Con gli articoli dedicati all’Utopia (1516) di Moro ed alla Città del Sole (1602) di Campanella, abbiamo approfondito le due opere utopiche probabilmente più note e rilevanti mai scritte, ponendo l’attenzione sull’importanza del tema dell’utopia nel Rinascimento, in quanto viva all’epoca la necessità di proporre forme di Stato consone alle nuove idee filosofiche. Spostandoci nel Novecento, il pensatore che con maggiore convinzione ha ripreso e rilanciato la questione utopica è il tedesco Ernst Bloch (1885-1977).
Nella sua prima opera, intitolata emblematicamente Lo spirito dell’utopia (1918), Bloch tratta il tema in relazione alla storia. Lo scopo primario della ricerca filosofica del pensatore tedesco, è approdare ad un concetto che sia in grado di spingersi oltre i confini di ciò che è esistente, convinto del fatto che «nulla è più umano di superare ciò che è», e che «pensare significa oltrepassare». In questo senso Bloch approda ad un’idea di marxismo utopico, intendendo il termine «utopia» in un senso nuovo, originale, che si discosta dalla tradizione. Il vocabolo non definisce una realtà illusoria e chimerica (come invece accade nelle opere di Moro e Campanella sopra citate), bensì esprime quel che oggi ancora non è, ma che domani potrà essere.
Bloch individua una «coscienza anticipante» tramite la quale è possibile spingersi oltre l’esistente. Tale coscienza è sostenuta e rinvigorita dal «principio speranza», spazio enorme ed «inesplorato come l’Antartide», slancio primitivo che indirizza la realtà dell’uomo.
Nel Principio speranza, testo pubblicato tra il 1954 ed il 1959, il pensatore tedesco analizza numerosi piani di liberazione dell’umanità concepiti nel corso dei secoli, collocando a capo di essi il marxismo, secondo Bloch l’unico impeto filosofico-politico sovversivo in grado di condurre questi piani utopici ad una concretizzazione storica.
L’umanità possiede un’identità autentica assolutamente libera, occultata dai poteri dominanti, ma che a ben vedere è da sempre presente nella storia, e potrà realizzarsi nel futuro dopo essere stata sciolta dai vincoli e dalle catene dell’oppressione. Ciò potrà accadere solamente attraverso l’impegno profondo di ogni singolo individuo, ed attraverso una determinata attività rivoluzionaria di cui, come abbiamo visto, il marxismo rappresenta la massima espressione.
Di seguito, alcune delle pagine essenziali dell’opera Il principio speranza, dalle quali emergono chiaramente alcuni dei nuclei appena trattati del pensiero di Bloch.
L’importante è imparare a sperare. Il lavoro della speranza non è rinunciatario perché di per sé desidera aver successo invece che fallire. Lo sperare, superiore all’aver paura, non è né passivo come questo sentimento né, anzi meno che mai, bloccato nel nulla. L’affetto dello sperare si espande, allarga gli uomini invece di restringerli, non si sazia mai di sapere che cosa internamente li fa tendere a uno scopo e che cosa all’esterno può essere loro alleato. Il lavoro di quest’affetto vuole uomini che si gettino attivamente nel nuovo che si va formando e cui essi appartengono. Non tollera una vita da cani, che si senta solo passivamente gettata in un’esistenza non capita nei suoi intenti o addirittura riconosciuta per miserabile. Il lavoro contro la paura della vita e le mene del terrore è lavoro contro coloro che impauriscono e terrorizzano, in gran parte additabilissimi, e cerca nel mondo stesso quel che può aiutare il mondo; e lo si può trovare. Quali grandi sogni si sono sempre fatti in proposito! Sogni di una vita migliore, che sarebbe possibile. La vita di tutti gli uomini è attraversata da sogni a occhi aperti, una parte dei quali è solo fuga insipida, anche snervante, anche bottino per imbroglioni; ma un’altra parte stimola, non permette che ci si accontenti del cattivo presente, appunto non permette che si faccia i rinunciatari. Quest’altra parte ha nel suo nocciolo la speranza, ed è insegnabile. Può essere ricavata dagli sgretolati sogni a occhi aperti e anche al loro astuto abuso; può essere attivata senza cortine fumogene. Non c’è mai stato uomo che abbia vissuto senza questi sogni ma l’importante è conoscerli sempre meglio e così mantenerli verso la direzione giusta, senza che ci ingannino ma in modo che anzi ci aiutino. […]
Pensare significa oltrepassare. Ma in modo che quanto è semplicemente presente non venga accantonato, e che non si scantoni. Non nelle sue ambasce e nemmeno nel movimento per uscirne. Non nelle cause dell’ambascia, e nemmeno nelle avvisaglie di svolta che vi maturano. Perciò un reale oltrepassamento non va mai a finire nel vuoto pneumatico di un davanti-a-noi, dedito solo a esaltazioni e descrizioni astratte. Ma comprende il nuovo come mediato nel presente in movimento, sebbene per essere posto in libertà il nuovo sia estremamente esigente sul fatto che lo si voglia. Un oltrepassamento reale conosce e attiva la tendenza, che è dialettica nel suo decorso, insita nella storia. Nelle sue aspirazioni ogni uomo vive in primo luogo nel futuro, il passato viene solo in seguito e un vero presente non c’è ancora proprio quasi per niente. Il futuro contiene quel che si teme o quel che si spera; dunque secondo le intenzioni umane, qualora non le si frusti, contiene solo quel che si spera. […]
In tal modo l’elemento anticipatorio agisce nel campo della speranza; questa dunque non viene intesa soltanto come affetto, come contrapposizione alla paura (poiché anche la paura, come è noto, può essere anticipatrice), ma più essenzialmente come atto orientativo di specie cognitiva (e il contrario ne è non la paura ma il ricordo). La rappresentazione e i pensieri dell’intenzione del futuro così caratterizzata sono utopici, ciò però non in un senso ristretto, o addirittura solo negativo del termine (quadro affettivamente divagante, gioco di tipo astratto), ma appunto nel senso nuovamente difendibile del sogno che indica in avanti, insomma nel senso della anticipazione. Dunque la categoria dell’utopico, oltre il consueto senso, giustamente spregiativo, ne possiede un altro, che non è affatto necessariamente astratto o alieno dal mondo, ma anzi in maniera centrale rivolto al mondo: superare il decorso naturale degli eventi. Così inteso, il tema di questa seconda parte è: la funzione utopica e i suoi contenuti. […] La coscienza utopica vuole spingere lo sguardo molto in là, ma in ultima analisi solo al fine di penetrare la vicinissima oscurità dell’attimo appena vissuto, in cui tutto ciò che è è tanto operante quanto nascosto a se stesso. In altre parole: si ha bisogno del cannocchiale più potente, quello della coscienza utopica levigata, per penetrare proprio la prossimità più vicina. In quanto immediatezza immediatissima, in cui si annida ancora il nucleo del sentirsi e dell’esserci, in cui contemporaneamente è situato tutto il nodo del mistero del mondo. […] Dunque l’indagine sulla coscienza anticipante deve servire fondamentalmente a far divenire psichicamente e materialmente comprensibili le immagini ver e proprie che ora seguiranno, anzi le riproduzioni di una vita migliore desiderata e anticipata. Dunque occorre che prendiamo atto di ciò che anticipa e che lo prendiamo sulla base di una ontologia del non-ancora.
E. Bloch, Il principio speranza, trad. it. di E. De Angelis, Garzanti, Milano 1994.