La rivoluzione astronomica – Parte II – Copernico

Il primo grande protagonista della rivoluzione astronomica fu l’astronomo polacco Mikolaj Kopernik (1473-1543), italianizzato in Niccolò Copernico. Critico nei confronti del sistema aristotelico-tolemaico in termini di economia – l’universo antico-medievale aveva infatti raggiunto un livello di complessità tale da risultare quasi incomprensibile – Copernico si imbatté nell’ipotesi eliocentrica consultando testi del passato, proprio con l’intento di ricercare una valida e credibile alternativa all’istituzionale modello geocentrico, che, lo ricordiamo, poneva la terra, immobile, al centro dell’universo.

Fu lo stesso Copernico a confessarlo, nella Prefazione della sua opera più celebre ed importante, De revolutionibus orbium coelestium, ovvero Sulle rivoluzioni dei corpi celesti, pubblicata nel 1543: «Mi sono assunto il compito di rileggere le opere di tutti i filosofi, che fossi in grado di avere, per cercare se qualcuno di loro avesse mai pensato che le sfere dell’universo potessero muoversi secondo moti diversi da quelli che propongono gli insegnanti di matematica nelle scuole».

Traendo ispirazione da pensatori come Iceta di Siracusa (400 a.C.-335 a.C.), Eraclide Pontico (385 a.C.-322 o 310 a.C.) ed i pitagorici, tutti anticipatori della teoria eliocentrica, Copernico costruì il suo nuovo e rivoluzionario sistema. Non più la terra, ma il sole, statico, al centro dell’universo. Attorno ad esso ruotano i pianeti, tra i quali si trova anche la terra, che gira su se stessa causando il moto apparente frutto di quel secolare errore che è il geocentrismo, ed intorno alla quale si muove la luna.

Il sistema copernicano non manca di aspetti conservatori. L’astronomo polacco mutò sì le posizioni dei corpi celesti, ma pensò comunque l’universo come sferico, unico e chiuso, delimitato dalle stelle fisse. Inoltre, la motivazione per cui Copernico pose il sole al centro dell’universo, si basava su di una convinzione “a priori” piuttosto discutibile, riassumibile press’a poco in questo modo: la funzione del sole è di illuminare il cosmo, ergo è dal centro che può compiere in modo ottimale tale funzione.

In molti si opposero all’eversiva iniziativa di Copernico. Innanzitutto intervenne ad ostacolare la diffusione del nuovo sistema e a placarne gli effetti, il teologo luterano Andreas Osiander (1498-1552), il quale, senza il consenso di Copernico, scrisse una prefazione anonima al De revolutionibus intitolata Al lettore sulle ipotesi di quest’opera. Osiander, proprio con lo scopo di osteggiare le teorie copernicane, evidentemente minacciose e scomode, sottolineò il carattere del tutto incerto, ipotetico, sostanzialmente matematico del sistema. In tal senso, la teoria esposta nel testo non era altro che un utile metodo di calcolo privo di ambizioni astronomiche. Si creò così uno spiacevole equivoco. Le dichiarazioni di Osiander vennero naturalmente attribuite a Copernico, e l’azione dirompente della rivoluzionaria opera si arrestò, peraltro senza che l’astronomo polacco, morente, potesse ribattere. La subdola operazione di boicottaggio attuata dal teologo riuscì alla perfezione.

Ostili al nuovo sistema eliocentrico anche gli aristotelici, i quali, mossi da un forte e sdegnoso impeto critico, posero alcuni interrogativi cruciali con l’intento di smascherare l’infondatezza delle teorie copernicane. Vediamone alcuni: perché il movimento della terra, che gira su se stessa, non causa il lancio degli oggetti?; perché il movimento della terra non provoca un impetuoso vento tale da sconquassare qualunque cosa essa contiene?; la terra si muove da ovest verso est, ebbene, nonostante ciò, perché un oggetto lanciato dall’apice di una torre non cade ad ovest di essa, in quanto nel frattempo, a causa del movimento della terra, la torre si sarebbe dovuta spostare verso est, ma cade perpendicolare alla torre? A tali quesiti risponderà successivamente Galileo, dando così la spinta decisiva all’accettazione condivisa del sistema copernicano.

Riportiamo un passo del De revolutionibus nel quale Copernico, rivolto al pontefice, confessa di aver avuto momenti di incertezza riguardo alla pubblicazione delle sue nuove teorie – ben consapevole del fatto che avrebbero causato un grande scandalo – e nel quale spiega il modo in cui è approdato all’eliocentrismo.

Con sufficiente sicurezza posso pensare, Santissimo Padre, che non appena alcuni avranno appreso che in questi miei libri scritti sulle rivoluzioni delle sfere del mondo attribuisco al globo terrestre alcuni movimenti, subito proclameranno a gran voce che io devo essere messo al bando insieme con tale opinione. Né, per la verità, le mie cose mi piacciono al punto ch’io non voglia ponderare ciò che altri su di esse giudicherà. E quantunque sappia che le riflessioni del filosofo sono lontane dal giudizio del volgo, perché è suo studio ricercare la verità in tutte le cose, nella misura in cui ciò è consentito alla ragione umana da Dio, nondimeno penso che si debbano fuggire le opinioni affatto estranee alla rettitudine. Così, quando fra me e me pensavo quanto assurdo avrebbero valutato questo discorso coloro che sanno confermata dal giudizio di molti secoli l’opinione che la Terra sta immobile, avessi asserito che la Terra si muove, a lungo esitai se dare in luce i miei commentari scritti a dimostrazione di tale movimento, oppure se non fosse meglio seguire l’esempio dei pitagorici e di alcuni altri che erano soliti tramandare i misteri della filosofia soltanto a congiunti ed amici non per iscritto, ma oralmente, come attesta la lettera di Liside a Ipparco. E mi sembra in verità che ciò fosse fatto non già – come qualcuno pensa – per una certa gelosia del sapere che avrebbe dovuto essere comunicato, ma perché le bellissime cose, ricercate con molto studio da grandi uomini, non venissero spregiate da coloro cui è molesto dedicare qualche fatica alle lettere, quando non siano lucrative, o da coloro che, seppure spinti dalle esortazioni e dall’esempio altrui ai liberali studi della filosofia, tuttavia, per l’ottusità del loro ingegno, si muovono tra i filosofi come i fuchi tra le api. Mentre, dunque, andavo valutando fra me e me queste cose, il disprezzo, che dovevo temere per la novità e l’assurdità di questa opinione, per poco non mi spinse ad abbandonare affatto l’opera compiuta.
Ma gli amici me ne distolsero, sebbene esitassi a lungo ed anche riluttassi. […]
Ma forse la Tua Santità non si meraviglierà tanto che io ardisca dare in luce le mie riflessioni, dopo che mi assunsi per elaborarle tanto lavoro che non dubitai di confidare anche per lettera i miei pensieri sul movimento della Terra, bensì si aspetterà soprattutto di udire da me come mi venne in mente di osare d’immaginare – contro l’opinione universalmente accolta dai matematici, e quasi contro il senso comune – qualche movimento della Terra. Così non voglio nascondere alla Tua Santità che nient’altro mi mosse a pensare a un altro modo di calcolare i movimenti delle sfere del mondo, se non che compresi che i matematici non sono fra loro stessi concordi nell’indagarli. […]
Se per caso vi saranno dei chiacchieroni che pur ignorando del tutto le matematiche, tuttavia si arrogano il giudizio su di esse, e in base a qualche passo della Scrittura malamente distorto a loro comodo, ardiranno biasimare e diffamare questa impresa, non mi curo affatto di loro, in quanto disprezzo il loro stesso giudizio come temerario. È ben noto, infatti, che Lattanzio, scrittore peraltro famoso, ma scadente matematico, parlò in modo del tutto puerile della forma della Terra, deridendo coloro che avevano rivelato che la Terra ha forma di globo. Pertanto non deve apparire strano agli studiosi se alcuni tali rideranno anche di me. La matematica si scrive per i matematici, ai quali – se non m’inganno – anche questi miei lavori appariranno in qualche misura vantaggiosi per la stessa repubblica ecclesiastica, di cui la Tua Santità detiene ora il principato.

De revolutionibus orbium coelestium. La costituzione generale dell’universo, a cura di A. Koyré, Einaudi, Torino 1975, pp. 9-11, 15 e 23.

Particolarmente interessante, all’interno del passo proposto, questa affermazione di Copernico: «La matematica si scrive per i matematici […]». L’astronomo polacco rivendica così la piena validità scientifica delle sue affermazioni, fondate su di un attento ed approfondito studio matematico che può essere compreso solamente da chi è sufficientemente competente in materia. Ricorrere al Testo Sacro, la Bibbia, per muovere critiche all’opera ed alle tesi che essa contiene, non è che una turpe operazione condotta da quelli che Copernico definisce «chiacchieroni», matematicamente, e dunque scientificamente, ignoranti.

L’astronomo polacco sottolinea inoltre come il filosofo, ed in generale lo studioso, non debba affatto curarsi dell’opinione del «volgo», ma seguire la sua indole di spirito libero tentando di saziare la sua brama di conoscenza.

In copertina: Olivier van Deuren, Un giovane astronomo, 1685.

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