Caro Lettore, iMalpensanti rende la tua domenica divina, proponendo la lettura della Commedia di Dante, autentico Testo Sacro della letteratura italiana. Ogni ultimo giorno della settimana un canto, accompagnato da un breve commento, la cui funzione è di agevolare, almeno nelle intenzioni, la comprensione del capolavoro dantesco.
Dante e Virgilio, ancora nel sesto cerchio, tra gli eretici, si fermano dinanzi il sepolcro di papa Anastasio II. La guida descrive la struttura del regno infernale e chiarisce alcuni interrogativi sorti in Dante durante la prima fase del viaggio.
In su l’estremità d’un’alta ripa
che facevan gran pietre rotte in cerchio,
venimmo sopra più crudele stipa; 3
e quivi, per l’orribile soperchio
del puzzo che ’l profondo abisso gitta,
ci raccostammo, in dietro, ad un coperchio 6
d’un grand’avello, ov’io vidi una scritta
che dicea: «Anastasio papa guardo,
lo qual trasse Fotin de la via dritta». 9
«Lo nostro scender conviene esser tardo,
sì che s’ausi un poco in prima il senso
al tristo fiato; e poi no i fia riguardo». 12
Così ’l maestro; e io «Alcun compenso»,
dissi lui, «trova che ’l tempo non passi
perduto». Ed elli: «Vedi ch’a ciò penso». 15
«Figliuol mio, dentro da cotesti sassi»,
cominciò poi a dir, «son tre cerchietti
di grado in grado, come que’ che lassi. 18
Tutti son pien di spirti maladetti;
ma perché poi ti basti pur la vista,
intendi come e perché son costretti. 21
D’ogne malizia, ch’odio in cielo acquista,
ingiuria è ‘l fine, ed ogne fin cotale
o con forza o con frode altrui contrista. 24
Ma perché frode è de l’uom proprio male,
più spiace a Dio; e però stan di sotto
li frodolenti, e più dolor li assale. 27
Di vïolenti il primo cerchio è tutto;
ma perché si fa forza a tre persone,
in tre gironi è distinto e costrutto. 30
A Dio, a sé, al prossimo si pòne
far forza, dico in loro e in lor cose,
come udirai con aperta ragione. 33
Morte per forza e ferute dogliose
nel prossimo si danno, e nel suo avere
ruine, incendi e tollette dannose; 36
onde omicide e ciascun che mal fiere,
guastatori e predon, tutti tormenta
lo giron primo per diverse schiere. 39
Puote omo avere in sé man vïolenta
e ne’ suoi beni; e però nel secondo
giron convien che sanza pro si penta 42
qualunque priva sé del vostro mondo,
biscazza e fonde la sua facultade,
e piange là dov’esser de’ giocondo. 45
Puossi far forza ne la deïtade,
col cor negando e bestemmiando quella,
e spregiando natura e sua bontade; 48
e però lo minor giron suggella
del segno suo e Soddoma e Caorsa
e chi, spregiando Dio col cor, favella. 51
La frode, ond’ogne coscïenza è morsa,
può l’omo usare in colui che ‘n lui fida
e in quel che fidanza non imborsa. 54
Questo modo di retro par ch’incida
pur lo vinco d’amor che fa natura;
onde nel cerchio secondo s’annida 57
ipocresia, lusinghe e chi affattura,
falsità, ladroneccio e simonia,
ruffian, baratti e simile lordura. 60
Per l’altro modo quell’amor s’oblia
che fa natura, e quel ch’è poi aggiunto,
di che la fede spezïal si cria; 63
onde nel cerchio minore, ov’è ’l punto
de l’universo in su che Dite siede,
qualunque trade in etterno è consunto». 66
E io: «Maestro, assai chiara procede
la tua ragione, e assai ben distingue
questo baràtro e ’l popol ch’e’ possiede. 69
Ma dimmi: quei de la palude pingue,
che mena il vento, e che batte la pioggia,
e che s’incontran con sì aspre lingue, 72
perché non dentro da la città roggia
sono ei puniti, se Dio li ha in ira?
e se non li ha, perché sono a tal foggia?». 75
Ed elli a me: «Perché tanto delira»,
disse, «lo ’ngegno tuo da quel che sòle?
o ver la mente dove altrove mira? 78
Non ti rimembra di quelle parole
con le quai la tua Etica pertratta
le tre disposizion che ’l ciel non vole, 81
incontenenza, malizia e la matta
bestialitade? e come incontenenza
men Dio offende e men biasimo accatta? 84
Se tu riguardi ben questa sentenza,
e rechiti a la mente chi son quelli
che sù di fuor sostegnon penitenza, 87
tu vedrai ben perché da questi felli
sien dipartiti, e perché men crucciata
la divina vendetta li martelli». 90
«O sol che sani ogne vista turbata,
tu mi contenti sì quando tu solvi,
che, non men che saver, dubbiar m’aggrata. 93
Ancora in dietro un poco ti rivolvi»,
diss’io, «là dove di’ ch’usura offende
la divina bontade, e ’l groppo solvi». 96
«Filosofia», mi disse, «a chi la ’ntende,
nota, non pure in una sola parte,
come natura lo suo corso prende 99
dal divino ’ntelletto e da sua arte;
e se tu ben la tua Fisica note,
tu troverai, non dopo molte carte, 102
che l’arte vostra quella, quanto pote,
segue, come ’l maestro fa ’l discente;
sì che vostr’arte a Dio quasi è nepote. 105
Da queste due, se tu ti rechi a mente
lo Genesì dal principio, convene
prender sua vita e avanzar la gente; 108
e perché l’usuriere altra via tene,
per sé natura e per la sua seguace
dispregia, poi ch’in altro pon la spene. 111
Ma seguimi oramai che ’l gir mi piace;
ché i Pesci guizzan su per l’orizzonta,
e ’l Carro tutto sovra ’l Coro giace, 114
e ’l balzo via là oltra si dismonta».
Il cammino dei poeti è interrotto da un tanfo («puzzo», v. 5) nauseabondo. I due si accostano allora ad un sepolcro («avello», v. 7), quello di Anastasio II, pontefice dal 496 al 498. Dante lo colloca tra gli eretici in quanto, tentando di ricucire lo strappo tra la chiesa di Roma e le chiese orientali, non condannò l’eresia monofisita sostenuta dal vescovo e patriarca di Costantinopoli Acacio, fautore dell’omonimo scisma.
Virgilio consiglia al discepolo di arrestare per qualche istante il viaggio, così da permettere all’olfatto di abituarsi al disgustoso lezzo («Lo nostro scender conviene esser tardo, / sì che s’ausi un poco in prima il senso / al tristo fiato; e poi no i fia riguardo», vv. 10-12). Nell’attesa, Virgilio illustra a Dante la struttura dell’Inferno (per la quale rimandiamo al primo appuntamento della rubrica, dove potete trovare un’accurata ed esaustiva descrizione della topografia del regno infernale).
Virgilio inoltre chiarisce a Dante alcuni dubbi. Il primo riguarda il motivo per il quale alcuni dannati sono puniti all’esterno ed altri all’interno della città di Dite. La guida ricorre ad Aristotele (citando due opere, l’Etica e la Fisica), per il Sommo Poeta la massima istituzione filosofica. Le colpe non sono tutte eguali, la gravità dipende dal grado di partecipazione della volontà del peccatore. Così l’incontinenza, che racchiude la lussuria, la gola, l’avarizia, la prodigalità, l’ira e l’accidia, è una colpa ispirata essenzialmente dalla passione, e per questo meno grave delle altre e dunque punita fuori la città di Dite.
Virgilio spiega anche perché l’usura sia un peccato di violenza contro Dio. L’usuraio («usuriere», v. 109) è un parassita, disprezza la natura ed il lavoro umano, e, così facendo, insulta Dio, «[…] al pari di chi lo bestemmia e lo nega col cuore» (B. Nardi, Il canto XI dell’Inferno, Roma 1955).
Il canto si conclude con Virgilio che esorta Dante a riprendere il cammino, giacché il punto più agevole per scendere dalla sponda in cui si trovano è ancora piuttosto lontano («e ‘l balzo via là oltra si dismonta», v. 115).
L’undicesimo è un canto interlocutorio, didascalico, quasi pedagogico. Si differenzia dagli altri canti dell’Inferno per la mancanza di azione, di pericoli, di incontri – non a caso è il più breve non solo della prima cantica, ma dell’intera Comedìa. È però un intermezzo necessario per la completa e giusta comprensione dell’opera, in quanto qui sono chiariti punti essenziali come la struttura del regno infernale e la differenza tra le varie colpe.
In copertina: Domenico di Michelino, Dante ed il suo poema, 1465. Affresco situato nella Cattedrale di Santa Maria del Fiore a Firenze.
Mi piace:
Mi piace Caricamento...
