Impressioni fugaci, sconnesse, vane, in fondo, ennesime manifestazioni del consueto, inquietante, nauseabondo malessere esistenziale.
Visitare una mostra è un’esperienza sensoriale e psicologica unica, ed estremamente potente. Osservando i dipinti esposti infatti, intraprendiamo un percorso conoscitivo intimo e profondo di noi stessi e degli autori. Ammirando estasiati le tele ci abbandoniamo senza riserve a sensazioni, emozioni autentiche, forti, talvolta giungendo persino ad un’ideale identificazione con l’artista e con la sua esistenza. A seconda della nostra inclinazione, diciamo pure vocazione artistica, alcuni quadri possono entusiasmarci, catturarci, altri invece lasciarci del tutto indifferenti.
Ebbene, visitando la mostra Modigliani, Soutine e gli artisti maledetti non mi hanno lasciato indifferente i dipinti di Möise Kisling (1891-1953). Uomo avvenente e coraggioso, nelle sue tele, caratterizzate da colori intensi e da forme sinuose, traspare una certa “aristocrazia” artistica.
Non mi hanno lasciato indifferente i dipinti di Maurice Utrillo (1883-1955). Un alcolizzato, che in assenza di vino, consumato dal delirium tremens, beveva acqua di colonia. I suoi scorci parigini, così puliti e delicati, insolitamente sereni se si pensa all’esistenza drammatica vissuta da chi li ha dipinti, sono tracce di una ricerca di pace ed armonia impossibile da raggiungere nella realtà.
Volente o nolente, non mi hanno lasciato indifferente i ritratti di Amedeo Modigliani (1884-1920). Le sue opere sono testimonianze di un’indagine dell’inconscio umano portata allo stremo. Ovali allungati, colli flessuosi come quelli di cigni. Le due donne che probabilmente più lo amarono, la scrittrice inglese Beatrice Hastings (1879-1943), con la quale visse una storia d’amore burrascosa, e la pittrice francese Jeanne Hébuterne (1898-1920), si suicidarono entrambe, la seconda, al nono mese di gravidanza, gettandosi da un quinto piano il giorno dopo la morte del pittore. Forse non un caso.
Infine, e soprattutto, non mi hanno lasciato indifferente i dipinti di Chaïm Soutine (1893-1943), un selvaggio dal cappotto indicibilmente fetido giunto a Parigi dalla Russia.Visse l’esperienza dei pogrom, e nelle sue tele trionfa un tormento, una inquietudine esistenziale lugubre e devastante. Alberi e case deformi, carcasse squartate di animali morti, individui dimenticati da dio, come la donna pazza. Oltre che sul viso alterato, folle di questo splendido soggetto concentratevi sulle mani. Sono state proprio quelle mani dalle dita oblunghe a trasmettermi interamente la straziante pazzia della donna. Nelle opere di Soutine ho ritrovato tutta l’angoscia concentrata nella mia piccola ed insignificante persona.
Nei primi decenni del Novecento Parigi fu un magnifico alveare di artisti geniali. Straordinario rivivere almeno per qualche ora in quell’alveare. Straordinario fin quando si passeggia ammirando i capolavori dei pittori citati, impreziositi dai versi splendidi di Apollinaire, vero e proprio cantore di quei favolosi anni parigini, e dalla presenza di graziose osservatrici femminili, cui destinare sguardi altrettanto appassionati e devoti. Poi si è costretti ad uscire dalla mostra, ripensare a ciò che si è visto e provare dolore.
Sarebbe stato bello vivere nella Parigi di quell’epoca e fare la conoscenza di questi artisti enormi, magari stringendo un legame d’amicizia con alcuni di loro. Soprattutto, sarebbe stato bello possedere anche solo un riflesso del loro smisurato talento. Ahimè, non mi è toccato niente di tutto questo. A causa della sindrome “Midnight in Paris” mi rode il fegato, mi brucia lo stomaco, provo persino rabbia. Quantomeno per i primi istanti. Ben presto infatti subentra la rassegnazione, e la triste consapevolezza che la mia sia un’esistenza qualunque, improduttiva, tutto sommato inutile riprende il suo posto.
In copertina: Chaïm Soutine, Les Maisons, 1921.