La peste nera

Tutt’intorno morte e desolazione. Terrore ed angoscia. Ansia ed inquietudine. Tra le irriconoscibili vie delle città abbandonate, si muovono solitari alcuni moribondi disgraziati, molto più simili a degli spettri che a degli uomini. Di medici, o presunti tali, neppure l’ombra.

Il morbo, crudele ed implacabile, sghignazzante e sfrontato come un demone dantesco, rannicchiato in un angolo buio, in un maleodorante cumulo di sporcizia, in un cadavere butterato in avanzato stato di decomposizione, oppure nella viscida saliva di uno schifoso topo malato, attende la prossima vittima inerme sulla quale avventarsi.

La natura riafferma se stessa, riprende il sopravvento. Terreni incolti, boschi e paludi cancellano la mano dell’uomo, riconquistano ampi spazi sottomessi all’agricoltura con enorme fatica ed altrettanto sacrificio. Con un violento colpo di scure, il morbo annienta interi villaggi, stermina intere popolazioni, approfittando dell’infimo livello di una medicina che troppo spesso e troppo facilmente sfocia nella superstizione. La fragile economia medievale manifesta tutta la propria debolezza, tutta la propria inconsistenza.

È pressappoco questo l’apocalittico scenario di morte e distruzione, il clima da memento mori contemptus mundi che si presenta in Europa, in Asia e nel nord dell’Africa nel XIV secolo, precisamente tra il 1347 ed il 1353, a causa della più spaventosa e devastante epidemia – o forse sarebbe più giusto parlare di pandemia – di peste della storia.

Maestro del Trionfo della Morte (?), “Trionfo della Morte”, Galleria regionale di Palazzo Abatellis, Palermo.

Sono numerosi i documenti del tempo che con straordinaria efficacia e con cruda ferocia descrivono l’orribile e disumana situazione dell’epoca. Di seguito propongo alcune significative pagine tratte dalla Cronaca senese (XIV secolo) di Agnolo di Tura del Grasso, che con spietato realismo narra della sua Siena deturpata dalla peste nera. Una testimonianza eccezionale, che a noi viziati occidentali del XXI secolo, soggiogati dall’agiatezza, ricorda quanto in passato fosse complicato e doloroso essere uomini, quanto complicato e doloroso fosse vivere.

«La mortalità cominciò in Siena di magio, la quale fu oribile e crudel cosa, e non so da qual lato cominciare la crudeltà che era e modi dispiatati che quasi a ognuno pareva che di dolore a vedere si diventavano stupefatti; e non è possibile a lingua umana a contare la orribile cosa, che ben si può dire beato a chi tanta oribilità non vidde. E morivano quasi di subito, e infiavano sotto il ditello e l’anguinaia e favellando cadevano morti. El padre abandonava el figliuolo, la moglie el marito, e l’uno fratello l’altro: e gnuno fugiva e abandonava l’uno, inperoché questo morbo s’attachava coll’alito e co’ la vista pareva, e così morivano, e non si trovava chi seppellisse né per denaro né per amicitia e quelli de la casa propria li portava meglio che potea a la fossa senza prete, né uffitio alcuno, né si suonava campana; e in molti luoghi in Siena si fe’ grandi fosse e cupe per la moltitudine de’ morti, e morivano a centinaia il dì e la notte, e ognuno gittava in quelle fosse e cuprivano a suolo a suolo, e così tanto che s’enpiavano le dette fosse, e poi facevano più fosse.
E io Agnolo di Tura, detto il Grasso, sotterrai 5 miei figliuoli co’ le mie mani; e quelli che rimasero erano come disperati e quasi fuore di sentimento; e abandonarsi molte muraglie e altre cose, e tutte le cave dell’ariento e oro e rame, che erano in quel di Siena, s’abandonarono come si vede; inperoché nel contado morì molta più gente, che molte tere e ville d’abandonaro che non vi rimase persona. Non scrivo la crudeltà che era nel contado, che i lupi e le fiere selvatiche si mangiavano i corpi mal sotterrati, e altre crudeltà che sarebbe troppo dolore a chi le legiesse. La città di Siena pareva quasi disabitata, ché non si trovava quasi persona per la città».

Agnolo di Tura del Grasso, Cronaca senese, a cura di A. Lisini e F. Iacometti, in Rerum Italicorum Scriptores, XV, VI, pp. 555-556.

In copertina: Arnold Böcklin, La peste, 1898.

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