Jacob Böhme

Gli altri protagonisti della Riforma – Zwingli, Calvino e Böhme

Dopo gli articoli dedicati ad Erasmo da Rotterdam e Martin Lutero, concludiamo oggi il discorso relativo alla Riforma protestante esplorando il pensiero degli altri suoi maggiori protagonisti: Huldrych Zwingli (1484-1531), Giovanni Calvino (1509-1564) e Jakob Böhme (1575-1624).

Huldrych Zwingli

Quello di Zwingli è un approccio filosofico tipicamente umanistico. Egli parte infatti dall’idea di accordo tra le sacre scritture ed i pensatori pagani. Da qui sviluppa il suo concetto di rivelazione come fatto non solo storico ed inerente esclusivamente al cristianesimo, bensì universale. Ergo, tutto ciò che di vero è stato fino ad ora detto, da Cristo oppure da un filosofo dell’antichità, proviene direttamente da Dio. Quest’ultimo è il sommo bene, l’unità e la natura.

La salvezza dell’uomo è indissolubilmente legata alla decisione di Dio. L’uomo crede perché è stato scelto da Dio. La fede rappresenta la fiducia totale ed incondizionata dell’umanità verso Dio, il solo in grado di concedere, secondo la sua volontà libera, la grazia. L’uomo viene così vincolato alle scelte del Creatore, agisce secondo quel che Dio ha progettato per lui. L’individuo dipende, e la consapevolezza di tale dipendenza rafforza il suo credo.

Diverse analogie legano Zwingli a Lutero. Entrambi rifiutano le cerimonie e le manifestazioni religiose. Entrambi inseriscono l’uomo in un contesto sociale all’interno del quale deve compiere opere magnanime, dimostrazioni della grazia divina. In questo senso, Zwingli si spinge oltre, volendo rinnovare persino la vita politica, oltreché sociale, tramite un ritorno alla società cristiana originaria, secondo lui la più genuina, autentica, vicina alla volontà del Signore.

Giovanni Calvino

Tutta la Riforma protestante è attraversata da uno spirito di rinnovamento ed insieme di ritorno alle fonti del cristianesimo. Ebbene, per Calvino il ritorno ai testi fondamentali della religione cristiana coincide con una sostanziale rivalutazione del Vecchio Testamento. Nella sua opera più importante, Istituzione della religione cristiana (1536), egli difende l’unità, la coesione, diciamo pure l’interdipendenza dei due volumi che compongono il testo sacro. Tuttavia concentra le sue attenzioni proprio sul Vecchio Testamento, dal quale trae l’idea di Dio come sovrano assoluto, potente, sconfinato, imparagonabile all’uomo, in confronto alla grandezza del Creatore, essere così piccolo, mortale, abbietto e miserabile.

Dio è amore, ma soprattutto onnipotenza ed impenetrabilità. Il corso degli eventi, della storia ed il destino dell’umanità dipendono dalla sua volontà. E l’uomo è salvo solamente grazie alla predestinazione decisa dalla divinità. L’uomo non decide nulla, non può nulla dinanzi la forza di Dio, dinanzi la predestinazione.

Calvino innalza il lavoro a dovere sacro, imprescindibile. Tramite l’attività lavorativa, e la volontà del creatore l’uomo può raggiungere un discreto benessere terreno.

Il teologo francese svolse la sua attività filosofica in particolar modo a Ginevra, città dalla quale erano stati appena espulsi i feudatari vicini ed i duchi di Savoia. Una città indipendente, libera, favorevole alla spinta riformatrice dilagante. Qui Calvino dovette affrontare, oltre al problema religioso, anche un problema politico. Come soluzione al vuoto lasciato dalla dominazione straniera, egli propose un regime essenzialmente teocratico, basato su regolari elezioni democratiche, che le autorità svizzere accolsero con entusiasmo.

Calvino fu in possesso di un potere illimitato ed indiscusso, che attuò fino alla fine dei suoi giorni con straordinaria sagacia, ma anche con atroce tenacia. Celebre l’episodio dell’esecuzione di 48 cittadini per motivi religiosi. Ancor più celebre il caso del medico spagnolo Michele Serveto, bruciato vivo a causa delle sue interpretazioni liberali della Scritture, che giungevano alla negazione della Trinità.

Jakob Böhme

Concludendo il discorso relativo alla Riforma protestante, è bene ricordare la corrente mistica che si originò da essa. Il mistico più importante è senza dubbio Jakob Böhme (1575-1624), calzolaio autodidatta la cui opera fondamentale si intitola L’aurora nascente, che iniziò a circolare all’incirca nel 1618.

Secondo Böhme Dio è infinito ed immutabile, così come infinito ed immutabile è l’abisso dell’essere. L’abisso ha una volontà, e questa volontà desidera riflettersi in se stessa. Ed è da qui che si definisce la Trinità. Alle tre entità divine che la formano corrisponde una “funzione”: il Padre è la Volontà, il Figlio è il Sentimento o il Piacere che essa prova nell’ammirarsi, lo Spirito è l’Uscita della Volontà e del Sentimento nel linguaggio e nell’ispirazione.

La vita divina contiene in sé l’opposizione eterna tra diversi principi, la luce e le tenebre, l’amore e l’odio, la natura e il corpo. L’amore non può esistere, né mostrarsi senza l’odio, la luce è legata intimamente alle tenebre e la natura al corpo.

Il mistico affronta inoltre il delicato problema del bene e del male, la cui lotta perpetua è alla base della vita e della realtà. Böhme lascia l’uomo libero di scegliere tra le due componenti, allontanandosi in questo modo dall’idea di predestinazione sostenuta da Lutero e Calvino. Non solo, il mistico azzera la distanza tra Dio e l’uomo, rendendo quest’ultimo una piccola componente della divinità. Così facendo, la questione relativa alla salvezza dell’umanità assume contorni universali, e riguarda il tutto e non solo l’uomo.

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