Oltre al rinnovamento dell’uomo, vi è al centro del pensiero filosofico rinascimentale l’idea di un rinnovamento della vita religiosa. Dopo i secoli bui del Medioevo, caratterizzati da credenze spinte al limite della superstizione, gli umanisti vogliono riscoprire la purezza, l’autenticità, diciamo pure la genuinità della religione. Per fare questo è necessaria un’interpretazione delle fonti della religione cristiana, che si allontani dalla teologia greca, più in generale orientale, e che ritorni invece al verbo di Cristo, alle verità rivelate nel libro sacro, la Bibbia. In questo senso, la parola di Dio non si deve rivolgere solamente ai dotti, agli intellettuali, ma a tutti gli uomini, anche quelli culturalmente meno preparati, ed il suo scopo non deve essere quello di indirizzare una particolare visione filosofica della vita, ma la vita stessa. La fede deve rinascere innanzi tutto nella coscienza dell’uomo, libera dai vincoli tradizionali che, soprattutto nel Medioevo, l’hanno colpevolmente limitata.
Così come Erasmo da Rotterdam, anche il frate agostiniano e teologo tedesco Martin Lutero (1483-1546) è convinto sostenitore del ritorno alle fonti cristiane fondamentali, al fine di rinnovare le coscienze religiose. La salvezza è infatti possibile solamente attraverso gli insegnamenti diretti di Cristo e degli apostoli.
Secondo il “rivoluzionario” pensatore tedesco, l’uomo certo della salvezza è colui il quale ha fede e viene giustificato da Dio, e la fede consiste proprio nella fiducia che l’uomo pone nella giustificazione del Creatore. L’essere umano deve rinunciare ad ogni sua iniziativa, e rimettersi nelle mani e nel giudizio di Dio, l’unico in grado di salvarlo. Anche la ragione, definita da Lutero «la più accanita e pestifera nemica di Dio», deve essere messa da parte, essa infatti non è in grado di spiegare, né rivelare le verità divine. In questo senso, i filosofi sono tutti «sofisti» – i maestri greci che chiedevano denaro in cambio dei loro insegnamenti – eccetto uno, Guglielmo di Ockham (1288-1349), il primo sostenitore dell’irrazionalità e dell’indimostrabilità della fede. La ricerca puramente razionale, la speculazione filosofica significa libertà ed intraprendenza, mentre la fede significa rinuncia ed abbandono a Dio.
La riscoperta autentica, pura, genuina del Vangelo, secondo Lutero il vero testo essenziale della cristianità, porta ad un significativo ridimensionamento del ruolo di tramite operato dal sacerdozio e dai sacramenti fondati dalla Chiesa. Lutero inizialmente di questi ultimi ne salva tre, poi addirittura solamente due: il battesimo e l’eucarestia. Inoltre l’importanza dei due sacramenti “superstiti” è vincolata necessariamente alla fede, come abbiamo già scritto, l’unico rapporto tra l’uomo ed il Creatore che non ha bisogno di mediatori alcuni. Così facendo, Lutero riduce sensibilmente i poteri dei sacerdoti.
L’opera demolitrice del pensatore tedesco non si esaurisce certo qui. Egli priva di ogni valore le opere meritorie che, di per sé, non bastano alla salvezza. Esse devono essere compiute con consapevolezza e coscienza, e non riguardano riti, oppure cerimonie, ma consistono in atti civili. Ogni uomo compie un lavoro, ed è attraverso questo che deve manifestare tutta la sua fede religiosa. L’aspetto sociale della vita assume un’importanza straordinaria, più di qualunque sacrificio o funzione liturgica.
Nell’articolo dedicato ad Erasmo da Rotterdam, abbiamo visto come l’umanista olandese si sia occupato del delicato tema del libero arbitrio, pubblicando nel 1524 il testo intitolato appunto De libero arbitrio, nel quale critica inoltre proprio le dottrine luterane. Lutero replica ad Erasmo con l’opera De servo arbitrio (1525), dove sostiene la totale insignificanza del libero arbitrio, la cui esistenza è esclusa niente di meno che da Dio stesso. Quest’ultimo infatti prestabilisce, senza margine di errore e senza possibilità di scelta, l’uomo alla salvezza. L’individuo dannato non può salvarsi perché il Creatore non ha disposto per lui la salvazione. È Dio a decidere il destino degli uomini, che non possono fare altro che subirlo.
L’uomo non possiede che una sola libertà, rappresentata dalla sottomissione totale a Dio, ed una sola iniziativa, la rinuncia a qualunque impresa.
