Siamo tutti Josef K. – Brevi riflessioni, schegge, sul “Processo” di Kafka

Franz Kafka (1883-1924) è il cantore delle angosce e dei timori dell’individuo, dell’assurdità dell’esistenza. E tale assurdità trionfa nel suo inquietante capolavoro Der Prozess (1925). Se nel celebre racconto La metamorfosi (1915) l’assurdo è fuso con il mostruoso ed il fantastico, nel romanzo Il processo esso appare come parte integrante della realtà, ed è questo ciò che più turba. Di conseguenza, gli atteggiamenti e le azioni dei soggetti sono completamente svuotati di senso e di logica.

Così il povero Josef K., alto funzionario di banca, un mattino qualunque può essere arrestato, e coinvolto in un singolare processo senza neppure conoscere il capo d’imputazione. Tutto è misterioso e surreale, dall’inspiegabile ed inatteso arresto alla prima, caotica udienza, dai claustrofobici ed angusti uffici del tribunale alle relazioni interpersonali ed agli incontri del protagonista, dalla punizione delle guardie che arrestarono K., percosse violentemente dal feroce ed implacabile «bastonatore» in uno sgabuzzino della banca, alla cruenta condanna.

Il lettore, durante tutto l’arco del romanzo, è attraversato da un interrogativo destinato a restare insoluto: perché? Interrogativo che esplode e si fa grido disperato al momento dell’esecuzione del protagonista. Sì, perché la terribile sentenza del processo è la condanna a morte dell’ignaro imputato. E non può esserci altro esito in un mondo dominato dall’assurdo, in cui l’individuo è in balia di quella parte più oscura di se stesso che contiene angosce ed inquietudini, timori e turbamenti. In un tale stato di cose non resta infatti che una sola certezza: la morte. Una morte tuttavia priva di valore, che non riscatta né riabilita il protagonista, e dunque l’individuo in genere. Non a caso le ultime, atroci parole dell’agonizzante K., nel momento in cui il “boia qualunque” gli trafigge il cuore con un coltello sono: «Come un cane!». Divorato dalla vergogna e dal senso di colpa, senza neanche conoscerne i motivi, il protagonista viene ucciso proprio come un’infima bestia.

Il processo è fondamentalmente una rappresentazione allegorica della condizione umana, portata alle sue estreme conseguenze. Dunque quella di Josef K. è un’esperienza universale, comune a tutti gli uomini, sebbene estrema, esasperata. Il lettore avverte tutto ciò, e leggendo il capolavoro kafkiano non può provare che sentimenti oscuri, in particolar modo uno sconfinato smarrimento ed una velenosa ansia. Che piaccia oppure no, siamo tutti Josef K., ed è questo che rende Il processo un Classico della letteratura.

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: