Caro Lettore, iMalpensanti rende la tua domenica divina, proponendo la lettura della Commedia di Dante, autentico Testo Sacro della letteratura italiana. Ogni ultimo giorno della settimana un canto, accompagnato da un breve commento, la cui funzione è di agevolare, almeno nelle intenzioni, la comprensione del capolavoro dantesco.
Cala la sera e Dante confessa a Virgilio tutte le sue incertezze riguardo l’ardua impresa che lo attende. Il maestro svela allora al Sommo Poeta le ragioni del viaggio, disposto dall’Alto, e l’intercessione delle tre donne benedette, la Vergine, S. Lucia e Beatrice. Dante, rincuorato, ed al tempo stesso esortato, dalle rivelazioni di Virgilio, riprende il cammino.
Lo giorno se n’andava, e l’aere bruno
toglieva li animai che sono in terra
da le fatiche loro; e io sol uno 3
m’apparecchiava a sostener la guerra
sì del cammino e sì de la pietate,
che ritrarrà la mente che non erra. 6
O muse, o alto ingegno, or m’aiutate;
o mente che scrivesti ciò ch’io vidi,
qui si parrà la tua nobilitate. 9
Io cominciai: «Poeta che mi guidi,
guarda la mia virtù s’ell’è possente,
prima ch’a l’alto passo tu mi fidi. 12
Tu dici che di Silvïo il parente,
corruttibile ancora, ad immortale
secolo andò, e fu sensibilmente. 15
Però, se l’avversario d’ogne male
cortese i fu, pensando l’alto effetto
ch’uscir dovea di lui, e ’l chi e ’l quale 18
non pare indegno ad omo d’intelletto;
ch’e’ fu de l’alma Roma e di suo impero
ne l’empireo ciel per padre eletto: 21
la quale e ’l quale, a voler dir lo vero,
fu stabilita per lo loco santo
u’ siede il successor del maggior Piero. 24
Per quest’andata onde li dai tu vanto,
intese cose che furon cagione
di sua vittoria e del papale ammanto. 27
Andovvi poi lo Vas d’elezïone,
per recarne conforto a quella fede
ch’è principio a la via di salvazione. 30
Ma io, perché venirvi? o chi ’l concede?
Io non Enëa, io non Paulo sono;
me degno a ciò né io né altri ’l crede. 33
Per che, se del venire io m’abbandono,
temo che la venuta non sia folle.
Se’ savio; intendi me’ ch’i’ non ragiono». 36
E qual è quei che disvuol ciò che volle
e per novi pensier cangia proposta,
sì che dal cominciar tutto si tolle, 39
tal mi fec’ïo ’n quella oscura costa,
perché, pensando, consumai la ’mpresa
che fu nel cominciar cotanto tosta. 42
«S’i’ ho ben la parola tua intesa»,
rispuose del magnanimo quell’ombra,
«l’anima tua è da viltade offesa; 45
la qual molte fïate l’omo ingombra
sì che d’onrata impresa lo rivolve,
come falso veder bestia quand’ombra. 48
Da questa tema acciò che tu ti solve,
dirotti perch’io venni e quel ch’io ’ntesi
nel primo punto che di te mi dolve. 51
Io era tra color che son sospesi,
e donna mi chiamò beata e bella,
tal che di comandare io la richiesi. 54
Lucevan li occhi suoi più che la stella;
e cominciommi a dir soave e piana,
con angelica voce, in sua favella: 57
“O anima cortese mantoana,
di cui la fama ancor nel mondo dura,
e durerà quanto ’l mondo lontana, 60
l’amico mio, e non de la ventura,
ne la diserta piaggia è impedito
sì nel cammin, che vòlt’è per paura; 63
e temo che non sia già sì smarrito,
ch’io mi sia tardi al soccorso levata,
per quel ch’i’ ho di lui nel cielo udito. 66
Or movi, e con la tua parola ornata
e con ciò c’ ha mestieri al suo campare,
l’aiuta sì ch’i’ ne sia consolata. 69
I’ son Beatrice che ti faccio andare;
vegno del loco ove tornar disio;
amor mi mosse, che mi fa parlare. 72
Quando sarò dinanzi al segnor mio,
di te mi loderò sovente a lui”.