Il pensiero di Lutero, come abbiamo avuto modo di vedere, piuttosto radicale, incarna alla perfezione lo spirito rinascimentale di un ritorno alle origini della vita religiosa, esortando l’uomo ad un impegno sociale e civile distante dai culti e dalle cerimonie, essenziali invece nel Medioevo al fine di ottenere la grazia e la salvezza.
Dunque, esposta a grandi linee la dottrina luterana, possiamo ora porre l’attenzione sulla celebre Disputatio pro declaratione virtutis indulgentiarum, meglio nota come le 95 tesi. Un documento capitale, affisso sul portone della chiesa di Wittenberg il 31 ottobre 1517, più che altro secondo la tradizione, sono infatti molti i dubbi riguardanti la veridicità dell’evento storico appena citato.
Nelle 95 tesi Lutero si scaglia contro la Chiesa cattolica romana, criticando aspramente e senza mezzi termini soprattutto la validità del sistema delle indulgenze, e l’autorità del papa. L’indulgenza è possibile solamente attraverso il sacramento della confessione, ma abbiamo visto che il pensatore tedesco elimina tutti i sacramenti eccetto il battesimo e l’eucarestia. Inoltre Lutero, ridimensionando il potere delle cariche sacerdotali, poiché, ricordiamolo, tra uomo e Dio non occorrono mediazioni, sminuisce, ed anche parecchio, l’autorevolezza papale, cui imputa anche una degenerazione temporale, diciamo pure materiale, ben lungi dai precetti tramandati da Cristo.
La Disputatio rappresentò immediatamente un sussulto religioso, e persino politico, poderoso, che aprì uno squarcio importante nel sistema ecclesiastico cattolico-romano. Uno squarcio che si ampliò in fretta, aprendo la strada alla Riforma ed alla formazione del Protestantesimo. Non ci addentriamo nelle clamorose conseguenze scaturite dalla pubblicazione luterana, lo scopo del presente articolo è prettamente filosofico. Proponiamo le 95 tesi essenzialmente come riferimento testuale al pensiero di Lutero, e come concreta manifestazione della sua filosofia riformatrice, persino rivoluzionaria se messa in relazione agli insegnamenti della Chiesa cattolica romana.

Le 95 tesi
1. Quando il Signore e maestro nostro Gesù Cristo, ha detto: «Fate penitenza», ha inteso chiedere ai fedeli di conformare tutta la loro vita allo spirito di sacrificio.
2. Usando quella espressione, Egli non ha inteso riferirsi alla penitenza sacramentale (ossia alla confessione e alla riparazione che si compie attraverso il ministero del sacerdote).
3. Egli non ha inteso riferirsi alla sola penitenza interiore, che non vale nulla se non è seguita dalla mortificazione della carne.
4. Di conseguenza, la pena dura finché permane l’odio per la propria persona (che costituisce la vera penitenza interiore), cioè fino all’ingresso nel regno dei cieli.
5. Il papa può rimettere soltanto quelle colpe che egli stesso ha imposte in base alla sua volontà o in base al diritto canonico.
6. Il papa non ha il potere di condonare i peccati; qualora pertanto, egli non si limiti a perdonare quelli di sua pertinenza, egli deve dichiarare e assicurare che il perdono avviene per opera di Dio, altrimenti la colpa non verrebbe cancellata.
7. Dio non rimette le colpe al penitente che non si accosta con profonda umiliazione al sacerdote suo vicario.
8. Le disposizioni canoniche concernenti la penitenza riguardano soltanto i vivi, mentre nessun valore hanno nei riguardi dei moribondi.
9. Lo Spirito Santo, dunque, ci offre il Suo perdono per mezzo del papa, e comunque sempre, nell’evenienza di una morte improvvisa.
10. I sacerdoti che infliggono ai moribondi pene canoniche da scontare in purgatorio dimostrano ignoranza e scorrettezza.
11. E’ probabile che la zizzania, consistente nella conversione della pena canonica in una pena da scontare in purgatorio, sia stata seminata mentre i vescovi dormivano.
12. In passato, le pene canoniche venivano inflitte a seguito di una vera contrizione prima dell’assoluzione, e non dopo.
13. Ai morti è dato di scontare ogni peccato fino al momento della morte; dopo la morte, le disposizioni canoniche non li riguardano più, essendo di diritto da esse sciolti.
14. Un imperfetto sentimento di pentimento nel morente comporta un senso di paura tanto più grande quanto il primo è più piccolo.