Divina Domenica – Inferno – Canto XI
Caro Lettore, iMalpensanti rende la tua domenica divina, proponendo la lettura della Commedia di Dante, autentico Testo Sacro della letteratura italiana. Ogni ultimo giorno della settimana un canto, accompagnato da un breve commento, la cui funzione è di agevolare, almeno nelle intenzioni, la comprensione del capolavoro dantesco.
Dante e Virgilio, ancora nel sesto cerchio, tra gli eretici, si fermano dinanzi il sepolcro di papa Anastasio II. La guida descrive la struttura del regno infernale e chiarisce alcuni interrogativi sorti in Dante durante la prima fase del viaggio.
In su l’estremità d’un’alta ripa
che facevan gran pietre rotte in cerchio,
venimmo sopra più crudele stipa; 3
e quivi, per l’orribile soperchio
del puzzo che ’l profondo abisso gitta,
ci raccostammo, in dietro, ad un coperchio 6
d’un grand’avello, ov’io vidi una scritta
che dicea: «Anastasio papa guardo,
lo qual trasse Fotin de la via dritta». 9
«Lo nostro scender conviene esser tardo,
sì che s’ausi un poco in prima il senso
al tristo fiato; e poi no i fia riguardo». 12
Così ’l maestro; e io «Alcun compenso»,
dissi lui, «trova che ’l tempo non passi
perduto». Ed elli: «Vedi ch’a ciò penso». 15
«Figliuol mio, dentro da cotesti sassi»,
cominciò poi a dir, «son tre cerchietti
di grado in grado, come que’ che lassi. 18
Tutti son pien di spirti maladetti;
ma perché poi ti basti pur la vista,
intendi come e perché son costretti. 21
D’ogne malizia, ch’odio in cielo acquista,
ingiuria è ‘l fine, ed ogne fin cotale
o con forza o con frode altrui contrista. 24
Ma perché frode è de l’uom proprio male,
più spiace a Dio; e però stan di sotto
li frodolenti, e più dolor li assale. 27
Di vïolenti il primo cerchio è tutto;
ma perché si fa forza a tre persone,
in tre gironi è distinto e costrutto. 30
A Dio, a sé, al prossimo si pòne
far forza, dico in loro e in lor cose,
come udirai con aperta ragione. 33
Morte per forza e ferute dogliose
nel prossimo si danno, e nel suo avere
ruine, incendi e tollette dannose; 36
onde omicide e ciascun che mal fiere,
guastatori e predon, tutti tormenta
lo giron primo per diverse schiere. 39
Puote omo avere in sé man vïolenta
e ne’ suoi beni; e però nel secondo
giron convien che sanza pro si penta 42
qualunque priva sé del vostro mondo,
biscazza e fonde la sua facultade,
e piange là dov’esser de’ giocondo. 45
Puossi far forza ne la deïtade,
col cor negando e bestemmiando quella,
e spregiando natura e sua bontade; 48
e però lo minor giron suggella
del segno suo e Soddoma e Caorsa
e chi, spregiando Dio col cor, favella. 51
La frode, ond’ogne coscïenza è morsa,
può l’omo usare in colui che ‘n lui fida
e in quel che fidanza non imborsa. 54
Questo modo di retro par ch’incida
pur lo vinco d’amor che fa natura;
onde nel cerchio secondo s’annida 57
ipocresia, lusinghe e chi affattura,
falsità, ladroneccio e simonia,
ruffian, baratti e simile lordura. 60
Per l’altro modo quell’amor s’oblia
che fa natura, e quel ch’è poi aggiunto,
di che la fede spezïal si cria; 63
onde nel cerchio minore, ov’è ’l punto
de l’universo in su che Dite siede,
qualunque trade in etterno è consunto». 66
E io: «Maestro, assai chiara procede
la tua ragione, e assai ben distingue
questo baràtro e ’l popol ch’e’ possiede. 69
Ma dimmi: quei de la palude pingue,
che mena il vento, e che batte la pioggia,
e che s’incontran con sì aspre lingue, 72
perché non dentro da la città roggia
sono ei puniti, se Dio li ha in ira?
e se non li ha, perché sono a tal foggia?». 75
Ed elli a me: «Perché tanto delira»,
disse, «lo ’ngegno tuo da quel che sòle?