Tacette allora, e poi comincia’ io: 75
“O donna di virtù sola per cui
l’umana spezie eccede ogne contento
di quel ciel c’ ha minor li cerchi sui, 78
tanto m’aggrada il tuo comandamento,
che l’ubidir, se già fosse, m’è tardi;
più non t’è uo’ ch’aprirmi il tuo talento. 81
Ma dimmi la cagion che non ti guardi
de lo scender qua giuso in questo centro
de l’ampio loco ove tornar tu ardi”. 84
“Da che tu vuo’ saver cotanto a dentro,
dirotti brievemente”, mi rispuose,
“perch’i’ non temo di venir qua entro. 87
Temer si dee di sole quelle cose
c’ hanno potenza di fare altrui male;
de l’altre no, ché non son paurose. 90
I’ son fatta da Dio, sua mercé, tale,
che la vostra miseria non mi tange,
né fiamma d’esto ’ncendio non m’assale. 93
Donna è gentil nel ciel che si compiange
di questo ‘mpedimento ov’io ti mando,
sì che duro giudicio là sù frange. 96
Questa chiese Lucia in suo dimando
e disse: – Or ha bisogno il tuo fedele
di te, e io a te lo raccomando -. 99
Lucia, nimica di ciascun crudele,
si mosse, e venne al loco dov’i’ era,
che mi sedea con l’antica Rachele. 102
Disse: – Beatrice, loda di Dio vera,
ché non soccorri quei che t’amò tanto,
ch’uscì per te de la volgare schiera? 105
Non odi tu la pieta del suo pianto,
non vedi tu la morte che ’l combatte
su la fiumana ove ’l mar non ha vanto? -. 108
Al mondo non fur mai persone ratte
a far lor pro o a fuggir lor danno,
com’io, dopo cotai parole fatte, 111
venni qua giù del mio beato scanno,
fidandomi del tuo parlare onesto,
ch’onora te e quei ch’udito l’ hanno”. 114
Poscia che m’ebbe ragionato questo,
li occhi lucenti lagrimando volse,
per che mi fece del venir più presto. 117
E venni a te così com’ella volse:
d’inanzi a quella fiera ti levai
che del bel monte il corto andar ti tolse. 120
Dunque: che è perché, perché restai,
perché tanta viltà nel core allette,
perché ardire e franchezza non hai, 123
poscia che tai tre donne benedette
curan di te ne la corte del cielo,
e ’l mio parlar tanto ben ti promette?». 126
Quali fioretti dal notturno gelo
chinati e chiusi, poi che ’l sol li ’mbianca,
si drizzan tutti aperti in loro stelo, 129
tal mi fec’io di mia virtude stanca,
e tanto buono ardire al cor mi corse,
ch’i’ cominciai come persona franca: 132
«Oh pietosa colei che mi soccorse!
e te cortese ch’ubidisti tosto
a le vere parole che ti porse! 135
Tu m’ hai con disiderio il cor disposto
sì al venir con le parole tue,
ch’i’ son tornato nel primo proposto. 138
Or va, ch’un sol volere è d’ambedue:
tu duca, tu segnore e tu maestro».
Così li dissi; e poi che mosso fue, 141
intrai per lo cammino alto e silvestro.
Il canto I si è sviluppato tra la «selva oscura» ed il colle, temporaneamente dall’alba al tramonto. Cala la sera e nell’ora in cui le creature finalmente si riposano, Dante si appresta ad intraprendere l’ardua impresa.
