Nell’articolo L’amore come religione, la donna amata come unico, vero Dio ci siamo occupati del più grande poeta del Medioevo prima di Dante, Chrétien de Troyes (1135 circa-1190). Quest’oggi parliamo di un altro importante e brillante lirico medievale, Bernart de Ventadorn (1130/1140-1190/1200). Di lui restano una quarantina di canzoni, tutte dedicate al tema dell’amore. Proponiamo la lettura del componimento Amore e poesia, pregevole esempio della sua raffinata arte poetica. Buona lettura.
Non è meraviglia s’io canto
meglio d’ogni altro cantore,
perché più il cuore ad amore m’astringe
e meglio son disposto al suo comando.
Cuore e corpo e sapere e senno
e forza e potere ci ho messo:
Così il freno mi stringe ad amore
che altrove non tendo.
Davvero è morto chi d’amore non prova
alcuna dolcezza nel cuore.
Vita senza pregio a che giova,
se non per dar uggia alla gente?
Che mai tanto Iddio m’abbia in ira
ch’io sopravviva un sol giorno, un sol mese
quando verrò colto in uggia
e più d’amore non avrò desìo.
Con fede schietta e senz’alcuno inganno
io amo la più bella e la migliore.
Dal cuore sospiro, dagli occhi piango,
perché tanto io l’amo che ne soffro.
E che poss’io, se amore m’imprigiona
e il carcere in cui m’ha gettato
non può altra chiave aprire, se non pietà,
e di pietà in lei nulla ritrovo?
Così soavemente mi ferisce
nel cuore di dolcezza questo amore,
che cento volte ogni giorno muoio di dolore
e rinasco di gioia altre cento.
Invero il mio male è di dolce sembiante
e più vale il mio male che altro bene;
e poi che tanto m’è dolce il mio male,
dolce il bene sarà dopo il tormento.
Oh Dio! se si potessero distinguere
di tra i falsi gli amanti leali,
e adulatori e impostori
portassero corna sulla fronte!
Tutto l’oro del mondo e l’argento
se fosse mio, vorrei averlo dato
pur che madonna sapesse
come io l’amo di perfetto amore.
Quand’io la vedo, ben mi si pare
agli occhi, al viso, al colore:
ché così tremo di paura
come fa la foglia nel vento.
Di ragione non ho quanto un fanciullo,
così d’amore sono soggiogato,
e d’uomo ch’è così ridotto
donna potrebbe avere gran pietà.
Donna gentile, nulla vi domando
se non che m’accettiate per servente,
ch’io vi presterò servizio come a buon signore,
comunque vada poi col guiderdone.
Eccomi al vostro comando,
cuore gentile, mite, gaio, cortese;
né orso, né leone voi siete,
che m’uccidiate, se mi rendo a voi.
Al Mio Cortese, là dove dimora,
invio il mio canto e non gl’incresca
che me ne sono sì a lungo astenuto.
Testo originale in lingua d’oc, trad. it. di A. Roncaglia, in Le più belle pagine delle letterature d’oc e d’oïl, Nuova Accademia, Milano 1961.
Il componimento di Bernart de Ventadorn è un testo esemplare. In esso infatti è possibile rintracciare alcune delle componenti caratteristiche dell’amore cortese, come la venerazione della donna amata, santificata e cantata come una creatura magnifica, straordinaria, trascendentale; lo stato di minorità del poeta-amante, subalterno alla dama come un vassallo è subalterno al signore; l’impossibilità della soddisfazione amorosa dovuta all’irraggiungibilità della donna amata e la conseguente ed estenuante sofferenza; ma anche la beatitudine a cui conduce l’esperienza passionale; il disorientamento del poeta-amante dinanzi la dama; infine l’eccezionalità dell’amore cortese, divino ispiratore dei versi del lirico innamorato.
«Davvero è morto chi d’amore non prova / alcuna dolcezza nel cuore». In questi due versi è racchiuso l’intero, nobile e commovente, insegnamento di Bernart de Ventadorn, il maggior esponente di quel poetare lieve (trobar leu) contrapposto al poetare difficile (trobar clus).
In copertina: Bernart de Ventadorn in una miniatura del XIII secolo.