o ver la mente dove altrove mira? 78
Non ti rimembra di quelle parole
con le quai la tua Etica pertratta
le tre disposizion che ’l ciel non vole, 81
incontenenza, malizia e la matta
bestialitade? e come incontenenza
men Dio offende e men biasimo accatta? 84
Se tu riguardi ben questa sentenza,
e rechiti a la mente chi son quelli
che sù di fuor sostegnon penitenza, 87
tu vedrai ben perché da questi felli
sien dipartiti, e perché men crucciata
la divina vendetta li martelli». 90
«O sol che sani ogne vista turbata,
tu mi contenti sì quando tu solvi,
che, non men che saver, dubbiar m’aggrata. 93
Ancora in dietro un poco ti rivolvi»,
diss’io, «là dove di’ ch’usura offende
la divina bontade, e ’l groppo solvi». 96
«Filosofia», mi disse, «a chi la ’ntende,
nota, non pure in una sola parte,
come natura lo suo corso prende 99
dal divino ’ntelletto e da sua arte;
e se tu ben la tua Fisica note,
tu troverai, non dopo molte carte, 102
che l’arte vostra quella, quanto pote,
segue, come ’l maestro fa ’l discente;
sì che vostr’arte a Dio quasi è nepote. 105
Da queste due, se tu ti rechi a mente
lo Genesì dal principio, convene
prender sua vita e avanzar la gente; 108
e perché l’usuriere altra via tene,
per sé natura e per la sua seguace
dispregia, poi ch’in altro pon la spene. 111
Ma seguimi oramai che ’l gir mi piace;
ché i Pesci guizzan su per l’orizzonta,
e ’l Carro tutto sovra ’l Coro giace, 114
e ’l balzo via là oltra si dismonta».
Il cammino dei poeti è interrotto da un tanfo («puzzo», v. 5) nauseabondo. I due si accostano allora ad un sepolcro («avello», v. 7), quello di Anastasio II, pontefice dal 496 al 498. Dante lo colloca tra gli eretici in quanto, tentando di ricucire lo strappo tra la chiesa di Roma e le chiese orientali, non condannò l’eresia monofisita sostenuta dal vescovo e patriarca di Costantinopoli Acacio, fautore dell’omonimo scisma.
Virgilio consiglia al discepolo di arrestare per qualche istante il viaggio, così da permettere all’olfatto di abituarsi al disgustoso lezzo («Lo nostro scender conviene esser tardo, / sì che s’ausi un poco in prima il senso / al tristo fiato; e poi no i fia riguardo», vv. 10-12). Nell’attesa, Virgilio illustra a Dante la struttura dell’Inferno (per la quale rimandiamo al primo appuntamento della rubrica, dove potete trovare un’accurata ed esaustiva descrizione della topografia del regno infernale).
Virgilio inoltre chiarisce a Dante alcuni dubbi. Il primo riguarda il motivo per il quale alcuni dannati sono puniti all’esterno ed altri all’interno della città di Dite. La guida ricorre ad Aristotele (citando due opere, l’Etica e la Fisica), per il Sommo Poeta la massima istituzione filosofica. Le colpe non sono tutte eguali, la gravità dipende dal grado di partecipazione della volontà del peccatore. Così l’incontinenza, che racchiude la lussuria, la gola, l’avarizia, la prodigalità, l’ira e l’accidia, è una colpa ispirata essenzialmente dalla passione, e per questo meno grave delle altre e dunque punita fuori la città di Dite.
Virgilio spiega anche perché l’usura sia un peccato di violenza contro Dio. L’usuraio («usuriere», v. 109) è un parassita, disprezza la natura ed il lavoro umano, e, così facendo, insulta Dio, «[…] al pari di chi lo bestemmia e lo nega col cuore» (B. Nardi, Il canto XI dell’Inferno, Roma 1955).
Il canto si conclude con Virgilio che esorta Dante a riprendere il cammino, giacché il punto più agevole per scendere dalla sponda in cui si trovano è ancora piuttosto lontano («e ‘l balzo via là oltra si dismonta», v. 115).
L’undicesimo è un canto interlocutorio, didascalico, quasi pedagogico. Si differenzia dagli altri canti dell’Inferno per la mancanza di azione, di pericoli, di incontri – non a caso è il più breve non solo della prima cantica, ma dell’intera Comedìa. È però un intermezzo necessario per la completa e giusta comprensione dell’opera, in quanto qui sono chiariti punti essenziali come la struttura del regno infernale e la differenza tra le varie colpe.
In copertina: Domenico di Michelino, Dante ed il suo poema, 1465. Affresco situato nella Cattedrale di Santa Maria del Fiore a Firenze.
Condividi:
Mi piace: