Filippo Brunelleschi fece grande Firenze. E con suo sommo piacere fece grande la sua fama a discapito di chi lo aveva scavalcato forse ingiustamente. La storia di cui parleremo è degna di un copione cinematografico, un buono e un cattivo, una trama avvincente, insomma non manca niente perché non possa essere un buon film.
Tutto ebbe inizio quando il giovane Brunelleschi, da bravo fiorentino, iniziò a lavorare come orafo e già nel 1404 fu immatricolato nell’Arte degli Orafi. Le grandi doti artistiche del giovane, nato nel 1377 proprio a Firenze, si palesarono immediatamente. Nel 1401 decide di mettersi subito alla prova imbattendosi nel concorso per le porte nord del Battistero di Firenze. Accorsero da tutta la Toscana per parteciparvi. C’era “il pela” Niccolò di Pietro Lamberti, l’aretino Niccolò di Luca Spinelli, i rivali senesi Jacopo della Quercia, Francesco di Valdambrino e Simone da Colle. Insomma la sfida era serrata, si tratta comunque di grandi professionisti della scultura. Ma come immaginabile la sfida per l’assegnazione del lavoro si concentra sui due padroni di casa fiorentini Brunelleschi e Ghiberti. Il progetto del giovane Filippo guardava avanti mentre il lavoro del Ghiberti era sicuramente più tradizionale, la prospettiva era legata a canoni medievali piuttosto che a dottrine geometriche come teorizzato dall’ Alberti e dal Brunelleschi successivamente. Ma come è prevedibile vince proprio il Ghiberti.
Brunelleschi sconsolato dalla cocente sconfitta, lui che voleva portare il linguaggio rinascimentale nell’arte, non si sente compreso e decide così di scappare a Roma insieme al suo amico Donatello. Quale posto migliore per apprendere e reinterpretare gli insegnamenti del passato? E forse è proprio li che Brunelleschi decide di diventare un Architetto. Il fiorentino passa giornate intere al Pantheon o in giro per i fori a scrutare le tecniche statiche e costruttive adoperate dai grandi ingegneri romani. Riesce così a sintetizzare i parametri dell’architettura classica ad adattarne i princìpi alle esigenze moderne. Dopo tre anni di assenza, nel 1404, decide di tornare a casa, ma nel frattempo ha già chiaro in testa il suo progetto per rimanere per sempre nella storia di Firenze. Gli anni passano e Brunelleschi acquisisce sempre più esperienza, anche se dal 1404 al 1418, anno in cui viene indetto il concorso per la cupola di Santa Maria del Fiore, esegue per lo più opere scultoree e non architettoniche.
Chissà quante volte, passando di fronte al cantiere che dal 1293 si impegnava a costruire il duomo fiorentino, avrà pensato a come risolvere quel problema, “il Problema” con la lettera maiuscola. Infatti la base del tamburo della cupola era già pronto almeno dal 1412, ma non avevano pensato affatto a come organizzare la copertura.
E rieccoci catapultati nel 1418 quando alla presentazione del concorso per la costruzione della cupola, si presentano i soliti nomi, ma questa volta il risultato è inedito: Ghiberti e Brunelleschi diventeranno entrambi provveditori alla costruzione della cupola.
Ma le problematiche per la costruzione il Ghiberti non le aveva messe in conto a differenza del Brunelleschi. Ovviamente è risaputo che tra i due non scorreva buon sangue per vicende precedenti, ma Filippo ha una certezza: lui sa cosa fare in quel momento, ha le idee e le capacità per gestire la situazione a differenza del compagno di lavoro. Brunelleschi riflette proprio su questo fatto, e comprende il rischio di essere di nuovo “gabbato” dal Ghiberti se avesse eseguito il suo progetto lasciandolo in panciolle ad assistere ai lavori da lui ideati. Per evitare di lavorare per due e ritrovarsi a dover spartire la gloria e il merito del difficile lavoro che solo lui è stato in grado di risolvere, decide di organizzargli una serie di trappole, che metteranno in luce le incapacità del Ghiberti.
Già da prima dei lavori Filippo si era preparato una serie di prototipi, di plastici, per capire al meglio i problemi che avrebbe comportato la costruzione. Prima di tutto il tamburo (la base sulla quale poggia la cupola) si trovava a 60 metri da terra. Misure apocalittiche per l’epoca, dimensioni impensabili. Quanto di più difficile se si pensa che non esistevano mezzi per arrivare a lavorare e portare i materiali così in alto. Oltretutto il diametro del tamburo era di 43 metri, il che comportava problemi strutturali. Per realizzare una cupola, la quale altro non è che un arco voltato intorno al proprio asse, occorre realizzare un sistema di legno chiamato centina. Una trave di legno orizzontale viene resa all’imposta dell’arco tramite un foro nel muro. Successivamente viene costruita un’armatura, o lignea o in pietra, che fungerà da sostegno all’arco durante la sua costruzione e rimarrà sotto la struttura finché non verrà posizionata la chiave di volta che ha la funzione di bloccare l’arco. In questo modo non avrà bisogno nemmeno di cemento perché ci penserà la forza di gravità a tenerli al loro posto i materiali già inseriti. Solo in questo momento può essere eliminata la centina. Quindi per ottenere un arco con un diametro notevole come quello del Duomo bisognerà trovare legname robusto e delle dimensioni adatte per completare l’opera.
Il Brunelleschi proprio nel pieno dei lavori alla cupola, nella fase più delicata dell’opera, si finse malato e rimase a casa per poi tornare dopo qualche giorno e far presente che i lavori non erano avanzati. In questo modo pensò di screditare il Ghiberti ed avere finalmente la sua rivincita. E tanto fece che dal 1420 divenne l’unico capomastro e successivamente nel 1423 gli vennero riconosciute come personali le invenzioni che venivano utilizzate in cantiere ed il progetto che aveva esposto ai manovali in alcuni semplici punti. Nel 1425 si completa la sua rivincita: i suoi disegni non potevano essere tanto originali quanto quello che gli stava per regalare la realtà. La sua burla stava per essere ultimata con un finale emblematico che nessuno avrebbe mai immaginato. Ghiberti cade in basso, passa dal progetto della cupola al progetto delle seconde porte del Battistero. Di nuovo le porte, le stesse che lo fecero festeggiare per aver avuto la meglio al Battistero e le stesso che ora gli daranno l’umiliazione di guardare dal basso l’immenso progetto che renderà immortale Brunelleschi, l’eterno rivale.
Qui entra in gioco l’orgoglio fiorentino. Non avendo più vincoli al suo fianco, si troverà però a dover fare i conti con le pressioni di tutta la città che “scommetteva” in lui ma non avrebbe tollerato una sconfitta. Un fallimento avrebbe voluto dire essere umiliati da tutti i paesi vicini, i rivali storici senesi, pisani, aretini, ma anche dai paesi più lontani. Avrebbe voluto dire un crollo della credibilità fiorentina. Ma il Brunelleschi era sicuro di se e così ha affrontato le difficoltà che ha incontrato lungo il cammino.
Inizialmente la sua idea era quella di dover realizzare un cupola emisferica per via del suo indirizzo classico, si rifaceva a quella ammirata al Pantheon. Ma il problema dei sostegni rese necessaria l’adozione di una cupola a sesto acuto affievolendo così il carico delle spinte laterali, cosa che il sistema a costoloni emisferico avrebbe appesantito. In conclusione adopera un sistema geniale e a dir poco innovativo per l’epoca. Su un tamburo ottagonale fa partire un sistema di otto costoloni, uno per ogni lato dell’ottagono, e in ogni lato c’è un sotto-sistema formato da altri due costoloni. Inoltre adopera una doppia calotta, per preservarla dall’umidità e per conferirle maggior magnificenza. Il lavoro fu ultimato con una velocità incredibile, nel 1436 la cupola era ultimata fino alla base della lanterna, e tutto grazie all’ingegno di Brunelleschi che inventò gru e macchinari per velocizzare i trasporti fino a quell’altezza. Si dice che addirittura avesse organizzato una sorta di mensa per i lavoratori del cantiere, cosicché non fossero costretti a scendere per i pasti. Una curiosa ipotesi primordiale invece, per arrivare a lavorare a quelle altezze senza l’utilizzo di macchinari, era quella di riempire la chiesa di terra mischiata con delle monete d’oro, così al termine dei lavori avrebbero pensato i bambini fiorentini a svuotarla dalla terra pur di prendere le monete.
L’ultimo step per la costruzione fu il posizionamento della lanterna per il quale fu indetto un nuovo concorso nel 1436. Ovviamente vinse Brunelleschi, che completò il suo capolavoro, dall’inizio alla fine. Progettò una lanterna molto pesante per evitare che i costoloni si incurvassero verso l’esterno e facessero pressione sul foro centrale sulla quale andava poggiata la lanterna. Così, ultimato il suo progetto, lo consegnò e nel 1446 iniziarono i lavori, pochi mesi prima della sua morte. La cupola completa non la vide mai purtroppo, ma il suo lavoro, per quel poco che era rimasto, venne portato a compimento dal suo fedele amico e assistente Michelozzo, il quale si limitò a seguire alla lettera il progetto che aveva lasciato il Maestro.
E così, grazie alla cupola del Brunelleschi, e anche un po’ al suo antagonismo con il Ghiberti, che Firenze divenne l’immortale “Culla del Rinascimento”.