Al verso 7 troviamo la prima invocazione alle Muse che, di fatto, segna il vero e proprio avvio dell’opera. Dante poi chiede a Virgilio di giudicare le sue qualità, affinché abbia una conferma ch’egli sia all’altezza del viaggio, e fa riferimento direttamente al capolavoro del poeta latino, nei vv. 13-15. Nel libro VI dell’Eneide Virgilio narra la discesa di Enea, padre di Silvio, nel regno dell’al di là. Discesa compiuta da vivo, con il corpo e non tramite visioni, proprio come Dante, che dunque rivive la stessa situazione vissuta dall’eroe troiano. «Enea che va in cerca di una patria e che si affanna a ritentare una storia, dopo che la città di Troia è perita nelle fiamme, abbraccia significati che possono essere ovunque compresi. Un passato estinto nel fuoco riappare, come l’ombra di Creusa, a formulare i presagi del nuovo destino. E poi questo battere alle porte del Tartaro, questo bisogno dell’oltretomba e dei campi Elisi, per sapere il vero della storia di Roma, da quella patriarcale di Evandro alla città marmorea di Augusto, ha un fascino poetico che conduce Dante alla stessa conclusione, sotto forme e parole diverse; ma dove in Virgilio si esprime la gloria della civiltà latina, nell’Alighieri si traduce, con il Veltro, col D.X.V. l’ardore di una grande speranza: la renovatio cristiana» (G. Fallani).
Dante chiede i motivi del viaggio, e chi lo permette. E nonostante lo neghi, «Io non Enea, io non Paulo sono» (v. 32), si pone come un secondo Enea, che tenta di recuperare ciò che è andato perduto.
Virgilio è «savio», ovvero sapiente, ed in grado di comprendere anche ciò che Dante non è in grado di manifestare a parole. Ebbene, sta proprio in questa impossibilità del poeta di esprimere concetti, l’originalità e la magnificenza dell’opera dantesca. Dante è anzitutto un uomo, un peccatore ed è con questo status che si lancia nell’incredibile impresa.
Virgilio rimprovera il dubbioso protagonista, preda della viltà, della pusillanimità, e al fine di scacciare la sua debolezza, gli svela il “mistero” del suo viaggio. È stata Beatrice («I’ son Beatrice», v. 70) ad esortare Virgilio, affinché avviasse ed agevolasse il cammino di Dante verso la salvezza.
Beatrice Portinari, fiorentina, sposa a Simone de’ Bardi, morta a ventiquattro anni l’8 giugno 1290. Donna amata da Dante con ardore, intensità e trasporto mistici, lodata ed onorata nella sua umana integrità nella Vita Nuova. Nella Comedìa assume invece i tratti della santità, e rappresenta la teologia.
Dal racconto di Virgilio, che riporta il colloquio avuto con Beatrice, Dante viene a conoscenza della “catena di grazia” che si è formata al fine di condurlo alla salvezza, alla redenzione. È stata per prima la Madonna ad avere compassione del suo stato smarrito. La Vergine ha quindi comunicato la sua volontà a S. Lucia (martire siracusana protettrice della vista), che a sua volta si è rivolta a Beatrice. Ben «tre donne benedette» si sino mosse in Paradiso per il destino di Dante. Ecco che i suoi dubbi, le sue incertezze, la sua viltà non possono che dissolversi dinanzi una tale, straordinaria rivelazione. Compare qui anche Rachele, simbolo della vita contemplativa, che ritroveremo in nel canto XXVII del Purgatorio e nel canto XXXII del Paradiso.
Il racconto di Virgilio scuote Dante, il cui stato è paragonabile a quello dell’individuo che si riprende da una lunga e dolorosa malattia e piano riacquista fede nella vita. In questo senso, splendida la similitudine floreale che compare nei versi 127-129. I fiori, dopo essersi richiusi, avvolti in se stessi a causa del freddo pungente della notte, si riaprono alla luce ed al calore rigenerante del sole. Cosciente dell’operato delle «tre donne benedette», Dante riacquista finalmente fiducia. Il suo animo è rinsavito e pronto. Ora lo attende l’Inferno, terribile nelle sue pene e nei suoi demoni, ma conscio dell’interesse di Maria, Lucia e Beatrice, e sicuro della protezione di Virgilio, può iniziare «lo cammino alto e silvestro» (v. 142).
In copertina: Domenico di Michelino, Dante ed il suo poema, 1465. Affresco situato nella Cattedrale di Santa Maria del Fiore a Firenze.