15. A parte ogni altra considerazione, questa paura, consistente nella tremenda sofferenza derivante dalla disperazione, costituisce già di per se stessa una pena di purgatorio.
16. La differenza tra l’inferno, il purgatorio e il paradiso sembra risiedere nella differenza esistente tra la disperazione, la quasi disperazione e la sicurezza.
17. Sembra dunque che possa ammettersi che per le anime nel purgatorio la disperazione diminuisca all’aumentare della carità.
18. Nessun argomento razionale o scritturale dimostra che a queste anime non sia riservata la possibilità di conseguire dei meriti attraverso l’aumento della carità.
19. Questo non significa che esse siano tutte o in parte certe e sicure della loro beatitudine, anche se noi ne siamo certissimi.
20. Perciò il papa, quando parla della remissione plenaria di tutte le pene, non intende riferirsi al perdono di tutte, ma soltanto di quelle che sono state imposte da lui.
21. Sbagliano, perciò, quei predicatori che affermano che «per opera delle indulgenze papali l’uomo è liberato da ogni pena e salvato.»
22. Anzi, il papa non rimette alle anime del purgatorio nemmeno quelle pene che esse avrebbero dovuto scontare in questa vita in base al diritto canonico.
23. Ammesso che a qualcuno possa essere concessa la remissione di tutte le pene, ciò avverrà solo per i più perfetti, cioè per pochissimi.
24. Ne consegue inevitabilmente che la maggior parte del popolo resta ingannata dalla indiscriminata ed altisonante promessa del condono delle pene.
25. Ad ogni vescovo e curato, nell’ambito della rispettiva diocesi o parrocchia, compete lo stesso potere sul purgatorio che il papa esercita universalmente.
26. Il papa agisce in modo corretto quando concede la remissione dei peccati alle anime non in virtù del potere delle chiavi, che non deve essere inteso in questo senso, ma in virtù del suo suffragio.
27. Esprimono un concetto umano quelli che dicono: «Appena un soldino ha tintinnato nella cassa, un’anima se ne vola via.»
28. Quel che è certo, è che mentre il tintinnio della moneta nella cassa incrementa il guadagno e l’avarizia, il suffragio della Chiesa dipende dalla sola volontà di Dio.
29. Forse non tutte le anime nel purgatorio desiderano essere liberate dalla penitenza, come si dice che sia avvenuto nel caso di san Severino e di san Pasquale.
30. Nessuno può riporre la sua certezza nella sincerità del proprio pentimento, né tanto meno essere sicuro di aver conseguito un perdono completo dei propri peccati.
31. Coloro ai quali le indulgenze giovano sono tanti quanti lo sono coloro che si pentono veramente, ossia pochissimi.
32. Saranno dannati eternamente coloro che pensano di essere stati salvati grazie alle lettere confessionali, e così pure coloro che glielo fanno credere.
33. Bisogna guardarsi da quelli che affermano, che le indulgenze del papa costituiscono un inestimabile dono, attraverso cui l’uomo viene riconciliato con Dio.
34. Infatti, la concessione delle indulgenze si riferisce soltanto al condono delle pene stabilite dal diritto umano.
35. Predicano una dottrina non cristiana quelli che insegnano, che per la remissione dei peccati non sia necessario il pentimento, ma sia sufficiente redimere anime o acquisire atti di indulgenza.
36. Qualunque cristiano, qualora sia veramente pentito, gode della remissione plenaria della colpa e della conseguente pena, anche senza lettere di indulgenza.
37. Qualunque vero cristiano in quanto tale, vivo o morto, partecipa a tutti i beni di Cristo e della Chiesa, che vengono concessi da Dio anche senza lettere di indulgenza.
38. Tuttavia, l’intervento del papa e il suo perdono non sono affatto da trascurarsi, in quanto, come dissi, costituiscono una manifestazione del perdono divino.
39. Anche ai più dotti teologi risulta difficile dimostrare alla gente che la prodigalità delle indulgenze possa sopperire alla sincerità del pentimento.
40. La vera contrizione cerca ed ama le pene; la prodigalità nella concessione delle indulgenze crea, invece, o quantomeno contribuisce a generare, disimpegno e disaffezione nei confronti delle pene.
41. Bisogna adottare molta cautela quando si parla del perdono apostolico, onde evitare che la gente sia indotta erroneamente a pensare che esso sia da privileggiare rispetto alle altre opere della carità.
42. Si deve insegnare ai cristiani, che non è intenzione del papa attribuire alle indulgenze lo stesso valore delle opere di misericordia.
