Pieter Paul Rubens, Autoritratto, 1623.

La macabra Medusa di Rubens

L’impavido Perseo, guidato da Atena, ha appena inferto il colpo mortale. Il capo di Medusa, reciso dal resto del corpo, giace in terra.

Dalla ferita ancora viva, vivissima sgorga copioso il sangue, a fiotti, trasportando minuscole larve appiccicaticce e disgustose. Il suolo si tinge di un rosso acceso.

Il volto della Gorgone tradisce tutta la disperazione, tutto il terrore dell’essere colto di sorpresa ed ucciso senza neppur avere la possibilità di reagire, di opporsi. Un’ombra di incredulità sembra infatti attraversare il volto sfigurato, già cadaverico della Medusa. La bocca leggermente aperta ed impegnata ad esalare l’ultimo respiro, le labbra violacee, i denti appena visibili, gli occhi iniettati di sangue. La Gorgone sembra ancora voler opporsi al proprio destino di morte. Sembra voler iniziare ora la lotta contro il nemico, ma è troppo tardi, la sua fine è certa.

La disperazione di Medusa si trasmette ai serpenti che ne abitano il capo. I numerosi, viscidi e variopinti rettili, come impazziti, si aggrovigliano, si attorcigliano tra di loro e giungono persino a mordersi l’un l’altro. La follia li conduce ad una furia cieca.

La Medusa (1618 circa) di Pieter Paul Rubens (1577-1640), conservata presso il Kunsthistorisches di Vienna, è tutto questo. Un capolavoro straordinario che possiede un impatto visivo davvero eccezionale. Nel dipinto del pittore fiammingo più che la morte, è il macabro a trionfare, ad imporsi prepotentemente agli occhi dell’osservatore, al tempo stesso affascinato e disgustato, ammirato e tramortito.

Rispetto alla Medusa (1597 circa) di Caravaggio (1571-1610), anch’essa meravigliosa, Rubens coglie e mostra senza mediazioni tutto il lato orrorifico della vicenda, del mito, riconsegnandolo alla dimensione terrena. È infatti straordinariamente umana l’espressione del volto della vittima decapitata.

Dettaglio del volto e dello sguardo di Medusa.

Dettaglio della ferita di Medusa.

Dettaglio dei serpenti che si agitano sul capo decapitato di Medusa.

Il dipinto in questione è tra i più grandi capolavori di Rubens, probabilmente, in assoluto, quello più carico di effetto. Quello stesso Rubens che Charles Baudelaire (1821-1867), vero e proprio cultore del macabro dotato di una eccezionale sensibilità artistica molto spesso messa al servizio del suo sconfinato genio poetico, inserì tra «i fari» della storia dell’arte, nell’omonimo componimento contenuto nella celebre raccolta di poesie I fiori del male (1857).

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