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Divina Domenica – Inferno – Canto II
Caro Lettore, iMalpensanti rende la tua domenica divina, proponendo la lettura della Commedia di Dante, autentico Testo Sacro della letteratura italiana. Ogni ultimo giorno della settimana un canto, accompagnato da un breve commento, la cui funzione è di agevolare, almeno nelle intenzioni, la comprensione del capolavoro dantesco.
Cala la sera e Dante confessa a Virgilio tutte le sue incertezze riguardo l’ardua impresa che lo attende. Il maestro svela allora al Sommo Poeta le ragioni del viaggio, disposto dall’Alto, e l’intercessione delle tre donne benedette, la Vergine, S. Lucia e Beatrice. Dante, rincuorato, ed al tempo stesso esortato, dalle rivelazioni di Virgilio, riprende il cammino.
Lo giorno se n’andava, e l’aere bruno
toglieva li animai che sono in terra
da le fatiche loro; e io sol uno 3
m’apparecchiava a sostener la guerra
sì del cammino e sì de la pietate,
che ritrarrà la mente che non erra. 6
O muse, o alto ingegno, or m’aiutate;
o mente che scrivesti ciò ch’io vidi,
qui si parrà la tua nobilitate. 9
Io cominciai: «Poeta che mi guidi,
guarda la mia virtù s’ell’è possente,
prima ch’a l’alto passo tu mi fidi. 12
Tu dici che di Silvïo il parente,
corruttibile ancora, ad immortale
secolo andò, e fu sensibilmente. 15
Però, se l’avversario d’ogne male
cortese i fu, pensando l’alto effetto
ch’uscir dovea di lui, e ’l chi e ’l quale 18
non pare indegno ad omo d’intelletto;
ch’e’ fu de l’alma Roma e di suo impero
ne l’empireo ciel per padre eletto: 21
la quale e ’l quale, a voler dir lo vero,
fu stabilita per lo loco santo
u’ siede il successor del maggior Piero. 24
Per quest’andata onde li dai tu vanto,
intese cose che furon cagione
di sua vittoria e del papale ammanto. 27
Andovvi poi lo Vas d’elezïone,
per recarne conforto a quella fede
ch’è principio a la via di salvazione. 30
Ma io, perché venirvi? o chi ’l concede?
Io non Enëa, io non Paulo sono;
me degno a ciò né io né altri ’l crede. 33
Per che, se del venire io m’abbandono,
temo che la venuta non sia folle.
Se’ savio; intendi me’ ch’i’ non ragiono». 36
E qual è quei che disvuol ciò che volle
e per novi pensier cangia proposta,
sì che dal cominciar tutto si tolle, 39
tal mi fec’ïo ’n quella oscura costa,
perché, pensando, consumai la ’mpresa
che fu nel cominciar cotanto tosta. 42
«S’i’ ho ben la parola tua intesa»,
rispuose del magnanimo quell’ombra,
«l’anima tua è da viltade offesa; 45
la qual molte fïate l’omo ingombra
sì che d’onrata impresa lo rivolve,
come falso veder bestia quand’ombra. 48
Da questa tema acciò che tu ti solve,
dirotti perch’io venni e quel ch’io ’ntesi
nel primo punto che di te mi dolve. 51
Io era tra color che son sospesi,
e donna mi chiamò beata e bella,
tal che di comandare io la richiesi. 54
Lucevan li occhi suoi più che la stella;
e cominciommi a dir soave e piana,
con angelica voce, in sua favella: 57
“O anima cortese mantoana,
di cui la fama ancor nel mondo dura,
e durerà quanto ’l mondo lontana, 60
l’amico mio, e non de la ventura,
ne la diserta piaggia è impedito
sì nel cammin, che vòlt’è per paura; 63
e temo che non sia già sì smarrito,
ch’io mi sia tardi al soccorso levata,
per quel ch’i’ ho di lui nel cielo udito. 66
Or movi, e con la tua parola ornata
e con ciò c’ ha mestieri al suo campare,
l’aiuta sì ch’i’ ne sia consolata. 69
I’ son Beatrice che ti faccio andare;
vegno del loco ove tornar disio;
amor mi mosse, che mi fa parlare. 72
Quando sarò dinanzi al segnor mio,
di te mi loderò sovente a lui”.