43. Si deve insegnare ai cristiani, che donare al povero o concedere un prestito a chi ne ha bisogno, vale più dell’acquisto delle indulgenze.
44. Infatti, le opere di misericordia incrementano la carità rendendo l’uomo migliore, mentre le indulgenze non lo migliorano, ma lo liberano soltanto dalla pena.
45. Si deve insegnare ai cristiani, che chi spende il suo denaro per comprare le indulgenze trascurando i poveri, non acquista le indulgenze del papa, ma l’indignazione di Dio.
46. Si deve insegnare ai cristiani che non godono di beni superflui a riservare il necessario per la loro casa, evitando di sprecarlo per l’acquisto delle indulgenze.
47. Si deve insegnare ai cristiani che l’acquisto delle indulgenze costituisce una libera scelta e non un obbligo.
48. Si deve insegnare ai cristiani che il papa, nel momento in cui concede le indulgenze, desidera e ha maggior bisogno, più che del danaro, delle preghiere devote dei fedeli.
49. Si deve insegnare ai cristiani, che il perdono papale è utile se non si confida in esso, ma estremamente nocivo se con esso si perde il timore di Dio.
50. Si deve insegnare ai cristiani, che se il papa conoscesse le estorsioni compiute dai predicatori di indulgenze, preferirebbe che la basilica di San Pietro andasse in cenere, piuttosto che di vederla edificata con la pelle, la carne e le ossa delle sue pecore.
51. Si deve insegnare ai cristiani che il papa – come e suo dovere – è disposto ad elargire il suo danaro – e, se ve ne fosse il bisogno, anche vendendo la basilica di San Pietro – a molti di quei fedeli ai quali i predicatori di indulgenze estorcono danaro.
52. La fiducia di conseguire la salvezza per mezzo delle lettere di indulgenza è cosa vana, e continuerebbe ad esserlo anche se qualcuno o lo stesso papa offrisse in pegno l’anima sua per garantirle.
53. Nemici di Cristo e del papa sono coloro i quali nelle chiese, per predicare le indulgenze trascurano la parola di Dio.
54. Si offende la parola di Dio, quando in una stessa predica si riserva alle indulgenze uno spazio eguale o maggiore di quello ad essa dedicato.
55. E’ senza dubbio intenzione del papa, celebrare le indulgenze, che costituiscono una cosa di non grande importanza, con una sola campana, una sola processione e una sola cerimonia, riservando al Vangelo, che è la cosa più grande, cento campane, cento processioni, cento cerimonie.
56. I tesoro della Chiesa, con cui il papa concede le indulgenze, non risulta sufficientemente definito e conosciuto dal popolo di Cristo.
57. Che non si tratti di tesori temporali appare evidente dal fatto che quei predicatori non si dimostrano tanto impegnati nell’elargirli, quanto nel raccoglierli.
58. Né, tanto meno, si tratta dei meriti di Cristo e dei santi, in quanto questi operano sempre, anche senza il papa, la grazia dell’uomo interiore e la sofferenza, la morte e l’inferno dell’uomo esteriore.
59. San Lorenzo definì i poveri Tesori della Chiesa; ma egli parlava il linguaggio del suo tempo.
60. Sosteniamo che cotesto tesoro consiste nelle chiavi della Chiesa (donate per il merito di Cristo).
61. È chiaro, infatti, che per l’esame dei casi riservati al papa e per la remissione delle relative pene è sufficiente la sua sola potestà.
62. Il vero tesoro della Chiesa è il sacrosanto Evangelo della gloria e della grazia di Dio.
63. Ma questo tesoro è a ragione tenuto in scarsissima considerazione, in quanto «fa dei primi gli ultimi.»
64. Mentre il tesoro delle indulgenze è a ragione il più gradito, perché «degli ultimi fa i primi.»
65. Perciò, i tesori evangelici sono reti con le quali in passato si pescavano uomini ricchi.
66. Mentre i tesori delle indulgenze sono reti con le quali si pescano le ricchezze degli uomini.
67. Si comprende allora perché le indulgenze, che i predicatori proclamano come le più grandi grazie, sono tali in funzione del danaro che producono.
68. In realtà, sono una trascurabile cosa in confronto alla grazia di Dio e alla pietà della croce.
69. I vescovi e i curati sono tenuti ad accogliere con tutto il rispetto gli incaricati delle indulgenze papali.
70. Essi devono, però, prestare la massima attenzione vigilando con gli occhi e con le orecchie che essi espletino veramente il mandato ricevuto dal papa e non predichino i loro sogni.
