Il caso Tito Marrone – Zitto, sempre zitto, sepolto vivo

Sole della mattina
di marzo, perché ridi?
Vattene, sole: io piango.

Tito Marrone, da Esilio della mia vita, 1950.

La vita

Tito Marrone nasce a Trapani il 9 marzo 1882.

A soli diciassette anni, nel 1899, pubblica la prima raccolta di versi, intitolata Cesellature. Tre anni dopo la famiglia si trasferisce a Roma. Nella capitale il giovane Tito frequenta i caffè letterari più in voga, stringendo amicizia, oltre che con Luigi Pirandello, con Sergio Corazzini, Fausto Maria Martini, Pier Maria Rosso di San Secondo e Lucio D’Ambra. Entra così a far parte di quel prolifico cenacolo crepuscolare romano che tanto donerà alla poesia italiana del primo Novecento.

Nel 1904 pubblica l’altro suo celebre volume di versi, Liriche. Si dedica inoltre all’attività teatrale. Reintroduce nei palcoscenici nazionali, dopo ben duemila anni di assenza, il dramma greco in versi, presentando nel 1906, presso il Teatro Argentina di Roma, l’Orestiade di Eschilo.

A questo punto la biografia di Marrone è profondamente solcata da un amore. L’intenso, fiabesco amore per la bella Maria Valle. Un amore dall’epilogo tragico. La giovane infatti muore, colpita da tifo, a soli ventidue anni, nel 1909. Devastato dall’immane tragedia, trafitto dall’indifferenza della critica verso le sue opere, il poeta trapanese decide di non pubblicare più i suoi versi.

Una curiosità. Questa relazione amorosa dai contorni celestiali tra Tito e Maria, sarà di ispirazione per il romanzo Incontri di uomini e di angeli (1947) di Pier Maria Rosso di San Secondo.

Al termine della Seconda guerra mondiale, dal 1947 in poi, il poeta ritrova finalmente la forza, lo slancio vitale necessari per dare alle stampe alcune sue opere, tra le quali lo splendido poemetto Esilio della mia vita (1950). Questo suo ritorno nella scena poetica italiana lo porta persino alla conquista di due premi: il “Premio Fusinato” ed il “Premio Internazionale di Poesia Siracusa”.

Sono queste le ultime notizie degne di nota della vita di Tito Marrone, che si spegne a Roma il 24 giugno 1967.

Il caso Tito Marrone

Tito Marrone è un poeta dimenticato, perduto nell’immenso, orribile oblio dell’indifferenza letteraria. Reperire notizie sul suo conto è molto difficile. Ancor più difficile, ahinoi!, è reperire le sue poesie. Eppure egli fu tra i componenti più importanti del cenacolo crepuscolare romano di inizio Novecento. In un certo senso, fu proprio egli l’iniziatore del nuovo movimento Crepuscolare.

Non solo, il poeta siciliano fu colui il quale reintrodusse, dopo duemila anni di assenza dai teatri italiani, il classico dramma greco in versi. Inoltre, insieme all’amico e corregionale Luigi Pirandello, nel 1904, fu tra i firmatari del manifesto fondativo della “Società dei Poeti”.

Insomma, quella di Tito Marrone è una delle figure di maggior rilievo della letteratura italiana di inizio XX secolo. Ma allora, come può una personalità tanto importante, di fatto, scomparire? Possiamo trovare una risposta più o meno plausibile a questa misteriosa domanda, nel carattere stesso dell’autore. Un carattere schivo, solitario, complesso, del quale possiamo apprendere parecchio da queste parole significative di Lucio D’Ambra, estratte dalle sue due opere 30 anni di vita letteraria (1929) e Il ritorno a fil d’acqua (1930). Parole alle quali sarebbe superfluo aggiungere altro, poiché scritte da uno dei colleghi ed amici più stretti di Tito Marrone.

«C’ è in Italia uno scrittore drammatico, completamente inedito, che non vuole essere conosciuto. Mille smaniano, scritto un dramma, per farlo rappresentare – Marrone, nell’ombra, zitto, sempre zitto – Zitto tutta la vita, nella fioca luce d’ una candela, sepolto vivo – Perché? Ma c’ era negli occhi di quel ragazzo – se lo rivedo bene con la memoria – una gran luce – Una di quelle luci che a vent’anni possono promettere un mondo e che a cinquanta possono anche piegare una pazzia. Una pazzia – o un eroismo».

Alcuni versi

Affinché possiate almeno un poco inebriarvi della poesia di Tito Marrone, vi proponiamo una lirica, Le piccole cose, ed un frammento del prezioso poemetto Esilio della mia vita. Due testi attraverso i quali potete facilmente notare tutta la sua splendida natura melanconica, sofferente, introversa, languida, sommessa, in una sola, straordinaria parola, crepuscolare.

LE PICCOLE COSE

Talvolta
(la notte è scesa
con la paura
e il vipistrello sventola
l’ali sue di spettro
che non fanno strepito)
dentro la nostra casa solitaria
sentiamo brevi rumori nell’aria…

Sono le piccole cose che tremano.

Talvolta
(entrando nella stanza
dove l’ombra ha dormito in una bara)
sentiamo una lima
lontanissima limare,
stridere un tarlo…

Sono le piccole cose che gemono.

Talvolta
(l’anima nostra è in pace
e l’occhio svaria
dalla finestra aperta
su la campagna che giace
quieta e solitaria
sotto la luna deserta)
sentiamo nell’aria…

Sono le piccole cose che cantano.

***

da ESILIO DELLA MIA VITA

Poi che brilla uno sprazzo
del buon sole di marzo
nella stanza d’inverno,
ricerco il mio quaderno
delle bizze infantili.
Sopra un foglio disfatto
lunghi segni discerno
con inchiostro ora giallo;
saranno campanili?
Un elefante, un gatto,
un orco, un pappagallo,
un fanale perduto.
Tra le bestie, dispersi
anche i miei primi versi…
“Pulcinella è caduto
e s’è fatto un gran male:
si porti all’ospedale”.
La barba con le lenti?
Ah, mio vecchio maestro!
Si affaccia dal canestro
una piccola palma
guardata da serpenti.
La barchetta si è messa
sopra una riga nera;
sotto si legge: “Calma”.
Ma dopo, quella stessa
barchetta, in mezzo a tremule
ondine: “La bufera”.
Poi: “Domani vacanza.
Babbo, se non mi sgridi,
domenica si pranza
dalla zia Giuseppina”.
E una macchia di fango…
Sole della mattina
di marzo, perchè ridi?
Vattene, sole: io piango.

 

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