Tacette allora, e poi comincia’ io: 75
“O donna di virtù sola per cui
l’umana spezie eccede ogne contento
di quel ciel c’ ha minor li cerchi sui, 78
tanto m’aggrada il tuo comandamento,
che l’ubidir, se già fosse, m’è tardi;
più non t’è uo’ ch’aprirmi il tuo talento. 81
Ma dimmi la cagion che non ti guardi
de lo scender qua giuso in questo centro
de l’ampio loco ove tornar tu ardi”. 84
“Da che tu vuo’ saver cotanto a dentro,
dirotti brievemente”, mi rispuose,
“perch’i’ non temo di venir qua entro. 87
Temer si dee di sole quelle cose
c’ hanno potenza di fare altrui male;
de l’altre no, ché non son paurose. 90
I’ son fatta da Dio, sua mercé, tale,
che la vostra miseria non mi tange,
né fiamma d’esto ’ncendio non m’assale. 93
Donna è gentil nel ciel che si compiange
di questo ‘mpedimento ov’io ti mando,
sì che duro giudicio là sù frange. 96
Questa chiese Lucia in suo dimando
e disse: – Or ha bisogno il tuo fedele
di te, e io a te lo raccomando -. 99
Lucia, nimica di ciascun crudele,
si mosse, e venne al loco dov’i’ era,
che mi sedea con l’antica Rachele. 102
Disse: – Beatrice, loda di Dio vera,
ché non soccorri quei che t’amò tanto,
ch’uscì per te de la volgare schiera? 105
Non odi tu la pieta del suo pianto,
non vedi tu la morte che ’l combatte
su la fiumana ove ’l mar non ha vanto? -. 108
Al mondo non fur mai persone ratte
a far lor pro o a fuggir lor danno,
com’io, dopo cotai parole fatte, 111
venni qua giù del mio beato scanno,
fidandomi del tuo parlare onesto,
ch’onora te e quei ch’udito l’ hanno”. 114
Poscia che m’ebbe ragionato questo,
li occhi lucenti lagrimando volse,
per che mi fece del venir più presto. 117
E venni a te così com’ella volse:
d’inanzi a quella fiera ti levai
che del bel monte il corto andar ti tolse. 120
Dunque: che è perché, perché restai,
perché tanta viltà nel core allette,
perché ardire e franchezza non hai, 123
poscia che tai tre donne benedette
curan di te ne la corte del cielo,
e ’l mio parlar tanto ben ti promette?». 126
Quali fioretti dal notturno gelo
chinati e chiusi, poi che ’l sol li ’mbianca,
si drizzan tutti aperti in loro stelo, 129
tal mi fec’io di mia virtude stanca,
e tanto buono ardire al cor mi corse,
ch’i’ cominciai come persona franca: 132
«Oh pietosa colei che mi soccorse!
e te cortese ch’ubidisti tosto
a le vere parole che ti porse! 135
Tu m’ hai con disiderio il cor disposto
sì al venir con le parole tue,
ch’i’ son tornato nel primo proposto. 138
Or va, ch’un sol volere è d’ambedue:
tu duca, tu segnore e tu maestro».
Così li dissi; e poi che mosso fue, 141
intrai per lo cammino alto e silvestro.
Il canto I si è sviluppato tra la «selva oscura» ed il colle, temporaneamente dall’alba al tramonto. Cala la sera e nell’ora in cui le creature finalmente si riposano, Dante si appresta ad intraprendere l’ardua impresa.