71. Sia anatema e maledetto colui che parla contro la verità delle indulgenze papali.
72. Ma sia benedetto colui che si oppone alla brama e agli abusi verbali del predicatore di indulgenze.
73. Come il papa fulmina giustamente coloro che pongono in essere attività ai danni della vendita delle indulgenze,
74. così molto più gravemente egli intende colpire coloro che, col pretesto delle indulgenze, compiono attività a danno della santa carità e verità.
75. Ritenere che le indulgenze papali siano tanto potenti da assolvere un uomo, anche nel caso pur impossibile, che esso avesse violentato la Madre di Dio, significa essere fuori di senno.
76. Per contro, quanto alla colpa, sosteniamo che le indulgenze papali non possono cancellare, nemmeno il più piccolo dei peccati veniali.
77. Sostenere che neanche san Pietro, se fosse oggi papa, avrebbe la possibilità di concedere maggiori grazie, è una bestemmia contro san Pietro e il papa.
78. Al contrario, diciamo che anche questo papa, come qualsiasi altro, possiede grazie maggiori, cioè il Vangelo, i miracoli, i doni di guarigione ecc., come insegna 1 Cor., XII.
79. Sostenere che la croce con le insegne papali, innalzata solennemente, equivalga alla croce di Cristo, è bestemmia.
80. 1 vescovi, curati e teologi che consentono che simili discorsi siano tenuti alla gente, ne renderanno ragione.
81. Questa scandalosa predicazione delle indulgenze rende difficile anche ai dotti impegnati nel salvaguardare il rispetto dovuto al papa, difenderlo dalle calunnie e dalle sottili insinuazioni dei laici.
82. Ad esempio: perché il papa non vuota il purgatorio ispirandosi alla santissima carità e alla somma necessità delle anime, che costituisce il motivo più giusto, dal momento che libera un infinito numero di anime in cambio del dannosissimo danaro destinato alla costruzione della basilica, che rappresenta, invece, un motivo di trascurabile importanza?
83. Ugualmente: perché ci si ostina nella celebrazione delle esequie e degli anniversari dei defunti, e non si restituiscono, anzi si consentono le offerte stabilite a loro vantaggio, mentre è un’offesa pregare per dei redenti?
84. Ancora: che è mai questa nuova pietà di Dio e del papa, consistente nel concedere per danaro ad un empio e nemico la liberazione di un’anima pia e amica di Dio, astenendosi, per contro, dal liberarla gratuitamente per mezzo della carità?
85. Perché mai si redime ancora con denaro, con la concessione di indulgenze, da canoni penitenziali già da tempo e di fatto in sé desueti e morti, come se fossero ancora in pieno vigore?
86. Così ancora: perché mai il papa, le cui ricchezze sono oggi più consistenti di quelle dei più ricchi Crassi non costruisce la basilica di San Pietro utilizzando il suo danaro, invece di quello dei poveri fedeli?
87. Ugualmente: che cosa rimette o trasmette il papa a coloro che in virtù di un perfetto pentimento hanno diritto ad un completo perdono e alla partecipazione alle grazie divine?
88. La Chiesa non ne risentirebbe un maggior bene, se il papa, anziché una sola volta, concedesse cento volte al giorno ad ognuno dei fedeli questo perdono e questa partecipazione?
89. Poiché il papa, per mezzo delle indulgenze, tende alla salvezza delle anime più che al danaro, perché sospende le lettere confessionali e le indulgenze precedentemente concesse, mentre sono egualmente efficaci?
90. Soffocare queste pericolosissime argomentazioni dei laici con la sola forza e senza addurre ragioni significa esporre la Chiesa e il papa alle beffe dei nemici e rendere infelici i cristiani.
91. Se dunque le indulgenze fossero predicate secondo lo spirito e l’intenzione del papa, tutte quelle difficoltà sarebbero facilmente risolte, anzi non esisterebbero.
92. Addio, dunque, a tutti quei profeti che dicono al popolo di Cristo: «Pace, pace», mentre pace non c’è.
93. Salute, a tutti quei profeti che dicono al popolo di Cristo: «Croce, croce», mentre la croce non c’è.
94. Si devono esortare i cristiani a seguire con zelo il loro capo, Cristo, attraverso le pene, le mortificazioni, e le tribolazioni.
95. In modo che nutrano la fiducia di «entrare in cielo attraverso molte tribolazioni», piuttosto che mediante la sicurezza della pace.
Martin Lutero, Disputatio pro declaratione virtutis indulgentiarum ~ 95 tesi, 1517.
In copertina: Lucas Cranach il Vecchio, Martin Lutero, 1529.