito nel volume Il peccato e altre cose (1914). Prende intanto le distanze da Papini e Prezzolini, allontanandosi in questo modo anche dall’idea letteraria vociana.

Allo scoppio della Prima guerra mondiale si schiera dalla parte degli interventisti, e con i Discorsi militari (1914) ottiene un discreto successo. Visita spesso il fronte, e non potendo partecipare attivamente al conflitto, a causa della salute cagionevole, si adopera anima e corpo nel sostegno dei soldati. Un’attività estenuante, che lo prova indicibilmente. La tisi è lì, dentro di lui, non lo ha mai abbandonato, e lo stronca per sempre a Porto Maurizio il 16 maggio 1917, a soli trent’anni.

La poetica

Tutta la produzione letteraria e saggistica di Boine è caratterizzata da una intensa riflessione religiosa. Nei primi articoli pubblicati sulla rivista Il Rinnovamento, si cimenta nell’ardua impresa di conciliare fede e ragione, verità religiosa e scientifica, accorgendosi però ben presto di ricercare un inutile compromesso, per lo più condotto seguendo modelli scolastici eccessivamente anacronistici ed antiquati per l’epoca. Sposta allora le sue attenzioni sui mistici del cristianesimo, nei quali intravede quella religiosità personale e contemplativa nella quale si riconosce. Secondo lo scrittore ligure, i punti fondamentali della religione devono essere un «sentimento della propria individualità», e la consapevolezza «di un profondo mistero che sorpassa assolutamente ogni umana soluzione». Da qui la sua tracotante sete di trascendenza, che non abbandonerà mai.

Abbandonato il giornale cattolico, il Boine inizia la fortunata collaborazione con La Voce. Particolarmente significativi del suo pensiero due articoli: La ferita non chiusa La crisi degli olivi in Liguria, entrambi pubblicati nel 1911. Nel primo rafforza l’idea di identificazione tra tradizione e cattolicesimo, dichiarando come «nessuno sforzo è durevole fuori di una tradizione, perché nessuna cosa dura se armonicamente non si contempera con tutte le altre presenti e passate», nel secondo si lancia in una vera e propria celebrazione dei contadini della sua amata terra, simboli del vero, autentico spirito religioso oramai perduto: «Qui ogni generazione fece il sacrificio di se stessa alla generazione veniente. E ciò che passa fu sdegnato, ciò che godi nell’anno, ciò che ogni anno rimuti… Colpi di bidente, pietre l’una sull’altra a fatica; era nell’oscuro, nelle torbide profondità del volere, la coscienza di una razza, la forza di una razza, la sicura religione della razza». In questi testi inizia ad emergere con chiarezza quel richiamo all’ordine che trionferà nei Discorsi militari (1914), composti in favore del conflitto, e per questo apprezzatissimi dall’ala interventista del paese. In quest’opera Boine sostiene che la libertà di un individuo consiste in sostanza nella volontaria accettazione della legge.

Sempre nella rivista di Papini e Prezzolini, trova spazio il saggio intitolato Di certe pagine mistiche (1911). L’autore si allontana definitivamente dal Modernismo, preferendogli l’ordine della Chiesa e della tradizione cattolica, nel quale decide di rientrare. In questo scritto è possibile notare il suo orientamento, sempre più convinto, verso la letteratura, ed in particolare verso la poesia. Boine instaura un rapporto tra l’onnipresente religione e la lirica, definendo il poeta come il soggetto, ancor meglio l’essere che più di qualunque altro si avvicina alla reale essenza della vita. Ed è in questo senso, nell’apertura totale verso la creazione in versi, che il dilemma morale boiniano si amplia fino a divenire anche un problema di stile: «Urge la vita, urge la morte… e dobbiamo dire e dobbiamo fare, dobbiamo attualmente, in fretta e serii, esprimere al mondo ed esprimere a noi la morte e la vita». L’arte entra prepotentemente a far parte della totalità etica e insieme, ovviamente, religiosa.

Tra le sue opere più celebri il romanzo Il peccato (1914), che narra della passione amorosa di un giovane per una novizia. Boine analizza sentimenti, timori, tristezze, dal tono vagamente crepuscolare, «gridi» dell’anima. Il fervore lirico è però attenuato da una sorta di impressionismo che si muove sempre all’interno di un colloquio acceso, animato, a tratti caotico, più eloquente che poetico. Inoltre molte delle riflessioni del giovane protagonista ricordano certe figure dannunziane.

Ma il Boine letterariamente migliore lo troviamo in Plausi e botte, note pubblicate sulla Riviera Ligure tra il 1914 ed il 1916, poi raccolte insieme ai Frantumi nel volume intitolato proprio Frantumi seguiti da plausi e botte, dato alle stampe postumo nel 1918. In queste annotazioni c’è un’armonia melodiosa tra poesia, polemica, critica ed autobiografia unica in tutta la complessa produzione boiniana. Nonostante anche quest’ultimo Boine non abbandoni mai l’idea di misura e di ordine, idea che lo rende lontanissimo dall’esperienza futurista [5] in auge proprio in quegli anni.

Frantumi sparsi

In conclusione, vi proponiamo alcuni dei Frantumi di Boine, bagliori di poesia silenziosa, sussurrata, eppure luminosa nel vasto e splendido mosaico della letteratura italiana della prima metà del Novecento.

8) Trama tessuta, conti le fila della tua vita e nessuna è strappata.

11) Il dovere è il mio compito; non m’impedirai di compirlo.

21) Non trovo nel codice il comma dell’azione mia, né il comandamento della mia morale.

23) Ho scordato il mio nome: ho perduto i miei passaporti in paese nemico.

25) Il mio nome è oggi, e la mia via si chiama smarrita. Non ci sono insegne ai bivi dell’andare mio e non so s’io abbia imboccato a man dritta.

31) Come vuoi ch’io prometta se non so del domani? Non intendo che cosa sia promessa.

36) Dico che non v’è timone. Volontà e passione, vuote parole.

37) Passione e volontà son tutto nella gioia dell’oggi, e tutto nel presente dolore.

44) Non v’è altro eterno che l’attimo.

***

− Così lento andando la tristezza m’è così deserta! Oh come pesa, oh come chiude questo mantello nero! Giù tra gli scogli il mare appena flata, fa glulù, è una bestia che dorme. Finchè dal profondo nero orizzonte qua e là veggo le quiete stelle, così lontane e fuor di cruccio! Proprio; è un altro mondo! che subito mi fermo e d’ogni pena mi stabarro smemorato.

A guardarlo questo vago latte delle nebulose che dolcezza! Così vago che ti stempra, così lieve che non hai più corpo.

Qui, a guardare null’altro è più che il pacifico stupore. Perchè, che cosa dire? sono segni senza paragone; sono al cuore i segni di un profondo senza nome. Non c’è che sprofondare.

Giovanni Boine, Frantumi seguiti da plausi e botte, 1918.

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