Al verso 7 troviamo la prima invocazione alle Muse che, di fatto, segna il vero e proprio avvio dell’opera. Dante poi chiede a Virgilio di giudicare le sue qualità, affinché abbia una conferma ch’egli sia all’altezza del viaggio, e fa riferimento direttamente al capolavoro del poeta latino, nei vv. 13-15. Nel libro VI dell’Eneide Virgilio narra la discesa di Enea, padre di Silvio, nel regno dell’al di là. Discesa compiuta da vivo, con il corpo e non tramite visioni, proprio come Dante, che dunque rivive la stessa situazione vissuta dall’eroe troiano. «Enea che va in cerca di una patria e che si affanna a ritentare una storia, dopo che la città di Troia è perita nelle fiamme, abbraccia significati che possono essere ovunque compresi. Un passato estinto nel fuoco riappare, come l’ombra di Creusa, a formulare i presagi del nuovo destino. E poi questo battere alle porte del Tartaro, questo bisogno dell’oltretomba e dei campi Elisi, per sapere il vero della storia di Roma, da quella patriarcale di Evandro alla città marmorea di Augusto, ha un fascino poetico che conduce Dante alla stessa conclusione, sotto forme e parole diverse; ma dove in Virgilio si esprime la gloria della civiltà latina, nell’Alighieri si traduce, con il Veltro, col D.X.V. l’ardore di una grande speranza: la renovatio cristiana» (G. Fallani).
Dante chiede i motivi del viaggio, e chi lo permette. E nonostante lo neghi, «Io non Enea, io non Paulo sono» (v. 32), si pone come un secondo Enea, che tenta di recuperare ciò che è andato perduto.
Virgilio è «savio», ovvero sapiente, ed in grado di comprendere anche ciò che Dante non è in grado di manifestare a parole. Ebbene, sta proprio in questa impossibilità del poeta di esprimere concetti, l’originalità e la magnificenza dell’opera dantesca. Dante è anzitutto un uomo, un peccatore ed è con questo status che si lancia nell’incredibile impresa.
Virgilio rimprovera il dubbioso protagonista, preda della viltà, della pusillanimità, e al fine di scacciare la sua debolezza, gli svela il “mistero” del suo viaggio. È stata Beatrice («I’ son Beatrice», v. 70) ad esortare Virgilio, affinché avviasse ed agevolasse il cammino di Dante verso la salvezza.
Beatrice Portinari, fiorentina, sposa a Simone de’ Bardi, morta a ventiquattro anni l’8 giugno 1290. Donna amata da Dante con ardore, intensità e trasporto mistici, lodata ed onorata nella sua umana integrità nella Vita Nuova. Nella Comedìa assume invece i tratti della santità, e rappresenta la teologia.
Dal racconto di Virgilio, che riporta il colloquio avuto con Beatrice, Dante viene a conoscenza della “catena di grazia” che si è formata al fine di condurlo alla salvezza, alla redenzione. È stata per prima la Madonna ad avere compassione del suo stato smarrito. La Vergine ha quindi comunicato la sua volontà a S. Lucia (martire siracusana protettrice della vista), che a sua volta si è rivolta a Beatrice. Ben «tre donne benedette» si sino mosse in Paradiso per il destino di Dante. Ecco che i suoi dubbi, le sue incertezze, la sua viltà non possono che dissolversi dinanzi una tale, straordinaria rivelazione. Compare qui anche Rachele, simbolo della vita contemplativa, che ritroveremo in nel canto XXVII del Purgatorio e nel canto XXXII del Paradiso.
Il racconto di Virgilio scuote Dante, il cui stato è paragonabile a quello dell’individuo che si riprende da una lunga e dolorosa malattia e piano riacquista fede nella vita. In questo senso, splendida la similitudine floreale che compare nei versi 127-129. I fiori, dopo essersi richiusi, avvolti in se stessi a causa del freddo pungente della notte, si riaprono alla luce ed al calore rigenerante del sole. Cosciente dell’operato delle «tre donne benedette», Dante riacquista finalmente fiducia. Il suo animo è rinsavito e pronto. Ora lo attende l’Inferno, terribile nelle sue pene e nei suoi demoni, ma conscio dell’interesse di Maria, Lucia e Beatrice, e sicuro della protezione di Virgilio, può iniziare «lo cammino alto e silvestro» (v. 142).
In copertina: Domenico di Michelino, Dante ed il suo poema, 1465. Affresco situato nella Cattedrale di Santa Maria del Fiore a Firenze.
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